SanPa: le luci e le tenebre di Vincenzo Muccioli, Dio padre e terapeuta di San Patrignano e quella lunga storia d’amore con l’eroina dei giovani degli anni Ottanta

by Antonella Soccio

“Eh ‘sti figli, 600…troppo prolifico son stato”

Vincenzo Muccioli

Può una persona arrogarsi il diritto di picchiare e segregarne un’altra per salvarla da se stessa? Si è incapaci di intendere e di volere solo perché tossicodipendenti o deliranti in preda all’astinenza? È una malattia la tossicodipendenza? Qual è il limite della punizione usata come terapia? Si può legare una persona in catene solo perché potrebbe danneggiare se stessa? Sono queste le domande senza risposta e senza manicheismi insite in “SanPa. Luci e tenebre di San Patrignano”, la prima docuserie di Netflix Italia, disponibile sulla piattaforma dal 30 dicembre, che sta facendo molto discutere e si è già meritata la distanza da parte della comunità di recupero più grande d’Europa e le critiche di chi ha fornito materiali utili alla regista Cosima Spender ma poi è stato tagliato o completamente ignorato dal montaggio.

Gli interrogativi che si pone la brillante serie da 5 ore divisa in 5 episodi (Nascita, Crescita, Fama, Declino e Caduta) che indaga sulla creatura di Vincenzo Muccioli sono le stesse della psichiatria post Basaglia, se è vero che solo 21 ospedali italiani negano la contenzione e si può ancora morire legati ad un letto. Le stesse che sempre ci si fa di fronte a dei “guaritori” carismatici, dei guru, che scambiano la figura di padre in quella di terapeuta e plasmano ospiti e malati attraverso relazioni e dinamiche di gruppo a rischio plagio.

Il prodotto audiovisivo della società di produzione 42, fondata da Gianluca Neri, realizzata «con immagini tratte da 51 differenti archivi», dopo aver fatto «180 ore di interviste» e «attraverso 25 testimonianze», sta occupando i primi posti della top ten Netflix, sarà disponibile ovunque nel mondo e accende un faro sui tre processi che hanno coinvolto il fondatore, dal processo delle catene fino al caso di suicidio di una ragazza prima (Natalia Berla) e di omicidio di un ospite poi (Roberto Maranzano) nel 1988, massacrato da un operatore ex tossico recuperato e caposervizio nel settore macelleria (Alfio Russo).

San Patrignano. Comunità. Vincenzo Muccioli con ragazzi comunità.

La docuserie, al netto delle polemiche inevitabili per tale materia incandescente, e che secondo la comunità difetta di “Spettacolarizzazioni, drammatizzazioni e semplificazioni presenti nel prodotto”, “chiaramente costruito per scopi di intrattenimento commerciale” e non come “una seria ricostruzione documentaria”, ha il merito di raccontare un pezzo importante della storia degli anni Ottanta del Paese, quando in quel decennio di reflusso l’eroina scendeva a fiumi nelle vene dei giovani, comparve lo spettro dell’Aids a spezzare via il sogno dell’amore libero sessantottino e migliaia di genitori videro distrutta la loro vita e desideravano intimamente la morte dei loro figli tossici e ladri.

La serie va vista anzitutto per comprendere cosa è stata quella gioventù- non più hippie e non ancora rampante o disillusa o cocainomane da sballo come quella successiva- che trovò nella dipendenza l’unico senso d’esistere.

Non tutti erano Andrea Pazienza e tanti diventarono piccoli criminali solo per comperarsi qualche dose.   

Il romagnolo Vincenzo Muccioli, che come lo definì Gianni Minoli in una intervista a Mixer, era un uomo a metà tra Guareschi e Fellini, già avvezzo alla parapsicologia e ad esperienze esoteriche da medium, in quegli anni capì che per soddisfare il suo desiderio di aiutare gli altri doveva inserirsi, da salvatore, nella “lunga storia d’amore” che i giovani allora intrattenevano con l’eroina, convertendo il transfert in una sublimazione lavorativa ed emotiva da ricompensa. In una comune, con stalle, porcilaie, cavalli da corsa, cucina, sartorie e chi più ne ha più ne metta.  

Per alcuni è stato ed è un santo, per altri un manipolatore, che ha comunque salvato moltissime esistenze ai margini, vite di scarto, su cui nessuno avrebbe mai scommesso.

E la verità, come la vita, come spiega uno degli ospiti, è sempre sfuggente, contraddittoria.

“Vincenzo ce l’ho sempre con me, quello che io sono è anche grazie a San Patrignano e grazie a Vincenzo anche se mi tocca riconoscere anche nonostante Vincenzo e nonostante San Patrignano”, “Vincenzo ha permesso ai miei genitori di morire in pace, ha ridato un senso alla mia famiglia”, dicono due degli ospiti più vicini a Muccioli, Fabio Cantelli e Antonio Boschini.

Fra i testimoni coinvolti dagli autori ci sono Andrea Muccioli, il figlio di Vincenzo che è stato a capo della comunità dal 1995 al 2011; Antonio Boschini, appunto, ex ospite, medico e oggi responsabile terapeutico di San Patrignano; Walter Delogu, ex autista e guardia del corpo di Muccioli e la figlia Andrea, conduttrice televisiva; Fabio Cantelli, ospite e poi capo ufficio stampa della comunità; il giudice Vincenzo Andreucci; il giornalista Luciano Nigro; Leonardo Montecchi e Sergio Pierini, rispettivamente responsabile del Sert di Rimini e sindaco comunista di Coriano ai tempi di Vincenzo Muccioli; il presentatore Red Ronnie; gli ex ospiti della comunità Fabio Mini e Antonella De Stefani.

Ma cosa è stato e cosa è San Patrignano?

La serie pone l’accento forse più sulle ombre che sulle luci e sui tanti ragazzi e ragazze che hanno superato la tossicodipendenza grazie al microcosmo romagnolo sulla collina, la città ideale, chiusa e perfetta, dove ognuno con la disciplina può avere la sua seconda chance e ricominciare, dopo essere stato ultimo tra gli ultimi.

Puntare sulle ombre era forse necessario per illuminare il dramma della scimmia, della delinquenza e della dipendenza negli anni Ottanta quando per il sistema pubblico un tossico era solo un piccolo criminale e non poteva che finire in carcere o diventare in mancanza di altre abitudini un habituè del metadone, davanti ai Sert che si trasformavano in squallide piazze di spaccio di droga, corpi e sesso.  

SanPa entra nei primi anni della comunità quando Muccioli per evitare che i suoi ragazzi si facessero più male li legava con catene in stanzini ciechi e organizzava ronde a cavallo per controllare le possibili fughe notturne.

La serie è costruita con un ritmo incalzante, quasi ipnotico, intervallando interviste di chi ricorda Muccioli e materiali d’epoca, tra interviste a lui e filmati in comunità; SanPa segue la parabola del fondatore e vede tutte le parti in commedia: accanto al protagonista indiscusso, sempre sopra le righe e iperbolico come ricorderà suo figlio, gli accusatori, i difensori, i critici e il Giuda. Al giornalista Luciano Negro invece il compito di grillo parlante che fa domande scomode, per poi sospendere il giudizio solo alla fine.

Nei cinque episodi si svelano molti meccanismi ignoti per chi in quegli anni era piccolo o non c’era, il pubblico giovane ne trae un minisaggio sulla dipendenza e sul rehab.

La testimonianza di Fabio Cantelli è molto variegata. Spiega in maniera mirabile la forza dell’insight. L’ex responsabile dei rapporti con i media riconosce una “violenza che continua ad essere esercitata in maniera più nascosta e più sottile” nella comunità.

“I primi 6 mesi scappai tante volte, Vincenzo mi mise in uno stanzino. Il quarto e quinto giorno tentai il suicidio, correndo contro la porta, ma c’era una parte di me che faceva resistenza, c’era il rifiuto della sofferenza per morire. Sentii dal fondo dell’angoscia emergere una stranissima quiete, una luce. Fu una esperienza centrale. Per uscire da dipendenze così profonde bisogna viverla. Per la prima volta mi sono visto da fuori… mi sono intenerito. Se fossi stato in un altro luogo, in uno stanzino sopraelevato con la finestra non ci avrei pensato un attimo a lanciarmi”.

“Su 300 ragazzi, almeno 250 hanno cercato di scappare, e con quei 250 ho commesso dei reati, per riacciuffarli e costringere a salvarsi. Ho placato le loro situazioni psicologiche. Cosa volete fare mettermi in carcere perché ho trattenuto qualcuno ad andarsi a uccidere?”, chiedeva Muccioli in una delle sue tante interviste.

Ma lo Stato può dare il patentino di pestatori? Può accettare la “mortificazione continua della personalità”, come dissero i pm?

L’uso della coercizione non era episodico, ma strutturale. Catene, segregazione, mezzi contrari al senso dell’umanità, questa l’accusa per Muccioli e i suoi 13 collaboratori. Ma lui la legittimazione la sentiva dai ragazzi, sono loro che chiedevano forza, reclusione e autorità “paterna”, come ben sa chi ha avuto dipendenze o disagi psichici e ha una volontà spappolata dalle sostanze e dalle allucinazioni.

“Le catene invisibili dell’eroina sono più difficili da spezzare”, si spiega nel documentario.  

In SanPa si scoprono anche alcuni legami, magari meno noti ai più, come quello con Gianmarco Moratti e sua moglie Letizia, i veri finanziatori dell’opera, o Red Ronnie, che si arruolò da “soldato” alla causa di Muccioli o anche Paolo Villaggio, il cui figlio tossico fu salvato da San Patrignano. Tantissimi altri genitori disperati recuperarono i loro figli sulla collina e ci sono anche le loro commoventi testimonianze.

“Muccioli dà gli schiaffi che noi padri progressisti non siamo capaci di dare”, ammetteva Villaggio negli anni del processo.  

La serie lascia forse un po’ nel limbo il tema dell’Aids così come quello della sessualità etero negata all’interno della comunità, lanciando alla fine del quinto episodio il pettegolezzo o la verità (?) di una presunta omosessualità di Vincenzo Muccioli, morto di Aids nel 1995.  

La versione ufficiale vuole che l’infezione si sia consumata con una siringa mentre assisteva la scimmia del giovane Renzo Pesco, che fu il primo morto di Aids nel 1985. Da quel giorno a San Patrignano arrivarono da tutta Italia centinaia di tossicodipendenti con la malattia già in stato avanzato, una cosa che spinse Muccioli a realizzare dentro la cittadella un ospedale dedicato alle cure, all’avanguardia per l’epoca quando ancora non si sapeva molto del male. Essere positivi, come oggi per il Coronavirus, non significava necessariamente sviluppare la malattia. Ad un test collettivo di qualche anno dopo il 66% degli ospiti risultò infatti positivo al virus, che si trasmette per via sessuale.

La scelta di questo finale sicuramente sporca un po’ il prodotto, quale che sia la verità Vincenzo Muccioli insieme ai Moratti ha costruito qualcosa di enorme in Italia, il suo metodo trova tante repliche più o meno riuscite, più o meno illuminate, in tutta Europa, con tanti terapeuti che giocano alle volte, come lui, a fare i demiurghi. E non solo per la cura dalle dipendenze.

Cosa era San Patrignano in SanPalo lo spiega bene l’attrice e presentatrice Andrea Delogu, che fino ai 10 anni visse in comunità con i suoi genitori.

“Ero libera in una comunità chiusa, loro erano chiusi in un mondo libero. Non avevo paura quando passava Vincenzo Muccioli, era semplicemente Dio che ci stava salutando”.

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