Madam C.J. Walker la “Self Made” di Netflix: la storia vera di una afroamericana di successo che fondò una company milionaria

by Gabriella Longo

Nel 1910, la radio di un salotto in una casa in Louisiana riferiva dei sinistri sganciati da Jack Johnson per difendere il podio. All’ovazione domestica partecipano Sarah Breedlove, altresì nota come Madam C.J. Walker, e la sua famiglia, in un momento rubato alla prima puntata della miniserie su Netflix. Self Made con il premio Oscar Octavia Spencer nel ruolo della protagonista, racconta, in un battito di ciglia della durata di quattro puntate, dell’imprenditrice afroamericana e prima donna diventata milionaria grazie ad un’intuizione nata davvero dalla testa: ergere un impero commerciale di prodotti per la cura dei capelli su un preparato casalingo per la calvizie.

Nata nel 1867, Sarah Breedlove fu una donna libera grazie al Proclama di Emancipazione, primo di molti altri passi verso la fine della schiavitù. Dalle vicende avverse in una vita che la vide orfana a sette anni, sposata a 14, madre a 15 e vedova già a 20, si ricostruiscono le storie di una generazione intera, proprio come quella di Johnson, un altro “primo” della sua categoria, la pugilistica, ma anche campione di pesi massimi che per anni aveva intrattenuto i bianchi negli scontri delle battle royal. Sarah fece la baby sitter, la lavandaia, con la testa sempre chiusa in strette fasce, fino a quando la perdita dei capelli non la condusse a testare prima l’efficacia di una cura approntata dalla sua acerrima rivale Addie Munroe (qui Carmen Ejogo), e poi a decidere di mettere a punto un prodotto tutto suo. Dovette dare al suo business il cognome del secondo marito, C.J. Walker per l’appunto, e seguire un innato fiuto affaristico che le diceva fosse sconveniente per una donna dare il suo nome ad una creazione.

Il successo imprenditoriale significò, per colei che in seguito si sarebbe meritata l’appellativo di “Madam”, passare per la ridefinizione del ruolo di donna non solo nella società dei bianchi e dei neri, ma nel contesto di una società più piccola, e cioè quella domestica, anch’essa raggiunta dall’imperativo moderno del “self made”.

Una storia di empowerment al femminile dalle tinte old fashioned, frizzanti e un po’ glam di un certo “risveglio epico” d’America primo novecentesca, e degli anni ruggenti di Indianapolis o del quartiere Harlem.

Un vezzo, com’era quello dei prodotti di bellezza, o la mania delle acconciature, appannaggio esclusivo dell’upper class, fu la svolta di “Madam”, diventata ambasciatrice di un simbolo, come quello dei capelli delle donne afroamericane, metaforicamente testimone di una storia comune, vessillo di rivendicazione e di riscatto in un’America segregazionista e in una società dominata dagli uomini.

 “Ci umiliano, ci chiamano brutte, ci fanno sentire brutte. Capelli fantastici creano fantastiche opportunità”, dice Octavia Spencer nei vestiti a fiori di Madam che, assieme a certe tuonate senza scadenza di validità, si crea da zero il proprio american dream, sfruttando una questione ancora oggi centrale per la comunità afroamericana. Attorno a questo tema pure gravitava il cortometraggio animato Hair Love che si aggiudicava l’Oscar quest’anno e che raccontava di un papà impossibilitato a domare la chioma della sua bambina, a conferma dello sguardo recentissimo da parte del piccolo e del grande schermo sul tema dell’identità che passa attraverso il simbolo dei capelli.

La serie, ispirata alla biografia On her own ground di A’ Lelia Bundles, discendente diretta di Madam e qui impegnata anche a scrivere la sceneggiatura insieme a Nicole Jefferson Asher, si diceva prima, assomiglia a un battito di ciglia, al termine del quale l’amarcord è già finito da un pezzo ma molti personaggi, che ruotano attorno il ruolo giustamente accentratore di Octavia Spencer, restano incompiuti in un destino di scrittura volatile che spesso rasenta il sogno, ma solo perché sfugge dalle dita persino la misura del tempo in cui le cose accadono.

Sotto la pelle sontuosa e “floreale” e un frequente ricorrere a moniti come “lavorare duro per sognare in grande”, che si ricordano spesso più per nostalgia che per un’effettiva spendibilità nell’oggi rispetto all’age d’or dei self made, ci sono delle voci alla radio che avrebbero meritato un ascolto in più.

MADAM CJ WALKER

Il primo episodio s’intitola “La sfida del secolo”: a quelle voci si affida un ruolo di cornice storico contestuale attorno ad un momento di gioia domestica che andrà a sommarsi ad un clima assolutivo, nel complesso disteso e consolatorio.

Nel 1910, Madam fondava la Madam C. J. Walker Manufacturing Company, difendendo il suo spazio su un ring di rivalità, concorrenze, pregiudizi; nello stesso anno Johnson batteva J.Jeffries il quale, invece, era la strenua difesa dell’ “orgoglio bianco”. Altri lottavano senza essere self-made, come l’anziano suocero di Sarah Cleophus, interpretato da Garrett Morris, ideale portavoce del non-rimosso nell’America post-colonialista e testimone di certi valori ancora incontaminati rispetto alla cavalcata del mito borghese. Eppure un vero clima d’arena non c’è. Intuizioni e suggestioni, come certe candide visioni di fiori e musiche jazz che raccontano pace e rabbia di figli dei campi di cotone, ma lontane dal diventare orgogliosamente indomabili come i loro capelli.

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