Il tetto di cristallo e le donne antifasciste nel racconto di Miriam Mafai

by Teresa Rauzino

Miriam Mafai, la “ragazza rossa”, ci ha lasciato dieci anni fa … Era una delle firme più prestigiose del giornalismo italiano. Aveva partecipato alla Resistenza e militato nel Partito comunista, poi si era dedicata a un’intensa attività giornalistica, specie sul quotidiano “La Repubblica”, che contribuì a fondare nel 1976. Interessante la sua produzione saggistica, con cui ha raccontato quasi un secolo di storia dell’Italia, con uno spirito analitico sempre acuto e attento alle dinamiche politico-sociali.
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Il 20 febbraio 2004 assistetti al Liceo Scientifico “Volta” di Foggia ad un incontro con Miriam Mafai sul tema “Donne tra politica e sociale nel secondo dopoguerra”.
I temi proposti dalla Mafai sono ancora oggi di strettissima attualità…

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“Non ho mai amato il lamento di Pasolini perché sono sparite le “lucciole”. Lo so che è un modo di dire: non ci sono più le lucciole, il mondo cambia, tutto viene omologato, ma il tempo delle lucciole era anche il tempo in cui le donne andavano a lavare, a sbattere i panni sul greto del fiume. Ora, se io devo scegliere fra le lucciole e la lavatrice, io scelgo la lavatrice. E faccio a meno delle lucciole”.

Ecco uno dei tanti, stimolanti, polemici spunti offerti da Miriam Mafai al pubblico attento e partecipe che ha “invaso” il Liceo Volta, partecipando attivamente ad un interessante dibattito sul tema della “differenza”. Una cosa davvero insolita nella storia dei tanti convegni organizzati a Foggia ed in provincia. La Mafai, “grande firma” del giornalismo italiano ha parlato della condizione della donna. Dal dopoguerra ad oggi, un periodo caratterizzato da grandi conquiste politico-sociali. Un incisivo excursus, quello tracciato: è la testimonianza di una donna del Novecento, che quella storia l’ha vissuta da protagonista. Di una donna fra noi, che ha sempre dato voce sulla stampa e nella saggistica al ruolo femminile, escluso ab aeterno dal palcoscenico della Storia.

IL NOVECENTO, SECOLO DELLE DONNE

Secondo Miriam Mafai, il Novecento è stato un grande secolo. Il Novecento è tutto: è il secolo dei lager, dei gulag. E’ il secolo della paura. Il Novecento è stato anche questo. E’ stato anche, e va ricordato, il secolo dell’ emancipazione e della liberazione delle donne. E’ come se un continente intero fosse stato liberato, anche se poi ognuno ha fatto della propria libertà quello che ha voluto: si tratta di milioni di persone che erano senza diritti, in condizioni di inferiorità dal punto di vista legale, dal punto di vista sociale e psicologico.
Il Novecento è stato il secolo che ha pagato il debito con le donne della Rivoluzione francese. Evento bellissimo sul piano della conquista dei diritti, ma che non mantenne le promesse di uguaglianza. Fu un’infamia, perché sì, le donne furono sempre in testa al corteo dei popolani, e poi? Nulla. Resta celebre l’affermazione di una donna del tempo, Olivia de Bouche: “Ma se noi possiamo salire sul patibolo, avremmo pur diritto di salire in tribuna? (cioè il diritto di parlare?)”. La rivoluzione francese non tenne conto dei diritti delle donne: forse, perché esse non portavano le armi: il vero cittadino, “le citoyen”, portava le armi. E forse il diritto di voto in Italia nel 1946 è stato ottenuto solo in virtù del fatto che migliaia di donne hanno partecipato alla lotta di liberazione. E, in qualche modo, simbolicamente, hanno preso le armi, hanno sparato, sono state attive. Sono diventate, a tutti gli effetti, “cittadine”.

LE DONNE NEL SECONDO DOPOGUERRA

Drammatiche le condizioni di vita delle donne , che ebbe modo di vivere anche la Mafai quando soggiornò in Abruzzo, nell’immediato dopoguerra: “I loro bambini non andavano a scuola perché non avevano le scarpe. Non è un modo di dire, proprio non ce l’avevano. Non sapevano quale fosse il sapore della carne, perché la mangiavano solo qualche volta all’anno. “Era una condizione terribile: per me venire da Roma e vivere in quelle povere case abruzzesi – ricorda- fu un colpo durissimo, ma venni, sì, come mi veniva richiesto, per organizzare le donne. Era un’epoca in cui le donne raccoglievano le olive, raccoglievano l’uva e lavoravano il tabacco, erano soprattutto contadine. In tutto l’Abruzzo vennero aperte delle Camere del Lavoro, ci furono le lotte per le terre: in particolare quella per il Fucino, un antico lago prosciugato dal principe Torlonia, fu una lotta che durò due-tre anni. Noi chiedevamo che quella terra venisse data ai contadini. Quella lotta è stata vinta, ma è stata vinta anche e soprattutto per l’intervento delle donne: erano loro che andavano ad occupare le terre assieme ai braccianti, ai giovani. Furono le protagoniste di quella battaglia. La lotta per il Fucino venne condotta dal sindacato, dai partiti di sinistra, da parte dei parroci e, alla fine, fu una lotta vittoriosa. Io ricordo questo, e poi la lotta di raccoglitrici di uva e di olive, per dire che queste battaglie di carattere economico-sociale hanno connotato quella regione, ma anche gran parte della Sicilia, della Calabria, della Puglia. E su questo bisogna indagare, bisogna capire meglio, bisogna sapere di più, vedere quello che resta nei documenti degli Archivi e portarlo alla luce”.

IL NON-PROTAGONISMO FEMMINILE

Le donne sono dei personaggi, ma non sanno di esserlo, in genere si sottovalutano, non si vantano, come i maschi, di qualcosa che hanno fatto, non lo ritengono importante. Le donne hanno partecipato a queste “battaglie” senza farlo mai notare, in umile silenzio. Si sono mimetizzate, e non sono mai apparse in primo piano nelle pagine storiografiche dedicate a questi eventi. Dopo le lotte per le terre, che le hanno viste indiscusse protagoniste, addirittura sembra che esse spariscano. Se ne perdono i nomi, le facce. Miriam Mafai ricorda: ” Io ho scritto ‘Pane nero’ un libro sulle donne, ebbene quando sono andata ad intervistare quelle che avevano partecipato alla Resistenza, mi dicevano: “Ma io non ho fatto niente. Sì, è vero, ho ospitato dei prigionieri, li tenevo nascosti. “. Ora, quando un civile, allora, teneva nascosti dei prigionieri nella cantina o nel granaio, rischiava la vita. Però quelle donne erano proprio convinte di non aver fatto niente. Questa sottovalutazione di sé deriva dalla generale sottovalutazione: non essendo riconosciute, esse stesse non si riconoscono. Che fare per dare loro il giusto merito di azioni importanti? “Valorizzare questo contributo delle donne, illustrarlo, divulgarlo. E’ un dato che ci aiuterà ad incoraggiare le nuove generazioni e, forse, altre donne di altri paesi e di altri mondi”.

IL TETTO DI CRISTALLO

Che dire del “tetto di cristallo”? Una donna può salire la scala, ma c’è un tetto che non si vede e che gli impedisce di arrivare in cima? “.Oggi esisterà pure il tetto di cristallo – risponde Miriam Mafai – ma una volta, non parlo di secoli fa, ma di 40 anni fa, non esisteva addirittura la possibilità di intraprendere alcuna professione. Fino al 1963 le donne non potevano accedere in magistratura. Ci fu una battaglia sul varo di un articolo di legge della Costituzione: stabiliva che l’accesso era consentito ai “cittadini”, secondo le norme stabilite, escludendo di fatto le donne. Ricordo che ci fu una battaglia delle donne della Costituente, di tutte le donne, dalle democristiane alle comuniste, perché la formula fosse cambiata, e fosse sufficientemente ambigua: l’accesso alla magistratura doveva essere consentito “secondo le norme vigenti”. Senza specificare che fosse riservata ai soli cittadini, agli uomini. Uno dei più illustri giuristi italiani, che poi diventerà presidente della Repubblica, Giovanni Leone, sostenne, in quella sede, che le donne “non erano atte a giudicare”. Sapete perché? Perché in alcuni giorni del mese, nei fatidici giorni… Uno avrebbe potuto benissimo rispondere: “E allora quelle in menopausa?”.
Io ricordo questo per dire che questo accadeva non nella preistoria: siamo alla metà del secolo scorso. In un’Italia democratica che sta elaborando la propria Costituzione, per la quale le donne hanno combattuto contro i tedeschi. Le donne ottengono il diritto di voto, finalmente, ma non sono ancora “atte a giudicare”. Questo dibattito risale al 1947, ci vollero quasi 20 anni di battaglie, che sono state fatte dalle parlamentari di tutti i partiti. Finalmente nel 1963 (nel frattempo c’erano state delle donne cocciutissime, che facevano sempre regolare domanda per entrare in magistratura e veniva sempre respinta) dalla Cassazione, otteniamo una legge per cui anche alle donne è consentito entrare in magistratura. Una delle prime donne-magistrato fu una pugliese, Livia Pomodoro, attuale presidente del Tribunale dei minori”. C’è stato un lungo processo, attraverso queste battaglie, per affermare dei diritti sacrosanti. Sappiamo, sulla nostra pelle, che nessuno regala niente: sono tutte cose che sono state conquistate.
Che dire, infine, delle condizioni di estrema soggezione nei confronti del capofamiglia, del padre o del marito: “Oggi non avete idea di cosa fosse: una donna anche di ceto medio, per lavorare, doveva avere il permesso del marito, se il marito non glielo consentiva e non lo permetteva, non poteva farlo. Il potere e l’autorità sui figli era del padre e non della madre”.

QUALE LA SITUAZIONE DELLE DONNE DI OGGI?

“Indubbiamente – affermò la Mafai – non c’è confronto con quella della mia generazione. Oggi, nelle Università vi sono più donne che uomini, e le ragazze sono indubbiamente più brave dei maschi. Ricordo ancora quando entrai negli anni 60/70 a Montecitorio come cronista parlamentare, di donne eravamo solo in due: io ed una giornalista straniera. Oggi, in politica, ci sono donne autorevoli. Come ce ne sono in magistratura: la Bocassini è il simbolo di una magistratura competente e combattiva. Molti obiettivi sono stati raggiunti, ma, ripeto, affinché l’ottimismo non appaia addirittura stupidità, nulla è conquistato una volta per sempre. Un tempo, quando eravamo in poche a Montecitorio, nei nostri confronti, scattava una sorta di cavalleria da parte dei giornalisti maschi, eravamo il fiore all’occhiello, non rappresentavamo affatto un pericolo. Nel momento in cui in una professione, in posizione di prestigio ci sono molte donne, ebbene questo può rappresentare, provocare anche una, non dico reazione di rifiuto, ma di resistenza da parte degli uomini. Io non sono così sicura che alcune posizioni che abbiamo ottenuto anche all’interno della famiglia non siano, in qualche modo, a rischio, in pericolo. L’insufficienza dei servizi sociali e di assistenza per i bambini mette a rischio l’indipendenza di una donna; siamo in un paese in cui da una parte si sollecita ad avere bambini, dall’altro la maternità non è assolutamente aiutata e tutelata come sarebbe giusto”.

INTERNET, RETE SOLIDALE DEL TERZO MILLENNIO

Come sarà questo nuovo millennio? La Mafai non condivideva l’ottimismo acritico dei più: nessun facile ottimismo, nessuna posizione poteva essere conquistata per sempre. Non bisognava mai abbassare la guardia, considerato il reale rischio di arretramento rispetto a certe conquiste consolidate. Non solo per le donne – anche se correvano un rischio maggiore perché le loro conquiste erano più recenti e, quindi, anche più fragili. “In questo momento, in Italia sono a rischio anche le conquiste dei lavoratori, i diritti dello stato sociale.
Il nuovo millennio si è aperto in modo drammatico. Spero –concluse la Mafai – che questo millennio consolidi i diritti delle donne, di quelle donne che li hanno già conquistati, delle donne del mondo industrializzato ed occidentale.
Ma l’auspicio è che si riesca ad estendere questi diritti anche ai milioni, forse miliardi, di donne che invece in tanta parte del mondo non godono di nessun diritto e sono afflitte dalla miseria, dalla fame dalla malattia, dalla mancanza di istruzione e di salute. Il fatto del tutto nuovo è che siamo qui a Foggia, o a Trento, o a Belluno e ci occupiamo di quello che succede alle donne che stanno in Nigeria. Un po’ di anni fa, quello che accadeva non solo in Nigeria, ma in tutto il mondo non lo sapeva proprio nessuno. Il fatto che ci sia mobilitazione, il fatto che io possa ricevere sul mio computer messaggi da sottoscrivere, è un fatto quanto mai positivo: rappresenta il segno di una crescita di interesse per questi problemi. In fondo, abbiamo l’impressione che il mondo sia problematico, perché ne abbiamo conoscenza. E indubbiamente oggi siamo tutti molto più sensibili ai mali del mondo. Il terzo millennio si apre, dando a noi delle possibilità di intervenire anche sulle tragedie che avvengono altrove, e di cui un tempo non avevamo percezione. Che oggi ci sia, ad esempio, un movimento contro l’infibulazione, lo vedo come un fatto positivo, i fenomeni si intrecciano. Si è creata una grande rete, che può diventare rete solidale. Le possibilità di Internet sono ancora tutte da sfruttare, in questa direzione”.

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