Margherita Sarfatti, l’intellettuale della Città futura, che influenzò Mussolini. Intervista allo storico Emilio Gentile

by Antonella Soccio

La coltissima Margherita Grassini Sarfatti, nata da una famiglia ebraica alto borghese, ha 32 anni quando, nel 1912, incontra Benito Mussolini. È lo stesso marito, il socialista Cesare Sarfatti, a dirle di “appuntarsi il suo nome”.

Per 17 anni, la scrittrice, critica d’arte e amica dei futuristi sarà la maestra, la musa e l’amante dell’uomo del secolo.  Lo storico Emilio Gentile questa mattina al Teatro Petruzzelli di Bari per il penultimo appuntamento delle “Lezioni di Storia. L’Italia delle donne” di Laterza non parlerà della loro ardente relazione. Non si occuperà della “tenerezza violenta” del “devotissimo selvaggio” Mussolini innamorato di Sarfatti né della abnegazione passionale di lei, di cui tutti sanno, ma individuerà i tratti speciali di una donna, che ha dato forma all’estetica fascista negli anni Venti. “Compito di uno storico è accertare i fatti per come si sono manifestati e per come sono accaduti eliminando leggende ed esagerazioni”, spiega il professore.

Lo storico Emilio Gentile

Noi di bonculture lo abbiamo intervistato.

Professor Gentile, che donna era Margherita Sarfatti? Le si fa un torto relegandola nel ruolo di amante erudita? Come la presenterà al Petruzzelli?

Margherita Sarfatti è conosciuta, al di là degli studiosi, come l’amante di Mussolini. Io non mi occuperò dell’amante di Mussolini, non mi occupo della simbiosi dell’alcova, di due amanti, ma piuttosto della simbiosi di due menti, perché indubbiamente il rapporto tra Benito Mussolini e Margherita Grassini Sarfatti prima ancora che ci fosse una relazione sentimentale inizia da una concordanza, quando erano due giovani che operavano in campi diversi, seppur accumunati dall’idea socialista. La concordanza è su due temi. Il primo su cosa doveva essere l’Italia nel Novecento. Il secondo come far sì che l’Italia conquistasse nel Novecento una nuova grandezza. È interessante quello che metterò in luce- cosa che non mi pare sia stata fatta dai biografi e dagli studiosi della Sarfatti- prima ancora di conoscersi, negli anni fra il 1902 e il 1909, negli scritti di Mussolini e negli scritti della Sarfatti, ignorandosi quasi certamente l’uno con l’altro, ritornano questi temi fondamentali. Primo: la cultura deve avere insieme alla politica una funzione di rigenerazione, di educazione collettiva, per formare cioè un individuo integrato in una collettività nazionale. Secondo elemento, ovviamente per Mussolini era la cultura politica, per la Sarfatti l’arte, c’era una concordia di obiettivi.

Solo dopo il 1912 si conosceranno, quando Mussolini diventa direttore de l’Avanti e addirittura Sarfatti riceve un ritratto entusiastico straordinario da suo marito in una lettera di questo giovanissimo che esplode sulla scena nazionale improvvisamente al congresso di Reggio Emilia, nel 1912. Mussolini si afferma l’esponente più prestigioso e autorevole, capace ed efficace della corrente rivoluzionaria.

Sia Sarfatti sia Mussolini hanno del socialismo una interpretazione di tipo religioso, di una religiosità laica. Di una fede che doveva essere capace di integrare l’individuo nel socialismo, in una Città futura, come la chiamava Margherita Sarfatti. Dal 1915 la Città futura diventa il nuovo Stato, la nazione italiana, l’Italia rigenerata dalla guerra, che deve avere finalmente la sua capacità di imporsi con un nuovo primato. Lasciamo perdere la simbiosi tra i due amanti, su cui troppo si è insistito. Quello che cercherò di dimostrare è che la loro è una simbiosi tra due menti che si scoprono molto affini.

La Città futura di Margherita Sarfatti è anche la Città che sale di Umberto Boccioni, Sarfatti vive in un momento storico di grande cambiamento. Da “papessa dei futuristi” era attratta da tutto questo vitalismo? Ne era parte integrante?

Sì, c’erano tutte queste correnti di nuovo idealismo. Infatti Mussolini parlerà della sua concezione idealistica e rivoluzionaria del socialismo e del marxismo per restituirgli una vitalità rivoluzionaria.

L’intermediario di un incontro che non ha alcuna risultanza fisica è La Voce di Prezzolini, perché entrambi si trovano ad ammirare l’impresa del giovane direttore e fondatore de La Voce, capace di creare una cultura che svolge una funzione pedagogica nazionale, scoprendo i problemi dell’Italia e mettendo gli italiani di fronte alla necessità di acquistare un carattere più civile, serio e di affrontare la modernità. L’altro tema di cui si trovano espressioni e articoli quasi simili tra loro due è l’idea della modernità, l’idea di travolgenti cambiamenti a cui bisogna saper resistere per superarli, non per negarli. A questo si lega la simpatia di Margherita Sarfatti per il Futurismo e in particolare per Boccioni. Mussolini non aveva grandi simpatie per il Futurismo, non aveva una grande sensibilità per l’arte figurativa. Quando si conoscono Mussolini e Sarfatti la simbiosi tra le due menti va da Margherita a Mussolini. Lui apprende moltissimo dalla Sarfatti, così come aveva appreso la cultura marxista da un’altra donna, Angelica Balabanoff. Mussolini va sempre a scuola dalle maestre, come se gli fosse rimasto il complesso della mamma maestra.

Si dice spesso che Margherita Sarfatti abbia introdotto Mussolini nei grandi salotti milanesi della sua casa di Corso Venezia, che lo abbia “dirozzato”. È esagerato usare questo termine?

Sì, è esagerato, Mussolini non è un salottiero, come giornalista e direttore non dipende dalla conoscenza dei salotti, era refrattario, la stessa Margherita quando viene notata dalle sue amiche, gli fa fare lunghe attese prima di riceverlo. Quando le chiedono: ma chi è quel tizio lì? Lei rispondeva: è un teppista. Dire che lo ha dirozzato aggiungendo che lo ha fatto entrare in una sfera di influenza più importante significa sminuire il loro rapporto. Margherita collabora alla rivista Utopia e assorbe da Mussolini l’idea di un socialismo idealistico del primo periodo fascista dal 1919 al 1925. In quegli anni tutto ciò che Mussolini svolge poi come capo del Governo per la politica culturale a cominciare dal culto della romanità deriva dall’influenza di Margherita Sarfatti.

Che tipo di relazione aveva Margherita Sarfatti con l’idealità della rivoluzione fallita di Gabriele D’Annunzio a Fiume?

Margherita ammirava D’Annunzio, ma non ha avuto nessun ruolo nell’impresa di Fiume.

Come mai gli ambienti alto borghesi milanesi si invaghiscono del “coraggio che viene dal basso” di Mussolini e dei suoi Arditi?

Dipende da quello che accade dopo il 1919: quando Mussolini è in strettissimi rapporti personali con Margherita Sarfatti, in realtà è un fallito dal punto di vista politico. Nelle elezioni del 1919 lui, che pure era sulla scena da almeno 7 anni, prende meno di 5mila voti a Milano. E si considera un fallito e la stessa Margherita nella sua biografia Dux racconta come Mussolini, travolto dal fallimento del 1919 col tentativo del primo Fascismo che si esaurì in pochissimi mesi, volesse abbandonare la politica, vendere il giornale e andarsene in giro per il mondo a suonare il violino a o fare il commediante o a scrivere opere teatrali e saggi filosofici.

Come fa la politica di Mussolini ad attrarre ceti così differenti da quelli di Margherita Sarfatti?

Ma non sarà Mussolini, sarà lo Squadrismo, che non nasce da Mussolini, ma dagli squadristi, dei giovani che si richiamano simbolicamente al Fascismo di Mussolini, ma lui non ha più ruolo. E anche in questo è importante Margherita, perché quando Mussolini si mette alla testa del Fascismo nel 1921 è Margherita che gli fornisce il concetto di gerarchia. Mussolini nel 1922 fonda una rivista, che affida alla direzione di Margherita Sarfatti che si intitola Gerarchia, ma Margherita già all’inizio del Novecento parlava della necessità di rigenerare la nazione attraverso nuove gerarchie, nuovi valori. Queste sono idee di Margherita Sarfatti, che Mussolini fascista nel 1920 acquisisce e pone alla base della sua ideologia.

Prima professore parlava del mito della romanità così importante in Margherita Sarfatti. Come si sposa la classicità romana con la ricerca della modernità estrema e della velocità futurista?

C’è un grande equivoco, quando si parla della romanità fascista si dicono delle sciocchezze, si attribuisce a Mussolini l’illusione di poter restaurare la romanità. Ma questo è totalmente falso, tanto è vero che quando Mussolini cominciò l’opera di distruzione per mettere alla luce i monumenti romani, face seppellire molte rovine romane, perché non servivano a creare la sua scenografia nuova. Si parla di una romanità da reinventare, i fascisti volevano essere i romani della modernità. Così come Roma aveva saputo fondare una società basata sulla completa partecipazione del cittadino, del romano alla vita dello Stato ma unendo insieme arte, politica e religione, allo stesso modo, ma in senso moderno, il Fascismo voleva realizzarlo, ma era un esperimento nuovo, che si richiama al Mito di Roma, ma non per fare la copia di Roma. E in questo è molto importante Margherita, che già con l’iniziativa del suo movimento, Novecento, sostiene che bisogna abbandonare l’orgia della frantumazione e della dissoluzione, anche dell’epoca futurista, per lavorare alla elaborazione di una modernità classica, che abbia la capacità innovativa inquadrata in nuove sintesi. Per inventare una romanità per il XX secolo, che sarà lo Stato totalitario, la religione politica del Fascismo e l’integrazione delle arti con la politica totalitaria.

Da qui i quadri paesaggistici di Sironi, possiamo dire che Margherita Sarfatti ha inventato l’estetica del Fascismo?

Penso che si possa dire di sì, anche se è sempre difficile individuare una sola persona. Ma se pensiamo all’importanza che avrà Sironi nell’architettura, nella pittura murale e nel lanciare un’arte collettiva che trasmetta concetti al popolo, ebbene queste sono sicuramente idee di Margherita Sarfatti.  

Margherita Sarfatti vive l’ultima parte della sua vita da esule, perché ebrea. Quanto è stata grande la delusione di vedere il suo ideale infranto in una deriva violenta, razzista e antisemita?

Era quello che lei non immaginava, ma il distacco di Mussolini da lei comincia già alla fine del 1929, quando protesta in maniera forte nei confronti della Sarfatti e le dice: smettetela di usare il mio nome per le vostre iniziative con Novecento. E infatti poi dirà all’inaugurazione della quadriennale a Roma nel 1931 che il fascismo non protegge nessuna corrente artistica particolare, mentre Margherita sperava che la sua corrente Novecento diventasse l’arte fascista ufficiale. È dal 1931 che Mussolini consente gli attacchi ferocissimi di Farinacci, la rimuove dalla direzione di Gerarchia e inizia il distacco, su cui molto ha influito il viaggio di Margherita Sarfatti negli Stati Uniti del 1934. Lei non si converte alla democrazia americana, ma nel suo libro “La ricerca della felicità” che esce nel 1937 fa un ritratto molto affascinante di Franklin Delano Roosevelt, contrapponendolo al Duce dell’Impero fascista sempre più attratto da Hitler, cosa che Margherita non voleva. Le leggi razziali sono del 1938 e si rende conto che ogni rapporto col Fascismo e con Mussolini viene stroncato da un’iniziativa che mai si sarebbe aspettata da Mussolini, ossia di fare dello Stato fascista, che per Margherita doveva rappresentare il suo ideale di città futura, uno Stato ufficialmente antisemita.

La città futura non poteva essere razzista…

La città futura è un termine che compare nei primi scritti di Margherita Sarfatti, poi curiosamente anche Gramsci parla di città futura. Era un mito, che circolava nella cultura italiana sia artistica sia politica in tutto il primo Novecento, che troverà delle vie completamente opposte: da una parte il comunismo italiano e dall’altro il fascismo. Margherita partecipa al fascismo convinta di poterlo orientare, verso la realizzazione di una comunità nazionale in cui la gerarchia degli spiriti eletti eleva il popolo e lo converte.

Siamo a 100 anni dalla nascita dei Fasci di combattimento, si discute sempre di un ritorno al fascismo col sovranismo attuale. Ritiene vi siano spiriti come quello di Margherita Sarfatti? Quegli ideali di popolo sono rintracciabili nel populismo odierno?

C’è una enorme differenza, questi giovani, uomini e donne, che partecipavano ai movimenti, avevano la convinzione, anzi il mito fortissimo, che l’Italia era destinata ad essere una grande nazione e ad avere un nuovo primato. Oggi mi pare non ci siano speranze o illusioni o miti di questo genere. L’Italia vive in uno stato di confusione e di paura piuttosto che di entusiasmo e di speranza.

Una paura che non è la stessa che si aveva allora per il comunismo nascente?

Questa è una sciocchezza storica. Il Fascismo va al potere nel marzo del 1922, ma già da due anni Mussolini diceva pubblicamente che in Italia non c’era un pericolo bolscevico e lo dimostra il fatto che la prima cosa che fa Mussolini quando diventa Presidente del Consiglio è di avviare subito delle buone relazioni con l’Unione sovietica e l’Italia è il primo Stato insieme all’Inghilterra nel 1924 che riconosce l’Unione Sovietica e riconosce ottimi rapporti commerciali anche di reciproca simpatia. La paura del bolscevismo forse ci fu, ma ci fu nel 1919, non come dicono gli storici con la Marcia su Roma, che motivano come un atto di paura nei confronti del bolscevismo. Dopo l’occupazione delle fabbriche non c’è più nessun pericolo, è fallita la speranza del bolscevismo. Dal gennaio 1921 con la scissione del Partito comunista, questa minaccia bolscevica si frantuma in tanti comunismi contrastanti e si suicidano praticamente. Il fascismo come organizzazione armata e militare distrugge materialmente l’organizzazione che per 30 anni il Partito socialista aveva costruito.

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