“Dov’è Anne Frank”, la graphic novel, per portare in salvo l’infanzia che vive in luoghi di guerra

by Paola Manno

Sarebbe bello se le parole che hanno accompagnato tempi bui, alleviando sofferenze, potessero diventare corpi. Corpi veri, persone reali. Se i pensieri che ci fanno stare bene si trasformassero in amici, se potessero camminarci affianco, darci coraggio, continuare a parlare con noi, di noi. Diventare altro. Diventare vivi. È quello che succede nella graphic novel appena pubblicata da Einaudi ”Dov’è Anne Frank”, del regista israeliano Ari Folman affiancato dalla disegnatrice Lena Guberman, che parte esattamente da quest’idea e fa diventare Kitty, l’amica immaginaria di Anna, una bambina vera.

È una notte di tempesta, nella casa-museo di Amsterdam, dove è custodito il famoso diario, prende forma il corpo di una ragazzina. Ha i capelli rossi, gli occhi grandi e la prima parola che pronuncia è un nome “Anne?”. Così comincia la rivisitazione di una storia che tutti conosciamo e che, attraverso un punto di vista ancora inedito, quello del personaggio di Kitty, dimostra che il celebre documento non ha ancora concluso di offrirci nuovi pensieri. Così il diario diventa altro, incarna un messaggio drammaticamente attuale e necessario: il diritto alla vita di chi oggi è respinto alle porte dell’Europa. La Kitty bambina esce dunque dalla casa museo di Prinsengracht, percorre i quartieri turistici dove il nome di Anne è sulle targhe delle biblioteche, sui ponti, sugli edifici scolastici, salta sui tetti di Amsterdam, quasi volando, per ritrovare, tra gli ultimi, chi davvero incarna oggi il nome della sua amica. Si ritrova così in mezzo ai profughi che nessuno vuole, bambini, ragazzini che vivono ai margini, braccati dalla polizia che li vuole espellere perché privi di documenti. Insieme a un gruppo di disperati, Kitty conosce Peter, un giovane scappato dal suo Paese in guerra, che non è Peter van Pels, il ragazzo ebreo amato da Anne, morto ammazzato dalla furia nazista nel campo di concentramento di Mauthausen, o forse sì. E certamente è il volto di tutte le vittime delle politiche di odio, è il volto di chi cerca di attraversare il confine tra Bielorussia e Polonia, quello dei morti annegati nel Mediterraneo.
Lo scopo di questa ennesima, importante pubblicazione sull’Olocausto è evidentemente didattico. Lo esprime lo stesso autore, figlio di sopravvissuti ebrei, nella post fazione “L’idea nasce dal desiderio di raccontare attraverso un mezzo accessibile come il graphic novel l’Olocausto, per raggiungere il maggior numero di persone in tutto il mondo. Ma non sono solo gli ebrei ad essere vittime dell’odio cieco contro chi pratica una diversa religione, appartiene a un popolo o ha una pelle più scura. Musulmani, cristiani e altri gruppi religiosi o etnici sono oggi bersaglio di feroci attacchi. Il messaggio è fondamentale ed eterno: qualsiasi bambino che viva una zona di guerra deve essere portato in salvo a ogni costo”.

“Dov’è Anne Frank”, intreccia piani temporali diversi, passa dal racconto della Seconda Guerra Mondiale a quello della politica contemporanea, fa incontrare il passato e il presente, personaggi reali e finzioni narrative in un universo complesso, non facile da percepire per i lettori più giovani che certamente avranno bisogno di essere accompagnati nella lettura. E forse va bene così, perché anche gli adulti hanno bisogno di ripetere le lezioni della storia.

Il libro invita inoltre a riflessioni importanti. Si parla di coscienza, tema esplorato da Hannah Arendt, ma anche di compassione, parola che oggi ci accompagna e ci turba. Ari Folman, conosciuto per il meraviglioso “Valzer con Bashir”, mette in bocca a Kitty parole in cui risiede, a mio avviso, il valore aggiunto di quest’opera: “Ora so che esistono due tipi di compassione. La prima è vile e sentimentale, e serve soltanto ad allontanarsi il più in fretta possibile dagli effetti spiacevoli dell’altrui sofferenza: nel nostro caso, la terribile angoscia che provavi nell’alloggio segreto. La compassione vera e importante, invece, non si ferma davanti a niente. Sa affrontare con pazienza e tolleranza il dolore degli altri, il male del mondo e l’infinita solitudine, usa tutta la sua forza per accogliere in sé il corpo e l’anima della persona che soffre”.

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