Bella, provocante e civettuola: la spigolatrice di Sapri pornodiva è l’ideale di donna che ancora sognano gli uomini

by Paola Manno

La statua della spigolatrice di Sapri, inaugurata in questi giorni alla presenza di Giuseppe Conte e Carlo Sibilia, mi disturba come Brad Pitt nei panni di Achille, come Monica Bellucci nelle vesti della Maddalena. Mi disturba come quei film americani dove l’eroe è sempre figo, intelligente, caparbio e sexy e nonostante i mille guai trova sempre il modo di sorridere, sfoggiando denti perfettissimi, naturalmente. Mi disturba come MacGyver che “con una cingomma (una chewing gum) crea una bomba”, come diceva un mio amico brasiliano, qualcuno, insomma, che ha la presunzione di essere vero, e invece è una caricatura di se stesso. Insomma, o sei un super eroe e ti presenti con il mantello svolazzante e i muscoli in bella vista, oppure sei una persona normale e ti racconti come realmente sei.

Non è una questione di bellezza né di nudità. La bellezza ha mille volti e la nudità mille significati. È un questione di rispetto, qualcosa che ha a che fare con il senso della Storia e anche, io credo, con le questioni di genere che appunto, nelle questioni storiche, vengono sempre all’ultimo posto.
Allora domandiamoci: chi era la spigolatrice di Sapri? La donna, una contadina del Cilento, è la protagonista di una celebre poesia di Luigi Mercantini, ispirata alla spedizione di Pisacane. Un tempo si studiava a scuola, mia nonna la citava a memoria e anch’io, da bambina, rimasi affascinata da quei versi: “Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti”.

Mi capitava di ripetere quelle rime, e ovviamente me l’immaginavo, questa contadina che osservava da lontano quei ragazzi che andavano a morire per la libertà; uno di loro era biondo e bello. Per me la spigolatrice era esattamente come mia nonna, però da giovane, con il fazzoletto in testa e gli occhi immensi, stupenda ai miei occhi affezionati, era come nella foto che teneva sopra il caminetto, quando aveva 16 anni. Era bella come le donne che si idealizzano, e tuttavia non era certamente una modella, né tantomeno una pornodiva come quella rappresentata dalla statua di Emanuele Stifano.

Che poi sarebbe pure interessante realizzarla, una statua di una pornodiva, senza falsi moralismi, con naturalezza e rispetto. Una statua che celebri le lavoratrici del sesso, che hanno una storia e un ruolo nella storia d’Italia, proprio come le spigolatrici, benché facciano tanto paura e benché nessuno abbia mai dedicato loro versi tanto pieni di dignità. Qui non si ha paura di un fondoschiena ostentato in un attillato perizoma, che certamente non scandalizza più delle pubblicità oscene di cui sono piene le nostre città. Lasciatela pure lì, quella statua, non copritela come è stato fatto, però, per favore, non chiamatela “la spigolatrice di Sarpi” perché questa donna una spigolatrice non è, né minimamente la ricorda. È un mix tra il sogno erotico di tanti film di serie B (che pure hanno tutto il diritto di esistere) e la bellezza angelicata tanto cara alla nostra poesia, qualcosa che ha come scopo quello di conciliare la brava lavoratrice della terra con la sua intima natura da femme fatale.
Quella statua è orrenda perché non esalta il corpo femminile, ma lo mortifica. Non esalta la forza delle braccia, delle gambe, ma ostenta un fondoschiena che sessualizza il pensiero. Provo orrore di fronte a quella schiera di uomini con la mano sul cuore di fronte a questa statua provocante, e che sì, accidenti, ha a che fare con la questione della violenza sulle donne. Dobbiamo dircelo senza paura, e dobbiamo anche dirlo a chi ha difficoltà a comprenderlo: una certa rappresentazione della donna ha sempre a che fare con la mentalità maschilista. Dopo le numerosissime polemiche, venute sia da uomini che da donne, l’artista si è giustificato con queste parole sul suo profilo Facebook “Sono allibito e sconfortato da quanto sto leggendo. Mi sono state rivolte accuse di ogni genere che nulla hanno a che vedere con la mia persona e la mia storia. Quando realizzo una scultura tendo sempre a coprire il meno possibile il corpo umano, a prescindere dal sesso. Nel caso della Spigolatrice, poiché andava posizionata sul lungomare, ho “approfittato” della brezza marina che la investe per dare movimento alla lunga gonna, e mettere così in evidenza il corpo.

Questo per sottolineare una anatomia che non doveva essere un’istantanea fedele di una contadina dell’800, bensì rappresentare un ideale di donna, evocarne la fierezza, il risveglio di una coscienza, il tutto in un attimo di grande pathos.” Insomma, idealmente una donna fiera è una signorina che sfoggia con fierezza un bel fondoschiena in una giornata di vento. Che tristezza pensare che questa non solo è l’idea di bellezza femminile descritta da un uomo, ma che addirittura abbia a che fare con il risveglio della coscienza. Per me la fierezza è un’altra cosa e non la si racconta certo con la procacità in bella vista. Immaginate una statua del milite ignoto o del partigiano morto per la libertà con delle chiappe marmoree che sfoggia con onore, o il membro grande e forte in evidente mostra. Non esistono statue del genere. Fatela piuttosto nuda, con un fascio di spighe in mano, questa spigolatrice, come una divinità greca, come un ignudo Nettuno su una fontana, affinché si possa parlare di bellezza ideale. Questa spigolatrice non mi piace perché non racconta la verità, e non è nemmeno un’ideale, non è una storia e nemmeno una leggenda. A me pare piuttosto la rappresentazione di ciò che una donna italiana dovrebbe essere, nella testa di chi l’ha concepita: bella, provocante, civettuola. In questo caso la cattiveria non è affatto negli occhi di chi guarda. Il problema è invece negli occhi di chi ha sempre guardato le donne in un determinato modo, e così le ha dipinte, narrate, scolpite. Una donna è molto, molto più di questo. Forse lo scultore non è stato abbastanza attento, o forse -speriamo- è solo che ha visto troppi film americani.

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