Lavinia Biancalani racconta il successo di The Style Pusher : “Per noi hanno parlato i contenuti”

by Michela Conoscitore

Lavinia Biancalani è una forza della natura: l’imprenditrice pratese nel raccontarsi e nel raccontare quella che è la sua realtà lavorativa, The Style Pusher, ha sprigionato un’energia pazzesca che è poi quella che ha dato vita ad un metodo innovativo e alternativo che ha permesso a lei e ai componenti del suo team di continuare a lavorare anche durante il periodo di lockdown.

Lavinia, nell’entusiasmo contagioso che mi ha trasmesso durante la nostra chiacchierata per bonculture, ha voluto anche puntualizzare che: “The Style Pusher è cresciuta in modo esponenziale, eravamo una realtà piccola e senza aiuti, che è nata da un’idea e da un mio costante reinvestimento delle risorse. Mi piace trasmettere questo messaggio ai più giovani: si può fare, magari con fatica, ma si possono raggiungere dei risultati. Poi, il mio è un ruolo che non sempre è ricoperto da donne, e anche questo è un concetto che mi piace rimarcare”.

Per conoscere The Style Pusher, è importante partire da te Lavinia che ne sei la fondatrice. Puoi raccontarti a bonculture?

Sono nata e ho vissuto nel distretto tessile di Prato, ho respirato il mondo della moda fin da piccola, anche se più dal punto di vista manifatturiero, quindi industriale e di produzione del prodotto. In seguito mi sono trasferita a Milano, dove ho frequentato l’Istituto Marangoni dove ho studiato marketing e comunicazione nella moda. In quel momento c’era ancora un modello comunicativo tradizionale, anche se si stavano già diffondendo i primi social network tanto da appassionarmi a quel nuovo linguaggio che, in effetti, era un mondo tutto da esplorare. Il primo progetto digital legato ai social risale al 2011, un progetto non mio che curavo con altri, e poi nel 2013 ho aperto il mio blog che è stato il risultato di miei studi con un master in social media. Siamo stati tra i primi ad utilizzare questi nuovi mezzi comunicativi, in una fase di transizione che ha visto abbandonare definitivamente il vecchio modello comunicativo. Agli inizi quello che facevo non era nemmeno compreso e considerato un lavoro.

Qual è il percorso creativo che ti ha portato a The Style Pusher?

The Style Pusher nasce come blog, ma oggi è diventato un marchio perché nell’arco di sette anni si è trasformato prima in un magazine, quando lo storytelling del mio blog si è aperto anche ad altri collaboratori, e ad altre tematiche. Da blogger il passaggio obbligato è stato a quello di influencer, e confrontandomi quotidianamente con i brand mi sono resa conto di poter attuare un ulteriore evoluzione: da piccola realtà editoriale, ho messo su un team di fotografi, videomaker, copywriter che con me hanno iniziato a produrre contenuti per il magazine ma anche per il mio blog. In un momento in cui gli scatti per Instagram si realizzavano con pochi mezzi, noi abbiamo investito nella professionalità. A questo si è aggiunta la prima collaborazione con un brand, lo statunitense Smashbox: nel 2017 hanno lanciato i loro prodotti make up in Italia e mi hanno scelta come ambassador. Negli anni, le aziende con cui ho collaborato mi hanno premiata sempre per la qualità dei contenuti, non dando poi tanta importanza ai ‘numeri’ dei miei social. Smashbox mi ha dato carta bianca: abbiamo ideato insieme la strategia comunicativa da adottare per i miei sei lanci di prodotti, nell’arco di un anno, e un budget che ha coperto la creazione di contenuti e l’ampliamento del team. Dopo, è seguita la collaborazione con Dior, e nei due anni successivi abbiamo dato vita alla struttura della nostra realtà creativa. Oggi i brand richiedono la nostra professionalità, e conta che non abbiamo mai fatto autopromozione, per The Style Pusher hanno parlato i contenuti. Era l’obiettivo a cui miravamo.

Oggi The Style Pusher quali altri obiettivi vuole raggiungere?

La nostra mission rimane quella di continuare a creare contenuti di valore che possono migliorare la vita delle persone, per noi lo storytelling ha un’importanza fondamentale e il prodotto pubblicizzato non deve essere subito dall’utente social. Nel futuro ci vediamo oltre che come realtà creativa, anche come casa di produzione. La nostra realtà abita nel quartiere storico de La Barona a Milano, un quartiere dal valore socio-culturale molto importante per la città, dove abbiamo creato un piccolo distretto creativo, con degli studi di registrazione annessi di nostra proprietà, che ci permetteranno di avviarci verso una produzione sostenibile dei contenuti, per cui svilupperemo anche un protocollo, perché è una filosofia che ci rappresenta.

The Style Pusher si distingue da altre realtà simili per i metodi alternativi di lavoro sui contenuti, i quali avete affinato ulteriormente durante il periodo di quarantena. La vostra attività non si è fermata, anzi, e siete riusciti a creare lavori molto interessanti da remoto. Puoi spiegarci questa innovazione?

Grazie alla tecnologia, siamo riusciti a sviluppare una gestione da remoto del lavoro, pensa per esempio alle videochiamate, permettendoci di rimanere sempre in contatto con chi stava realizzando il contenuto. Non sto parlando di banali videocall, ma abbiamo ideato un protocollo, che forniamo a tutte le realtà con cui collaboriamo da remoto, e che prevede tutte quelle che sono le necessità e gli strumenti tecnici per la realizzazione del contenuto. Alla base c’è sempre poi il rapporto di fiducia con i nostri clienti, e con loro abbiamo portato avanti il nostro lavoro anche in un periodo così impegnativo come quello del lockdown.

Come dicevamo, The Style Pusher non si è fermato durante il periodo di quarantena. Quali progetti avete curato?

Abbiamo lavorato con Bikkembergs, un brand che abbiamo acquisito dal 2019 e che ha investito molto nei nuovi linguaggi dei social: con loro abbiamo realizzato contenuti, anche sulla collezione, durante il lockdown. Abbiamo creato dei contenuti video sull’abbigliamento sportivo, nei quali abbiamo guidato i modelli che hanno realizzato le riprese in autonomia ma con regia da remoto, seguendo il nostro protocollo. Poi abbiamo lavorato con Dry Milano, un ristorante molto conosciuto qui che, essendo nella ristorazione, è tra quelli che ha sofferto di più come attività durante la quarantena. Per loro abbiamo contattato i nostri Dj, e organizzato dei dj-set per intrattenere i follower del ristorante sui social, ma anche video pillole sul cibo con i loro chef. Per la band Negramaro, invece, sempre un contenuto video che ha raccolto tre loro canzoni registrate live e con regia gestita da remoto. Anche questa è stata una piccola sfida, visto il momento particolare, ma che ha avuto un discreto successo. Siamo stati i primi a concepire questo metodo alternativo per la creazione di contenuti social. I brand in questo periodo hanno centrato la loro comunicazione sui valori, e mi pare anche sensato visto quel che abbiamo vissuto.

Lavinia, tu che lo vivi da vicino il mondo della moda, puoi affermare che i più giovani sono molto influenzati da essa, vero?

Assolutamente. La nostra mission è proprio quella di dare valore alla comunicazione sui social, soprattutto perché la nuova generazione è nata con essi. I ragazzi non compiono soltanto delle scelte di acquisto, ma anche scelte etiche e sociali. I brand hanno compreso che si stanno interfacciando con dei ragazzi che non li vedono più come una realtà distante e distaccata che ti vende semplicemente un prodotto, ma che è parte integrante della loro vita. I ragazzi di oggi seguono la filosofia del brand di cui acquistano capi d’abbigliamento.

Cosa ti rimarrà del periodo di lockdown, per quel che concerne il tuo lavoro?

Il mio lavoro, innanzitutto, per me è soprattutto una passione. In questo periodo ho avuto la riconferma che il team è il valore aggiunto della mia realtà lavorativa, credo tantissimo nel lavoro di gruppo perché l’unione davvero fa la forza. Anche se via Zoom, leggevo negli occhi dei ragazzi tanta speranza per il futuro e partecipazione, che non è scontata. Personalmente, ho assunto un atteggiamento positivo verso il lockdown, ho deciso di non subirlo. Ho proseguito a lavorare, e ho approfondito aspetti che non avevo avuto il tempo di analizzare in precedenza. Ho ricentrato le priorità. Soprattutto non ho mai pensato di non potercela fare, ho la responsabilità dei ragazzi che lavorano con me, non mi ha mai sfiorato l’idea che questo momento avrebbe avuto ricadute negative su The Style Pusher.

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