The Sinner, il detective Harry Ambrose e la violenza dei traumi infantili. Non c’è nulla di sacro nella sofferenza psichica

by Molly Clauds

Un Dio vendicatore che guarisce a suo piacimento, la gestald estremizzata in una comune post hippie, la filosofia superomistica di un duo tragico desideroso di proprie regole morali e un panteismo consolatore tra biodanza simbolica e scariche allucinogene.

È un condensato di grandi Altro la serie tv The Sinner con un fascinoso e ambivalente Bill Pullman, dalla recitazione tutta in sottrazione, disponibile su Netflix in tutte e quattro le sue stagioni. Non si sa se ce ne sarà una quinta. Forse no. Ma io ci spero senza dubbio.

Per un po’ di giorni mi sono lasciata condurre, in un mini binge watching notturno, dal detective Harry Ambrose dentro le sinapsi omicide di inconsci feriti, malati o semplicemente deviati dalla irrazionalità della vita, per cui il fato è una somma di coincidenze o di incontri rivelatori, capaci di mettere in scena il copione di ognuno. Sempre uguale e malefico. Dietro un assassino c’è sempre una infanzia violata o turbata, ci dice senza mezzi termini il detective, egli stesso un ex bambino sofferente e “cattivo”, figlio di una madre bipolare, per sei mesi carnale dea creativa e per altri sei muta, immobile e triste creatura anaffettiva ed aggressiva.

Come in un moderno confessionale psicanalitico, il senso di colpa si cura solo con la confessione per Ambrose, che ad ogni caso riconfessa a se stesso e a qualche sospettato la sua scena personale e intima del crimine e quell’incendio purificatore, con cui cercò di “far finire tutto” nel buio della sua infanzia.

Al posto del prete o dello psicanalista, c’è lui, Ambrose, il poliziotto in grado di trovare sempre una connessione speciale con l’indagato, the sinner, il peccatore.

Se nella prima stagione il flusso di coscienza di Cora Tannetti, una fantastica Jessica Biel che è anche produttrice della serie, riporta alla luce, attraverso la violenza, una notte sbagliata e i percorsi sdrucciolevoli che accompagnano i pari- in questo caso due sorelle- a inseguirsi, amarsi morbosamente e torturarsi, nella seconda il piccolo assassino scopre grazie ad Ambrose le sue fragilità e l’errore delle sovrastrutture nelle quali è stato educato. Claustrofobica e disturbante come una fossa nel terreno la terza stagione, di certo la meno riuscita, che porta alle estreme conseguenze, anche un po’ surreali e inaccettabili, un pessimismo cosmico esistenzialista di natura nicciana. Per arrivare ad una quarta stagione, in apparenza luminosa e più trasparente, in cui il detective risolve se stesso insieme al caso incestuoso di una ragazza infelice.

Quello che tiene incollati al grande o al piccolissimo schermo degli smartphone è il ritmo concentrico di The Sinner. Quasi tutte le stagioni, un po’ meno la terza, fanno intravedere un possibile soprannaturale, che viene di volta in volta smascherato da Ambrose, come accade con le macchie di Rorschach, non a caso citate nella sigla e che svelano il volto di ciascun indagato.

Nella serie si evidenzia con molta schiettezza che l’inconscio trasforma in ambito sacro e rituale i vissuti traumatici. L’onirico va a braccetto col sacro e gli archetipi del mito, si sa. Jung e Freud ce lo hanno insegnato. Ecco allora emergere gli incappucciati, come oscuri angeli decaduti, gli amuleti, i totem che liberano le ombre violente, gli altari del sacrificio sul modello di Abramo e Isacco, le Erinni sulle acque.

Ma è nel bosco che in ogni stagione si trova la verità. Tra gli alberi tanto amati dal detective botanico, nelle tenebre si dispiegano le prove.

Non c’è nulla di sacro nella sofferenza psichica. È questa la lezione di Harry Ambrose, che più attira e allo stesso tempo inquieta. Sarebbe facile perdersi in qualcosa di metafisico ed inspiegabile, in cattiverie luciferine o in personalità eterodirette da spiriti e allucinazioni sataniche. Ma Dio è morto in The Sinner.

L’empatia razionale, la comprensione per l’altro arriva sempre a manifestare la luce nel disagio e nel gesto violento.

Che nasce come conseguenza di un trauma. Nella confessione il peccatore ritrova l’origine di se stesso e del suo male inflitto agli altri. Troppo semplicistico ed assolutorio? Può darsi, ma sicuramente è umano.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.