La linfa vitale delle serie tv contagia l’Italia. Il meglio del 2019 e cosa vedremo nel 2020

by Nicola Signorile

La sfida è aperta. La nuova arena si chiama serialità televisiva. Con l’arrivo di nuove piattaforme streaming che vanno ad aggiungersi a canali generalisti e pay-tv, l’offerta è incredibilmente vasta e variegata. L’Italia cerca la sua nicchia, cercando di innovare la tradizione, di dare una verniciata di contemporaneo alla produzione per il piccolo schermo.

La nuova linfa vitale portata da Sky, Netflix, Amazon Prime giova anche alla Rai – complici spesso le coproduzioni internazionali – e Mediaset che per star dietro alle nuove abitudini degli italiani devono battere nuove strade, sperimentare linguaggi alternativi. Al di là dei pregiudizi che caratterizzano sempre le produzioni televisive nostrane, ecco novità o conferme del 2019 meritevoli di attenzione.

Il Nome della rosa (Rai 1) – Regia di Giacomo Battiato, sceneggiatura di Giacomo Battiato, Andrea Porporati, Nigel Williams e John Turturro

Il monumentale romanzo di Umberto Eco è materia incandescente da maneggiare. Ci aveva provato con buoni risultati Jean-Jacques Annaud nel 1986 con l’omonimo film interpretato da Sean Connery e Christian  Slater. La miniserie in otto puntate, andata in onda a marzo su Rai Uno, coproduzione tra Italia (11 Marzo Film e Palomar) e Germania, nonostante una regia non proprio all’altezza, l’aspetto un po’ datato dell’operazione e qualche problema con il doppiaggio, è stata una delle produzioni televisive italiane più vendute nel mondo. I motivi d’interesse sono numerosi: il fascino del Medioevo, le dispute teologiche tra papato e francescani, feroci inquisitori e (presunti) eretici, ma soprattutto l’indagine del frate Guglielmo da Baskerville e del fido novizio Adso da Melk sulle misteriose morti in un’isolata abbazia benedettina. Affascinanti le location abruzzesi. Molto apprezzato anche il cast internazionale, John Turturro e Rupert Everett (l’inquisitore Bernardo Gui) in testa, poi Fabrizio Bentivoglio, Greta Scarano, Stefano Fresi, Michael Emerson, Richard Sammel e Roberto Herlitzka.

1994 (Sky) – Regia di Giuseppe Gagliardi; sceneggiatura di Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo

 L’ultimo capitolo della trilogia targata Sky nata da un’idea di Stefano Accorsi è il migliore. Messa da parte qualche sottotrama meno riuscita, la serie ha trovato finalmente il suo cuore narrativo, il triangolo sessual-amoroso tra i tre protagonisti: Veronica Castello, la conturbante soubrette che unisce spettacolo e politica incarnata da Miriam Leone è il centro di gravità attorno al quale orbitano Leonardo Notte, il cinico ex pubblicitario diventato il motore della campagna elettorale della neonata Forza Italia (Stefano Accorsi) e il Batman leghista Pietro Bosco, interpretato da Guido Caprino, il personaggio più interessante e complesso della serie. Sorretto dalla robusta scrittura di alcuni tra i migliori sceneggiatori in circolazione, lo show ci riporta nell’anno della prima elezione di Silvio Berlusconi, mentre il pool di Antonio Di Pietro continua a picconare quel che resta della Prima Repubblica. Il quinto episodio ambientato nella residenza estiva di Villa Certosa è un vero gioiello. Uno dei motivi per guardare 1994 è sicuramente il venir meno della struttura sin troppo corale e un po’ dispersiva dei capitoli precedenti. Ogni episodio si concentra su un tema, un fatto, un personaggio, anche secondario. Una formula che funziona. Inoltre, in 1994 non viene mostrato tutto, si evitano i frequenti spiegoni tanto cari al pubblico televisivo italiano. Non ci sono trame consolatorie, né figure monodimensionali. I nostri eroi sono complessi, sfaccettati, pieni di chiaroscuri. Non si possono non citare le performance di Paolo Pierobon/Berlusconi e di Antonio Gerardi/Di Pietro.

Skam 3 (da gennaio su Netflix)  – Ideata da Ludovico Bessegato; regia di Ludovico Di Martino, sceneggiatura di Ludovico Bessegato con Anita Rivaroli, Marco Borromei, Alice Urciolo e Ludovico Di Martino.

Skam Italia è uno strano oggetto apparso nei cieli nostrani tre anni fa: una serie teen sul mondo degli adolescenti ambientata in un liceo romano che non sembra scritta da cinquantenni. La versione italiana dell’omonima serie tv norvegese di grande successo in tutto il mondo è andata in onda per due anni su Timvision. Il suo creatore Ludovico Bessegato, regista e sceneggiatore delle prime due stagioni, è  stato produttore creativo di serie tv di successo come Rocco Schiavone e Il Cacciatore. Dopo la cancellazione da parte di Timvision, una sollevazione popolare sul web dei giovanissimi spettatori ha portato alla conferma per la terza stagione: da gennaio le prime tre saranno disponibili su Netflix, prima della pubblicazione della quarta coprodotta dal colosso dello streaming. Fondamentale per il successo di Skam Italia è l’interazione tra televisione e web: sono decine i forum e le fanpage dedicati, ogni puntata è anticipata da clip e contenuti extra sul sito della serie e i personaggi principali hanno propri profili sui social network che pubblicano contenuti e interagiscono con i fan come fossero persone reali. Tra i pregi della serie, dialoghi realistici, personaggi in cui è semplice identificarsi e giovani attori da seguire come Ludovica Di Martino, Ludovico Tersigni e Benedetta Gargari.

Gomorra 4 (Sky)  – Supervisione artistica di Francesca Comencini; regia di Francesca Comencini, Marco D’Amore, Claudio Cupellini, Enrico Rosati e Ciro Visco; sceneggiatura di Leonardo Fasoli, Maddalena Ravagli, Enrico Audenino, Monica Zapelli.

Gomorra – La serie è lo show che ha alzato l’asticella della qualità ridefinendo gli standard della serialità italiana. Tre stagioni vendute in tutto il mondo, personaggi di culto e un team creativo di grandi talenti. Supervisione artistica per il quarto capitolo della serie affidata a Francesca Comencini – produzione Sky con Cattleya, Fandango e Beta Film –  che si alterna alla regia anche con una delle star di Gomorra, Marco D’Amore (per due episodi). Proprio la presunta morte di Ciro Di Marzio alla fine della terza stagione aveva lasciato lo show privo di uno dei personaggi più amati. Ma Gomorra ha dimostrato di saper andare avanti scovando nuove facce da amare/odiare, aprendo nuovi scenari sempre più lontani dalle Vele di Scampia. Forse il quarto è il capitolo meno iconico della saga, una tappa di transizione che tuttavia mantiene alte le ambizioni e lo standard qualitativo generale. In attesa, occhio allo spoiler, del ritorno di Ciro Di Marzio nella quinta stagione (per la quale ci sarà un bel po’ da attendere), reduce dalla sanguinosa trasferta in Lettonia narrata nel film L’Immortale.

Rocco Schiavone 3 (Rai 2) –  Regia di Simone Spada; sceneggiatura di Antonio Manzini e Maurizio Careddu.

Il poliziotto più scorretto e divertente della tv italiana, interpretato da Marco Giallini, è ormai una sicurezza. Non farà mai il salto sulla rete ammiraglia, facciamocene una ragione: Rocco è irascibile, ha la parolaccia facile  – ha classificato le rotture di c…i su una lavagnetta in base alla gravità (“l’omicidio è un livello dieci”) – si fuma le canne, ogni tanto forza un po’ le procedure e ha un passato burrascoso. Un personaggio molto più vicino alla realtà di tutti i detective visti in una serie italiana, merito anche del personaggio letterario originario nato dalla penna di Antonio Manzini, sceneggiatore dello show insieme a Maurizio Careddu. Terza stagione composta di quattro episodi che presenta uno Schiavone sempre più solitario dopo il tradimento della giovane collega Caterina e l’allontanamento dei quattro amici storici del vicequestore (gli irresistibili romanacci Francesco Acquaroli, Mirko Frezza e Tullio Sorrentino), consolato solo dalla cagnetta Lupa e dal piccolo vicino di casa Gabriele, il figlioccio del quale si prende cura dalla seconda stagione. Il contesto alto borghese di Aosta è volutamente contrapposto ai casi affrontati e risolti da Schiavone: crimini commessi da disperati, da persone sconfitte dalla vita, tra barboni in lotta per la verdura avanzata al mercato e donne rovinate dal gioco e dagli strozzini. Intrecci credibili, personaggi ben costruiti (a parte la giornalista Sandra, interpretata da Valeria Solarino, della quale non si è ancora capito il ruolo) e una ambientazione originale come la Valle D’Aosta rendono Rocco Schiavone una delle migliori produzioni italiane degli ultimi anni.

Pezzi unici (Rai 1) – Regia di Cinzia Th Torrini; sceneggiatura di Isabella Aguilar, Donatella Diamanti, Fabrizio Lucherini e Cinzia Th Torrini.

Sono molti i meriti della nuova serie in dodici puntate messa in campo da Rai Fiction in autunno. In primis, un grande attore come Sergio Castellitto in grado di dare sfumature sempre sorprendenti al burbero Vanni Bandinelli, artigiano del legno tra i più apprezzati di Firenze. Il capoluogo fiorentino per una volta esce dalla cartolina per diventare un contesto realistico e interessante, tra viuzze, botteghe, l’Antico Setificio Fiorentino. Il focus sull’artigianato toscano è una scelta vincente. Vanni accoglie nel suo antro dei miracoli cinque “pezzi unici”, ragazzi dal passato difficile ospiti di una casa-famiglia gestita dall’amorevole Anna (Irene Ferri). L’artigiano si ritrova a proseguire il laboratorio di falegnameria che i cinque ragazzi portavano avanti con il figlio Lorenzo, ex-tossicodipendente morto apparentemente suicida. Vanni, pieno di sensi di colpa per non aver saputo aiutare Lorenzo, intuisce che i ragazzi sanno più di quel che dicono sulla sua morte. A poco a poco, attraverso continui flashback, scopriremo relazioni, intrecci, bugie tra i cinque ragazzi, affetti da turbe e segnati da abusi famigliari e non. Disagio giovanile, un universo dell’artigianato fatto di lavoro, passione e sacrificio e un mistero dagli sviluppi ben gestiti si intrecciano nella serie diretta da una regista di lungo corso televisivo come la Torrini. Funziona il cast di contorno con un inedito Giorgio Panariello nel ruolo dell’amico fabbro Marcello, padre apprensivo e soffocante di Beatrice (una bravissima Margherita Tiesi), molto attratta da uno dei “pezzi unici”. Poi, una convincente Irene Ferri, la famiglia di Vanni con la ormai ex moglie Fabrizia Sacchi e il cognato Marco Cocci, oltre a un gruppo di giovanissimi interpreti (Anna Manuelli, Lucrezia Massari, Moise Curia, Leonardo Pazzagli e Carolina Sala) che non sempre tengono a bada la voglia di strafare, ma che fino alla fine lo spettatore impara ad apprezzare.

Suburra 2 Regia di Andrea Molaioli e Piero Messina; sceneggiatura di Barbara Petronio, Ezio Abbate, Fabrizio Bettelli e Camilla Buizza.

Criminalità organizzata, prelati corrotti, politica affarista: un intreccio di potere destinato a decidere i destini della Roma brutta e cattiva, già protagonista del romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini e del film di Stefano Sollima del 2015. Nei quindici giorni che precedono le elezioni del nuovo sindaco di Roma, ritroviamo i protagonisti di Suburra, Aureliano (Alessandro Borghi), Spadino (Giacomo Ferrara) e Lele (Eduardo Valdarnini) alle prese con vecchi nemici e nuovi alleati; tornano anche Francesco Acquaroli nel ruolo di Samurai, Filippo Nigro in quelli del candidato Amedeo Cinaglia, il politico inizialmente senza macchia sempre più inaspettatamente deciso a tentare la scalata al Campidoglio costi quel che costi e Claudia Gerini in quello dell’intraprendente Sara Monaschi. La prima serie italiana originale distribuita da Netflix sale di tono nella seconda stagione: tutto è più a fuoco stavolta, a partire da un intreccio meno dispersivo e a personaggi ben costruiti, con figure femminili sempre più presenti e dominanti, da Livia Adami, sorella di Aureliano, magnificamente interpretata da Barbara Chichiarelli, ad Adelaide Anacleti (Paola Sotgiu) e Angelica (Carlotta Antonelli), rispettivamente la madre e la moglie di Spadino. Un deciso cambio di passo in attesa del terzo e definitivo capitolo dello show, annunciato da Netflix.

Imma Tataranni Sostituto Procuratore (Rai 1) – Regia di Francesco Amato; sceneggiatura di Salvatore De Mola, Luca Vendruscolo, Michele Pellegrini e Pier Paolo Piciarelli e Mariolina Venezia.

Senza dubbio il successo dell’anno per la tv generalista. Per molti un exploit dovuto alle similitudini con il più celebre degli investigatori televisivi, un Montalbano al femminile insomma. Imma è una donna forte, schietta e determinata, che non le manda a dire, infischiandosene di quello che la gente pensa di lei e del suo abbigliamento bizzarro. Una rossa di ferro con un solo tallone d’Achille: l’attrazione irresistibile nei confronti del giovane appuntato Ippazio Calogiuri (Alessio Lapice) che la segue passo passo nel corso dei sei episodi andati in onda su Rai 1 a settembre 2019, incentrati sul personaggio ideato dalla scrittrice materana Mariolina Venezia. Vanessa Scalera è una grande attrice che ha lavorato con Bellocchio, Giordana, Moretti e riesce a dosare ironia, durezza, sarcasmo e sensibilità rendendo il suo sostituto l’investigatore che tutti, a parte i colpevoli, vorrebbero trovare sulla propria strada. Una leggerezza di fondo fa bene alla serie. Si ride spesso nei momenti di intimità famigliare di Imma: merito dei siparietti con il premuroso marito Pietro, un ottimo Massimiliano Gallo, con la figlia Valentina (la barese Alice Azzariti) e con la pungente suocera (Dora Romano). Come irresistibili sono i duetti con il procuratore capo, Carlo Buccirosso; molto tenera la relazione con la madre stralunata, la grande Lucia Zotti. Dietro la facciata farsesca però Tataranni con i suoi metodi non sempre ortodossi si ritrova a fronteggiare piaghe come l’interramento di rifiuti tossici, corruzione e crimine organizzato, lo sfruttamento selvaggio del territorio (la Basilicata e in particolare Matera sono un altro punto di forza della serie Rai). Commedia e dramma si mescolano in modo godibile in un prodotto pensato per il grande pubblico, di cui è protagonista un personaggio non stereotipato che sta sempre dalla parte dei più deboli.

Il processo (Canale 5) – Regia di Stefano Lodovichi; sceneggiatura di Alessandro Fabbri, in collaborazione di Laura Colella e Enrico Audenino.

Mediaset partecipa alla festa con un esperimento decisamente riuscito, il legal thriller in otto episodi Il processo, targato Rti-Lucky Red, andato in onda a dicembre 2019, ora disponibile su Netflix. Si guarda ai modelli d’Oltreoceano per esplorare un genere molto amato dal pubblico, ma pochissimo frequentato dagli autori italiani. Chi ha ucciso la 17enne Angelica Petroni? Un giallo ben calibrato che coinvolgerà la bellissima e inflessibile Pm Elena Guerra (Vittoria Puccini) e lo spregiudicato avvocato Ruggero Barone (Francesco Scianna) in una coinvolgente sfida a due che porta a galla le bassezze della ricca provincia italiana (la serie è ambientata a Mantova). Camilla Filippi, femme fatale ambigua e credibile, è Linda Monaco, erede di una importante famiglia della borghesia cittadina, accusata dell’omicidio; Tommaso Ragno, suo padre Gabriele. Uno spettacolo ad alto rischio – perché questo è quello che avviene in ogni aula di tribunale – in cui si susseguono ritrovamenti di prove, colpi di scena, testimonianze e controinterrogatori come nella migliore tradizione del legal thriller, senza indugiare troppo in sviluppi da soap opera. La suspense cresce gradualmente, la scrittura gioca con lo spettatore centellinando nuovi indizi; i sospetti ricadono, di puntata in puntata, su un diverso obiettivo. Attenzione ai dettagli con grande cura nella scelta degli ambienti e delle musiche, oltre che nella costruzione dei personaggi e del cast, completato da Euridice Axen e Marco Baliani. Puntare sul talento paga. E Alessandro Fabbri (1992 e successivi, In Treatment) e Stefano Lodovichi (Il Cacciatore) ne hanno da vendere. Nota a margine, Roberto Herlitzka: anche nel piccolo ruolo dell’integerrimo magistrato padre di Vittoria Puccini gioca in un campionato a parte.

Infine, si potevano citare due serie di grande successo passate su Rai 1 nelle ultime settimane del 2019, ma sia I Medici – Nel nome della famiglia – terza stagione della serie anglo-italiana creata da Frank Spotnitz e Nicholas Meyer – che la miniserie Ognuno è perfetto con Edoardo Leo e Cristiana Capotondi, nonostante alcuni meriti, ricadono in alcuni dei peggiori difetti della serialità all’italiana. La prima persevera negli errori dei capitoli precedenti: I Medici è una serie eccessivamente patinata, non priva di inesattezze storiche e buchi di sceneggiatura che presenta personaggi spesso solo abbozzati e non approfonditi. La seconda, invece, è una bellissima favola che fa bene al cuore su una storia d’amore contrastata tra due ragazzi affetti dalla sindrome di Down: non sfigurerebbe in questo elenco se fino alla fine al centro della narrazione rimanesse l’avventura di Rick e dei suoi amici divertente, coinvolgente e ben congegnata. Purtroppo la scelta di puntare sui consueti cliché nella parte relativa ai personaggi adulti e alle famiglie dei ragazzi, con finale stucchevole incluso, abbassa un po’ il livello di tutta l’operazione.

Una citazione invece la meritano due serie italiane che, dopo un anno di preparazione, nel 2020 torneranno ad appassionare il pubblico. A febbraio, riecco L’amica geniale, collaborazione tra Rai e Hbo, trasposizione dei romanzi di Elena Ferrante, distribuita all’estero con il titolo My Brilliant Friend. Uno spaccato sull’Italia del Novecento raccontata attraverso il rapporto complesso tra Elena, detta Lenuccia, e Lila, bambine e poi giovani donne cresciute in un rione di Napoli negli anni ’50. La camorra, il ruolo della donna, il miracolo economico, la scoperta di sé e i primi passi nelle relazioni con l’altro sesso. Regia di Saverio Costanzo e sceneggiatura in cui, accanto al regista e alla misteriosa scrittrice, figurano Francesco Piccolo e Laura Paolucci.

Prima di L’amica geniale, ritroveremo a gennaio su Rai 2 la seconda stagione de Il Cacciatore, la serie ispirata alla vera storia del magistrato Alfonso Sabella (tratte dal suo romanzo Il Cacciatore di mafiosi), membro del pool antimafia di Palermo dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. Nella finzione si chiama Saverio Barone lo sfrontato protagonista interpretato da Francesco Montanari – sì, proprio il Libanese di Romanzo Criminale – alle prese con la caccia a  Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca (occhio a David Coco ed Edoardo Pesce, straordinari nella prima stagione) e ai molti latitanti responsabili delle stragi del 1992. Una serie che sfoggia grande cura dei dettagli, una regia contemporanea (di Stefano Lodovichi e Davide Marengo), estetica pop e ritmo incalzante,  in cui per una volta chi sta dalla parte della giustizia è interessante almeno quanto i cattivi da acciuffare. Dimenticate anni di fiction concilianti e noiosette: con Il Cacciatore la Rai ha messo il turbo per mettersi al passo con le grandi serie internazionali.

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