One day: dopo il romanzo e il film, arriva la serie tv ed Emma e Dexter continuano a commuovere

by Claudio Botta

Un romanzo (edito nel 2009 in lingua inglese e due anni dopo arrivato in Italia) diventato best seller in tutto il mondo, un film di -altrettanto- successo e adesso una serie tv immediatamente schizzata in testa alle classifiche di visualizzazioni sulla piattaforma Netflix. Tre declinazioni differenti della storia di Emma Morley e Dexter Mayhew, venti anni delle loro vite che sono poi venti anni delle nostre vite, dei nostri sogni e aspettative di neolaureati pronti a salire in cima al punto panoramico più vicino ed ammirare la vista sul presente e sul futuro, delle nostre aspettative disattese e delle nostre frustrazioni, delle nostre gavette e delle nostre conquiste, del nostro complicato modo di rapportarci ai sentimenti, al sesso, del confine labile -in certi, immancabili casi- tra amicizia (“pulsione sessuale inibita alla meta”?, per citare Sigmund Freud in maniera frettolosa, ci si vede una prossima volta per riparlarne) e amore. Delle nostre delusioni e dei nostri successi, dei nostri tempi (“troppo tardi o appena in tempo”, la citazione stavolta è di Andrea De Carlo) e dei nostri fallimenti, delle nostre paure e dei freni a mano tirati, delle nostre famiglie immaginate, costruite e disintegrate, di mamme che invecchiano e si ammalano e muoiono e di figli che ti costringono a crescere quando non vuoi o non sei ancora pronto, di figli che non arrivano quando invece pronto lo sei, e forse lo sei sempre stato.

One day è il racconto di un giorno, il 15 luglio 1988, e di un incontro casuale ad Edimburgo, destinato ad attraversare prima, a cambiare poi, due destini. La ricorrenza di San Svitino in Scozia, che ritroveremo anno dopo anno, seguendo Em e Dex nel loro percorso umano, professionale ed emotivo, conoscendo i loro progetti in corso o in stand by, i loro partners del momento, i loro datori e colleghi di lavoro, il loro modo particolare di avvicinarsi e allontanarsi, di cercarsi e di perdersi, di trovarsi e allontanarsi ancora. Lo ha immaginato e scritto David Nicholls, una laurea in teatro e letteratura inglese conseguita proprio nel 1988, una carriera da attore mai decollata e una da sceneggiatore e autore di fiction promettente, ma diventata un’incognita dopo l’improvvisa cancellazione della miniserie Rescue Me, e i primi due romanzi scritti Starten for Ten e The Understudy scritti per necessità più che per ispirazione. Prove tecniche di scrittura del capolavoro che sarebbe arrivato, dai continui cambi di toni e registri narrativi, a tratti divertente, molto divertente e a tratti toccante, molto toccante, avvincente e coinvolgente. Due protagonisti agli antipodi solo in apparenza, in equilibrio instabile non solo nella loro relazione ma nel loro modo di rapportarsi agli eventi che li investono, fragili e forti, buffi e speciali, brillanti e timidi, complicati e ricchi di strati e sfumature, troppo a lungo incapaci di aprirsi e parlarsi davvero.

Una storia che non poteva non avere una trasposizione su grande schermo, nonostante il rischio di deludere come sempre accade in queste circostanze: ma la grande prova attoriale di Anne Hathaway (giovane stella del panorama hollywoodiano lanciatissima dopo Il diavolo veste Prada, fidanzata per quattro anni dell’imprenditore foggiano Raffaello Follieri fino all’arresto di lui all’alba del 24 giugno 2008 nell’attico in affitto a New York)  e Jim Sturgess perfetto nella fisicità e nelle altalene continue del suo personaggio, e la regia curatissima di Lone Scherfig hanno permesso di reggere il confronto, favorendo un’interazione piuttosto che alimentare la contrapposizione tra le due opere, l’una il completamento dell’altra, un ulteriore modo per restare legati ad una coppia immaginaria e a una parte di noi difficile da salutare definitivamente tra nostalgia, malinconia e rimpianti.

L’arrivo della serie in streaming chiude adesso idealmente il cerchio. Quattordici gli episodi, che permettono una maggiore fedeltà al testo letterario e la possibilità di riprendere e sviluppare parti nel film soltanto accennate. Ambika Mod (This is going to hurt) e Leo Woodall (The white lotus), pur bravi e interessanti nella costruzione e nello sviluppo dei loro personaggi, non sembrano avere la chimica che nel film (visibile in Italia su Prime Video) è evidente. La regia affidata a quattro professionisti differenti (Molly Manners, Kate Hewitt, John Hardwick e Luke Snellin) e la sceneggiatura ad altri quattro autori (Nicholls è coinvolto invece solo in veste di produttore esecutivo) fanno emergere, a tratti, elementi scollegati e differenti stili in contraddizione e non naturale evoluzione. Notevole, invece, la colonna sonora che abbraccia un ventennio particolarmente importante per la scena musicale e culturale dell’epoca, e riporta alla luce pezzi di grande successo e chicche come Sonnet (una delle perle contenute in Urban Hymns dei Verve), Lilac Wine di Jeff Buckley (il testo perfetto per descrivere la discesa verso l’abisso e il vuoto di Dexter), Temptation dei New Order, Popscene dei Blur, Thinking about you dei Radiohead, Dreams dei Cranberries, per citarne solo alcune.

David Nicholls ha poi pubblicato altri due romanzi, Noi e Un dolore così dolce, editi in Italia da Neri Pozza, interessanti e che vanno letti, ma One day resta la ‘sua’ opera, e di tanti tanti tanti di noi.

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