“Favole al telefono” di Gianni Rodari: il bene e il male sono entità diverse e i bambini hanno bisogno di sapere sempre da che parte stare

by Paola Manno

Mi capita spesso di pensare al ragionier Bianchi, l’uomo che, sebbene abbia il nome più comune del mondo, resta uno dei personaggi più particolari del panorama letterario italiano. Il ragioniere di Varese, rappresentante di commercio nato dalla penna di Rodari, è infatti un narratore eccezionale: sempre in giro per lavoro, fisicamente lontano dalla famiglia, ogni sera, ovunque si trovi, alle nove in punto chiama la figlia per narrarle una storia.

Quella bambina, infatti, non riesce ad addormentarsi senza una fiaba e la mamma le ha già raccontato tutte quelle che sapeva. “Favole al telefono” è il libro che raccoglie tutte le storie del ragionier Bianchi, brevi (perché le telefonate interurbane sono care!) ma bellissime: si dice che le operatrici del centralino interrompano tutte le telefonate per ascoltarle.

Pubblicato da Einaudi nel 1962, quando parole come interurbana e centraliniste erano conosciute anche dai bambini, l’opera di Rodari non ha mai smesso di attrarre nuovi lettori, come dimostrano le sue numerose ristampe: ben 18! Amatissimi da generazioni, i protagonisti delle storie sono noti a nonni e ragazzini: Alice Cascherina, la bambina minuscola che cade sempre dappertutto, il topo dei fumetti, appassionato lettore, il pescatore di Cefalù… Ogni racconto racchiude una riflessione, un insegnamento, un messaggio, perché per l’autore la letteratura è intrattenimento ma anche, soprattutto, impegno.

Tra le storie più celebri c’è quella di Giacomo di cristallo, il bambino trasparente il cui cuore che brucia è invece ben visibile a tutti; i suoi pensieri fanno paura al dittatore, che lo imprigiona. La verità è però più forte della violenza e rende i muri della prigione trasparenti così che il dittatore non riesce più a dormire, mentre il messaggio del bambino riesce a diventare universale e condiviso.

In “La donnina che contava gli starnuti” la protagonista trascorre le sue giornate a contare gli starnuti degli abitanti del suo paese, dal curato al farmacista, e a riferirne il numero alle amiche chiacchierone. Con ironia, l’autore punta il dito contro i pettegolezzi, senza far smettere di sorridere di fronte alla buffa punizione destinata al gruppo di loquaci signore. In “La passeggiata di un distratto” il giovane Giovanni perde sempre tutto, ma proprio tutto: arriva a perdere una mano, il braccio, persino il naso! Eppure la sua mamma lo rassicura sempre, abbracciandolo alla fine di ogni camminata, semplicemente perché è il suo bambino, anche se ha la testa tra le nuvole.

Poi ci sono storie divertentissime come “Il palazzo da rompere”, in cui un sindaco illuminato progetta un palazzo da destinare ai bambini vivaci che hanno sempre voglia di rompere tutto, e ancora “Il palazzo di gelato”, immaginato a Bologna, in piazza Maggiore, col tetto di panna montata, il fumo dei comignoli di frutta candita e i mobili di liquirizia. Ancora, “La strada che non andava in nessun posto”, anche se non è proprio vero perché ogni strada porta da qualche parte, ma solo le persone che hanno voglia di percorrerla.

Il mondo di Rodari è popolato da ragazzini saggi e da dittatori cattivi, i primi vincono sempre sui secondi, riproponendo in versioni differenti il mito del coraggioso Davide contro il gigante Golia, tanto amato dai più piccoli. Il bene e il male sono entità diverse e i bambini hanno bisogno di distinguerli, ma soprattutto di sapere sempre da che parte stare. “L’Apollonia della marmellata” è una donnina dalle mani d’oro che prepara marmellate deliziose persino con le ortiche. Un giorno l’Imperatore va a trovarla per assaggiare le sue prelibatezze ma una mosca cade nel cucchiaino e il Sovrano, disgustato, ordina che le vengano tagliate le mani. “Allora la gente si ribellò e mandò a dire all’imperatore che se lui faceva tagliare le mani all’Apollonia loro gli avrebbero tagliato la corona con tutta la testa, perché teste per fare l’imperatore se ne trovano a tutte le cantonate, ma mani d’oro come quelle dell’Apollonia sono ben più preziose e rare. E l’imperatore dovette far fagotto”.

Ne “Il muratore della Valtellina”, una delle favole più tristi e più impegnate, un giovane operaio è costretto ad emigrare in Germania, dove muore sul lavoro cadendo da un ponteggio. Il corpo di Mario resta infatti intrappolato nella gettata di cemento armato, le fondamenta di un palazzo nuovo, ma la sua anima continua a vivere nei muri di quegli appartamenti. Il muratore infatti non avverte alcun dolore e, chiuso in un pilastro, impara a conoscere le famiglie che vi abitano, ad ascoltare le risate dei bambini, i sorrisi delle ragazze innamorate. Di sera ascolta i discorsi delle famiglie che si rincontrano dopo una giornata di lavoro, di notte culla i sogni di chi riposa. “La vita della casa era la vita di Mario, le gioie della casa, piano per piano, e i suoi dolori, stanza per stanza, erano le sue gioie e i suoi dolori”. È quando arriva la guerra, quando una bomba distrugge il palazzo e uccide i suoi abitanti che Mario muore davvero, “perchè era morta la casa nata dal suo sacrificio”.

Da una parte vi è il dolore, dall’altra la vita che continua; da una parte vi è l’ingiustizia, dall’altra invece chi sa bene, come Giacomo, Mario e Apollonia, da che parte risiede invece la giustizia. I bambini sono probabilmente in grado di coglierne l’importanza, forse è per questo che Rodari non è mai passato di moda, proprio perché la sua penna è stata onesta e ha sempre raccontato loro la verità.

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