“Diario di scuola” di Daniel Pennac, il regalo che ogni insegnante dovrebbe farsi

by Paola Manno

“Diario di scuola”, edito in Francia (Éditions Gallimard) nel 2007 e pubblicato in Italia da Feltrinelli l’anno successivo, è una lunga, interessante riflessione dell’autore del celeberrimo Ciclo di Malaussène, sulla figura dell’alunno svogliato, quella che lui chiama, senza mezzi termini, “il somaro”. “Ogni sera della mia infanzia tornavo a casa perseguitato dalla scuola. (…) -Capisci o no quello che ti spiego? -chiedeva il maestro. Non capivo”.

Daniel Pennac, uno dei più famosi scrittori francesi contemporanei, è stato un pessimo alunno.

Lo racconta lui stesso ricordando i penosi giorni delle infinite liti con i genitori, le umiliazioni, gli sforzi e le delusioni, ma soprattutto un dolore che, nonostante i successi letterari e l’attività di docente, pulsa ancora nel suo cuore. Le ferite che la sua somaraggine gli ha inflitto non si sono mai rimarginate del tutto e ricordare quell’infanzia fa ancora male, perché è impossibile andarne fieri. È il dolore “dell’asino”, la sofferenza del non capire, è qualcosa che ha a che fare con la paura e allo stesso tempo con l’indifferenza, con la rabbia e con la vergogna. Quel bambino respinto dalla scuola spesso torna a trovarlo e lo accompagna nel suo ruolo di insegnante, di autore che gira nelle scuole per raccontare ai ragazzi la bellezza della letteratura. Quel bambino che è stato è come certi studenti che oggi popolano le scuole, anche se i somari degli anni 2000 hanno i cellulari sempre in mano e mille distrazioni in più. Pennac ci porta nelle scuole di Francia – così simili a tutte le altre- per raccontarci come vivono gli ultimi, quelli che vengono dimenticati e allontanati dalle istituzioni. Quelli che devono trovare altre strade e spesso si perdono. Racconta i bisogni degli studenti più fragili per poi soffermarsi sulla figura dell’insegnante.

Pennac è uno di quelli che è convinto che un maestro, anche da solo, possa salvare una vita. Ricorda come il suo docente di francese, durante l’ultimo anno di scuola, comprese la sua dislessia e insieme la sua passione per la scrittura, invitandolo a scrivere un romanzo. Fu lui la sua ancora di salvezza. Se quell’insegnante non avesse creduto in lui, probabilmente oggi non leggeremmo “Il paradiso degli orchi” o “La fata carabina”. Chi è il bravo insegnante? “Difficile spiegarlo, ma spesso basta solo uno sguardo, una frase benevola, la parola di un adulto, fiduciosa, chiara ed equilibrata per dissolvere quei magoni, alleviare quegli animi, collocarli in un presente rigorosamente indicativo. Naturalmente il beneficio sarà provvisorio, la cipolla si ricomporrà all’uscita e forse domani bisognerà ricominciare daccapo. Ma insegnare è proprio questo: ricominciare fino a scomparire come professori. (…) Certo, non saremo gli unici a scavare quei cunicoli o a non riuscire a colmarli, ma quelle donne e quegli uomini avranno comunque passato uno o più anni della loro giovinezza seduti di fronte a noi. E non è poco un anno di scuola andato in malora: è l’eternità in un barattolo”.

Per Pennac, dunque, è l’amore il sentimento capace di salvare i ragazzini perduti. Leggere “Diario di scuola” è un regalo che ogni insegnante dovrebbe farsi, non solo perché l’autore fa una profonda riflessione sul mondo della scuola, ma anche perché è uno scrittore pieno di poesia, e nel finale ci dona una delle più belle metafore sui ragazzini che sembrano non imparare mai. Il somaro non è un un bambino stupido, ma è la rondine dello stormo che sbatte a una finestra e cade tramortita. È l’insegnante che può raccogliere quella rondine distratta, o testarda, o fragile, a terra tramortita, e salvarla.

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