«Raccontiamo donne reali, lontane dallo stereotipo della mamma o della massaia del Sud». Bianca Nappi è la faccia libertina e ironica di Lolita

by Nicola Signorile
Bianca Nappi

L’altra faccia di Lolita. Sfrontata, persino “libertina”. Marietta è la migliore amica del vicequestore Lobosco, la protagonista (Luisa Ranieri) della nuova serie Rai girata e ambientata a Bari diretta da Luca Miniero.

Un’altra donna forte, un magistrato, che però a differenza dell’autoritaria poliziotta non disdegna avventure e amorazzi extraconiugali, interpretata dall’attrice Bianca Nappi, originaria di Trani, poco più di 40 anni, ma con una carriera già molto intensa tra cinema (con Ozpetek in ben tre film, anche se è Elena, la sorella del protagonista Tommaso in Mine Vaganti a regalarle la notorietà), teatro e, ultimamente, moltissime incursioni nella serialità.

Il primo episodio de Le indagini di Lolita Lobosco è stato un successo in termini di ascolti, pur con qualche polemica “linguistica” sui social che probabilmente non ha fatto che aumentarne l’appeal. Con Bianca Nappi, a poche ore dalla messa in onda, partiamo proprio da qui.

Che ne pensa delle discussioni sull’inflessione “banfiana” di Lolita?

I puristi della lingua hanno notato che l’inflessione non è davvero barese, ma la serie è completamente incentrata sulla Puglia, su Bari in particolare, quindi sarebbe stato un errore non utilizzarne la lingua. Abbiamo fatto un lavoro importante per rendere la cadenza più realistica possibile. Il cuore del racconto è la baresità e credo che questo sia l’elemento che emerge con più forza. Fermarsi alla cadenza è riduttivo per una serie che rende finalmente Bari protagonista – è successo di rado in passato – e la mostra in tutta la sua bellezza: è una città molto più bella di quanto si pensi”.

Una scena con Luisa Ranieri

Come ha costruito la sua Marietta?

Il punto di partenza sono state le pagine di Gabriella Genisi che tratteggiano un universo femminile un po’ diverso dal solito. È naturalmente un personaggio ironico, da commedia, che fa da contraltare a Lolita. Lei è ironica, libertina, quanto Lolita è rigorosa. Si lancia in avventure sentimentali con più leggerezza mentre l’amica si fa mille domande, si trattiene molto sotto quell’aspetto. Sono ruoli liberatori, eccentrici, che non capita spesso di poter interpretare. Poi non mancherà una evoluzione che non svelo: posso dire che non avrò solo momenti scanzonati e divertenti”.

È soddisfatta dell’immagine che la serie dà delle donne del Sud?

C’è l’idea di raccontare donne reali, lontane dallo stereotipo della mamma o della massaia associato spesso ancora alle figure femminili meridionali. Ho visto una lettura interessante e credo che cerchi qualcosa di nuovo in questo senso”.

Stereotipo perpetrato dalla tv e dal cinema italiano, sta cambiando qualcosa per le attrici?

Ci sono ruoli un po’ differenti che fino a qualche anno fa non sarebbero esistiti in Italia. Ma perché ci sono più autrici e scrittrici, quindi più personaggi femminili nelle storie e non solo personaggi ancillari, di contorno a quelli maschili, madri, figlie, sorelle come una volta. Sono contenta. Anche se molto si può fare ancora per raccontare l’universo femminile e quello maschile nelle loro mille sfaccettature”.

Con Lunetta Savino

Com’è stato girare una serie dai toni di commedia in piena pandemia in una città per lo più deserta, com’è stata Bari a lungo nei mesi scorsi?

Le condizioni erano difficili, bisognava stare molto attenti per portare a termine ogni giorno il lavoro. Certo, l’idea di uscire dall’hotel e poter passeggiare davanti al mare non ha prezzo. Io vivo a Roma da anni e non posso farlo. La situazione di chiusura generalizzata ha creato una coesione maggiore tra di noi, ha stimolato lo spirito di gruppo sul set”.

Con la sua amica Lolita com’è andata?

Non conoscevo Luisa Ranieri. Ci siamo incontrate sul set e c’è stata subito una naturale sintonia professionale, che poi si è evoluta in un bel rapporto di complicità. Una bella scoperta”.

Sfatiamo il mito della rivalità tra donne.

Sarò stata fortunata, ma io mi sono sempre trovata bene coi colleghi, soprattutto con le donne. Se si è professionali, si pensa al bene del prodotto che si sta realizzando. E finora ho sempre incontrato grandi professionisti sulla mia strada”.

Una strada già lunga, partita da Trani.

Ci torno appena posso, sono sempre felicissima di farlo. Poi a Trani ho mosso i primi passi da attrice amatoriale. Da bambina mi sono appassionata alla recitazione. Nelle compagnie locali ho sviluppato quella passione, iniziando a rendermi conto che poteva diventare un lavoro. Sono anni importanti in cui ti metti alla prova per la prima volta, ricchi di ricordi umani e artistici. La passione può salvare i ragazzi dalle cose negative. Quella degli attori è una carriera faticosa, con un livello di incertezza altissimo; se non si proviene da una famiglia di artisti, è anche normale una certa resistenza. Però se si ha voglia e capacità val la pena provare”.

Negli ultimi anni l’abbiamo vista in Gomorra, Skam, Vivi e lascia vivere e ora Lolita. Esigenze professionali o si è innamorata delle serie?

Entrambe. La serialità permette di approfondire i personaggi, i tempi sono più dilatati. Per un attore è interessante poter sviluppare un ruolo in un racconto orizzontale, invece di condensarlo in poche scene. È un modo di lavorare che mi piace. Il lavoro è lo stesso: provo a restituire verità con una espressività ogni volta nuova. Però il mercato, anche in Italia, si sta spostando verso le serie, è evidente. Un fatto che fa emergere nuovi autori. Il cinema tuttavia resta una esperienza unica che non va in alcun modo paragonata alle serie”.

Anche se una delle cose più interessanti nel suo curriculum artistico ritengo sia lo spettacolo Some Girl(s) di Neil Labute, a teatro. Si può parlare di relazioni con originalità e brio, in Italia si tende sempre a buttarla in caciara, che ne pensa?

Però hai preso il drammaturgo numero uno in circolazione, il livello è altissimo! È un testo bellissimo. Ma anche in Italia abbiamo autori giovani e molti interessanti. Spesso a mancare è la voglia di sperimentare dei direttori di teatro, il coraggio di provare strade nuove. Se un testo arriva dall’estero siamo i primi a entusiasmarci, se è italiano c’è molta più diffidenza. Devo dire che si parla davvero troppo poco di cultura e di teatro in particolare”.

Cosa vuole dire?

Che la situazione è da incubo. Sono a rischio posti di lavoro e quindi vite. È necessario portare la questione all’attenzione dell’opinione pubblica, per questo ho partecipato all’iniziativa Facciamo luce sul teatro, ideata dall’associazione Unita di cui faccio parte. Non dimentichiamoci il teatro, non possiamo mollare o accontentarci degli spettacoli in streaming che sono un ripiego”.

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