The Crown, la perfetta royal soap opera Netflix all’interno dell’affresco storico d’epoca elisabettiano

by Nicola Signorile

Una ragazza col walkman e i pattini a rotelle. Piena di vita, pronta a scatenarsi con Girls on film dei Duran Duran nelle cuffiette. Si aggira per i corridoi deserti di Buckingham Palace, osservando i preziosi arazzi, gli sfarzosi lampadari, soffermandosi con aria vagamente incuriosita davanti ai ritratti dei sovrani. Diana Spencer balla da sola, sempre. Un pesce fuor d’acqua, ben ritratto in una delle innumerevoli scene memorabili della quarta stagione di The Crown, la serie Netflix ideata da Peter Morgan che dal 2016 racconta la vita di Elisabetta II e della famiglia reale.

Il pubblico ha conosciuto la sovrana, quando, ancora principessa, sposa Filippo di Edimburgo, la sua ascesa al trono nel 1952, le difficoltà di tenere insieme la famiglia e i doveri che le spettano come regnante, i problemi coniugali dell’esuberante sorella Margaret alla costante ricerca di maggior spazio e, dal punto di vista più prettamente politico, il rapporto con i primi ministri succedutisi alla guida del Regno Unito, a cominciare da Winston Churchill, proseguendo con i traballanti premierati di Eden e Macmillan, poi la crisi di Suez, lo scandalo Profumo, il lento declino della potenza imperiale inglese.

Uno show che dalla prima stagione ha abituato benissimo il suo pubblico, ma che nella quarta stagione raggiunge il suo apice: in termini di qualità di scrittura e recitazione, di accuratezza storica e regia, rappresenta il vero gioiello della corona Netflix, e in generale della serialità televisiva contemporanea.

La quarta stagione inizia dove finisce la terza, coprendo il decennio 1979-1990. Rispetto ai precedenti, è un racconto più corale, multi-generazionale. Non ci sono più soltanto Elisabetta (nelle prime due stagioni era Claire Foy, dalla terza il premio Oscar Olivia Colman, per l’ultima volta nei panni di Elisabetta) e Filippo (Matt Smith e Tobias Menzies); i figli sono diventati adulti problematici e a rubare la scena ci sono spesso le due new entry, Margareth Thatcher (Gillian Anderson) e Lady D. (Emma Corin). Figure relativamente recenti di cui molti spettatori conservano un ricordo: raccontare personaggi che rappresentano un significativo pezzo di vita collettiva è un ennesimo banco di prova per The Crown che grattando via la patina dell’etichetta, dei discorsi magniloquenti, delle parate maestose, mostra una famiglia non così diversa da qualsiasi altra: invidie e gelosie, rivalità tra fratelli, tensioni coniugali, madri e padri che si interrogano sui propri fallimenti.

La sfida vinta è incastonare una royal soap opera all’interno dell’affresco storico di un’epoca di grandi sconvolgimenti sociali e politici per il Regno Unito. Attraverso un sapiente uso di immagini d’archivio, la realtà irrompe di frequente nella finzione, mostrandoci con vivida forza le proteste di piazza contro le rigide politiche economiche della lady di ferro e la disoccupazione dilagante, al centro dell’episodio dedicato a Michael Fagan, l’uomo che riuscì a introdursi di notte per due volte a Buckingham Palace.

L’uomo, al quale i servizi sociali negano il contatto con i figli, riesce a parlare con la regina nella sua camera da letto chiedendole di salvare il paese dal primo ministro: “Lei ci ha tolto tutto – dice – anche il diritto ad esser umani e fragili”. Pur in un contesto di dialoghi pressoché perfetti, sono le immagini a rivestire un ruolo preminente nella quarta stagione, esprimendo spesso il senso ultimo di quello che Peter Morgan intende raccontare. La questione irlandese fa capolino attraverso l’attentato a Lord Mountbatten, il tutor di Carlo, simbolo dell’oppressione imperialista. Il primo episodio ci accompagna all’evento luttuoso attraverso un esemplare montaggio alternato (preda/cacciatore) che segue le battute di caccia e pesca dei membri della famiglia, uno dei passatempi preferiti dei reali.

Margaret Thatcher e Diana sono le due grandi storie raccontate dalla quarta stagione. Sul finire degli anni Settanta, la regina e la famiglia sono impegnate a garantire la linea di successione al trono, cercando la moglie giusta per il principe, che a trent’anni è ancora scapolo, “va di fiore in fiore”. In una penombra sospesa tra sogno e realtà Carlo e Diana si incontrano per la prima volta dietro una vasca di pesci (ricordate Romeo + Giulietta di Baz Luhrmann?): il principe di Galles è lì per un’altra donna, la sorella maggiore, Sarah Spencer, lei è poco più di una bambina che cerca di nascondersi, con indosso un costume di scena. È il perfetto incipit di una favola che ben presto vira al nero. Ancora una volta sono le immagini a fotografare i momenti salienti. Le donne di famiglia davanti ai telefoni in attesa della chiamata con cui Carlo annuncerà il fidanzamento. Poi, il primo invito a palazzo di Diana con il presagio di quello che sarà: la ragazza al centro della royal family come un agnello da macello, non conosce alla perfezione l’etichetta, la scala gerarchica degli inchini è un rebus, la camera le gira intorno, tutti ridacchiano imbarazzati, nessun aiuto, nessun conforto. È anche l’inizio della trasformazione in superstar planetaria di una ragazza alla moda che nel 1980 convive con le amiche, va a ballare, ama la musica e il teatro.

Diana non tarda a scoprire che quel matrimonio è una gabbia dorata, i sentimenti del marito per Camilla (Emerald Fennell) non scompariranno. Carlo è un uomo intrappolato tra amore e dovere, la principessa una donna sola in un enorme palazzo. Il ballo su Song of guy di Elton John è disperato quanto le corse in bagno per vomitare tutti i dolci ingeriti voracemente. Un matrimonio da incubo, iniziato come Cenerentola e proseguito come Rosemarys baby, mostrato negli scontri – in una escalation di violenza verbale ed emotiva – e in un singolo momento di avvicinamento reale durante il viaggio in Australia, in cui però Lady D sfoggia tutto il suo carisma, oscurando il consorte e sancendo la fine di ogni prospettiva di riappacificazione.

Impeccabili le prove degli attori. Josh O’Connor fa percepire ogni cicatrice provocata dall’intimo conflitto, tra attrazione e repulsione nei confronti di un essere umano così diverso dai suoi famigliari e vicini: vitale, empatico, estroverso, sua moglie è tutto quello che lui non sarà mai.

Emma Corrin esprime la forza e la vulnerabilità di una giovane donna sottoposta a una pressione enorme, chiamata a mettere il dovere davanti alla felicità personale. Assomiglia in modo impressionante a Diana Spencer, fattore che non è mai stato prioritario per i creatori dello show, basti pensare al lavoro di trucco e parrucco fatto su Gillian Anderson per trasformarla nella Thatcher. Un lavoro di mimesi eccezionale della diva di X Files, che si apprezza maggiormente guardando la serie in lingua originale. Al primo premier donna della storia britannica Morgan riserva alcuni dei migliori momenti dello show. Penso al primo della lunga serie di faccia a faccia con Elisabetta II. L’auspicio regale che a quel punto ci si potesse aspettare l’ingresso di altre donne al governo subito stoppato dalla Iron lady, “Sa Maestà, le donne non sono adatte alle alte cariche, a volte sono troppo emotive”. Battute fulminanti vengono spesso messe in bocca al pungente Denis Thatcher (Stephen Boxer) che commenta l’incontro con un “Due donne in menopausa: sarà una passeggiata!”.

Una donna forte con valori saldi e una caparbietà straordinaria quella ritratta in The Crown con la quale Elisabetta è spesso in contrasto. Sono due facce di una medaglia, molto simili per età e per valori (frugalità, duro lavoro, devozione alla nazione) osservate anche nel loro ruolo di genitrici. Il confronto con la premier preoccupata per la scomparsa del figlio durante la Parigi-Dakar spinge la regina a riflettere sul proprio esser madre e a incontrare i suoi figli uno dopo l’altro, in un crescendo divertente e al tempo stesso inquietante. Disagi, mancanze, infelicità: sono fatte di questo le vite di Anna, Edoardo, Andrea e ancor più di Carlo, che, in quanto erede, vive l’antagonismo con la madre: diventerà ciò che è nato per essere, solo con la morte di lei.

Anime perse, ognuna nel proprio deserto personale, sacrificate sull’altare del dovere. L’assenza di umanità raccontata può sconvolgere, ma è quotidianità per i Windsor. Lo dice perfettamente Filippo a Diana nell’ultimo episodio: “Ognuno di noi in questo sistema è un estraneo, perso, irrilevante e solo, eccetto l’unica persona che conta: la regina, lei è l’ossigeno che noi respiriamo, l’essenza dei nostri doveri”. Lo ha imparato sulla propria pelle la sorella Margaret (Vanessa Kirby nelle prime due stagioni, poi Helena Bonham Carter), molto sacrificata rispetto alle precedenti stagioni. Però Morgan le destina il ruolo di Cassandra sul matrimonio di Carlo e le cuce addosso il settimo, bellissimo, episodio (Il principe ereditario). Oscurata dal fulgore mondano di Lady D, l’ex pecora nera dei Windsor si rivela ancora una volta incapace di recidere il legame con il suo retaggio, nonostante la terribile scoperta di alcune cugine rinchiuse in manicomio e date per morte, un breve sussulto per uno spirito indomito inciampato in un pezzo vergognoso di storia famigliare.

Una stagione che è anche un viaggio intorno al mondo tra il Sud degli Stati Uniti, le Falkland, l’Australia, i Caraibi, il Sudafrica. Sull’apartheid va in scena lo scontro più duro tra governo e casa regnante. Scricchiola l’imparzialità politica della regina. Ma è il castello di Balmoral, la residenza di campagna, il luogo prediletto dei reali. Il teatro degli eventi più significativi, di debutti e prove da superare, di battute di caccia e giochi di società. La distanza siderale tra borghesia e aristocrazia immortalata nella visita dei coniugi Thatcher a Balmoral: la famiglia reale in stivali da pioggia e giacche Barbour intenti a discutere di un cervo ferito e il primo ministro in abito da sera con tacchi e chioma laccata. L’imbarazzo che inaugura il rapporto tra due mondi che sembravano vicini e invece si rivelano opposti. “Che ci faccio qui a perdere tempo prezioso”, è il refrain che sentiamo ripetere alla politica, che vediamo spesso in versione domestica mentre orgogliosamente spadella e serve pasticci a famiglia e collaboratori.

Ma Balmoral è anche il luogo dove testare la nuova fiamma di Carlo; l’uscita venatoria di Filippo e Diana è una sessione di casting e la ragazza lo supera a pieni voti. Il verdetto dei Windsor è scritto: lei è quella giusta per “età, aspetto e estrazione”. Quello che pensa o prova Carlo è del tutto ininfluente.

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