La verità sul caso Harry Quebert, una casa sul mare e un triplo asse narrativo per la serie dal bestseller

by Gabriella Longo

Un caso letterario del 2012 firmato Joël Dicker da più di tre milioni di copie vendute in tutto il mondo diventa una mini serie televisiva; a dirigerla un genio dell’intrigo come Jean-Jacques Annaud e a vestire i panni dello scrittore bohemienne protagonista, l’amatissimo dottor stranamore Patrick Dempsey. La storia ricalca quella dell’omonimo bestseller La verità sul caso Harry Quebert: Harry Quebert (Patrick Dempsey) è uno spettabile docente universitario che vive nella gloria che il romanzo “Le origini del male” gli ha dato in passato. Presto, però, resta coinvolto nell’indagine su un caso restato a lungo senza soluzione: nella sua proprietà nel Maine viene ritrovato il corpo della giovanissima Nola Kellergan (Kristine Froseth), scomparsa in circostanze misteriose nell’estate del 1975 e con la quale lo scrittore aveva intrattenuto una liaison durante il medesimo anno.

Quebert viene, così, immediatamente indagato per omicidio e occultamento di cadavere: il suo alibi sembra essere fragile poiché in un’America ipocritamente ossessionata dal sesso (viene detto più volte all’inizio della serie), non si giudica colpevole un uomo che commette un reato ma colui che ama una ragazza nemmeno maggiorenne. A ricostruire la vicenda, il giovane Marcus Goldman (Ben Schnetzer), allievo di Quebert all’università, e vanaglorioso scrittore a caccia di popolarità con la classica sindrome da pagina bianca. Da sempre vissuto all’ombra di quello che considera il suo maestro, raggiunge Quebert nella splendida villetta sulla spiaggia del Maine inizialmente per ritrovare l’ispirazione ma finirà, poi, col seguire le indagini accanto al Sergente Perry Gahalowood (Damon Wayans.)

In un’intervista rilasciata a proposito della trasposizione televisiva del suo romanzo, Dicker dichiara di non aver mai consegnato alla carta una geografia fisiognomica dei personaggi, ma di aver voluto lasciare al lettore un grosso margine interpretativo. “Per esempio non ero sicuro se Marcus fosse biondo o bruno, se avesse gli occhiali, oppure no, ma ero sicuro che fosse un buon amico, il vero amico che tutti vorremmo avere, e per me questo è esattamente quello che succede nella serie”, commenta lo scrittore circa l’operazione condotta da Annaud. Ma in quanto alle ambientazioni, il regista francese si spinge più in là, spostando la vicenda dal New Hempshire di Dicker, alla costa del Maine. La casa vista mare, rifugio degli scrittori erranti, sembra immediatamente anch’essa provenire dalla letteratura, da La casa sulla spiaggia di George Meredith, ad esempio, romanzo del 1860 nel quale si mettevano alla berlina i vizi e le velleità della vecchia borghesia inglese di provincia. Della quale, non a caso, una dimora collocata su di un terreno fragile come la sabbia ne era la metafora. La regia di Annaud sembra, per tutto il corso dei dieci episodi, essere fortemente determinata da queste suggestioni ambientali, come si vede dalle numerose riprese aeree delle spiagge bianche, o dal frequente indugiare sui gabbiani, sull’oceano o sui boschi.

Molti altri echi letterari vi sono nella storia di Quebert, forse com’è giusto che sia per una vicenda di scrittori dalle illusioni perdute; il più palese al conturbante Lolita di Nabokov, laddove similmente a Quebert, l’insegnante Humbert si innamorava di una giovane en fleurs. Così come, impossibile non ricondurre il personaggio di Nola a Norman Bates, uno dei più celebri caratteri della cinematografia hitchcockiana.

Una storia, dunque, alla quale non mancano di certo link intertestuali, ma in quel suo essere fortemente citazionista, rimane poco ambiziosa. Annaud, dal canto suo, si conferma un maestro dalle eccezionali qualità calligrafiche ma forse lo spettro di True Detective – della quale non solo sembra riprendere la trama dal triplo asse narrativo ma anche l’opening – è davvero troppo grande.

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