“In clausura con la didattica a distanza i ragazzi hanno riscoperto l’importanza di stare insieme”. Il racconto della prof Maria Rosaria Giaccari

by Paola Manno

La chiamano DAD, un nome quasi affettuoso di cui si parla molto in questi giorni: è la didattica a distanza che la scuola italiana sta sperimentando dopo la chiusura dovuta al coronavirus.

Ne parliamo con Maria Rosaria Giaccari, insegnante di sostegno a Thiene, Vicenza, salentina di origine, trasferitasi al Nord da 6 anni. Lavora in una Scuola Secondaria di I grado.

Mi racconti cos’è concretamente la didattica a distanza e come voi docenti avete affrontato questa novità?

Da quando il Governo ha deciso di chiudere le scuole, il nostro lavoro è diventato “digitale”, tutto si fa online. La didattica a distanza è entrata come uno tzunami nelle vite di docenti ed alunni, cancellando completamente e all’improvviso la didattica in presenza. Naturalmente nelle scuole si parlava già di didattica digitale, c’era chi la demonizzava e chi invece ne esaltava i vantaggi. Ora che è diventata reale e quotidiana, abbiamo capito quanto sia utile, non deve assolutamente passare il messaggio che la tecnologia sia superflua a scuola, deve essere solo, secondo me, affiancata a quella tradizionale. Oggi grazie a strumenti tecnologici, riusciamo a sentirci più vicini agli studenti, spesso anche attivando scambi di opinioni con loro. Si, ci sono molti scambi, noi ci sentiamo vicini agli studenti. Il dirigente scolastico della mia scuola ci consiglia di mantenere un contatto con gli studenti, in qualsiasi maniera, non basandoci necessariamente solo sull’ansia di dover trasmettere conoscenza. Ciò che è importante per lui, pensiero che condividiamo in tanti, è agganciarli con la nostra presenza, con le nostre parole di stimolo, di sprone, di confronto, non dobbiamo perderli in questa tempesta che ci ha stravolto la vita.

All’inizio credo che noi insegnanti abbiamo provato un senso di sconcerto e smarrimento comune, come fare? Si può fare? Queste sono le domande che ci assalivano nella confusione che ci stava avvolgendo, ma poi ci siamo rimboccati le maniche, era necessario, e via in una nuova avventura! Tutti uniti, anche più di prima. Vagavamo a vista, non sapevamo, in fondo, se ci sarebbero stati degli ostacoli, degli impedimenti sul nostro percorso, ma volevamo fortemente esserci per i nostri alunni, anche da lontano. Alcuni di noi avevano già familiarità con le tecnologie, altri avevano già sostenuto corsi digitali, altri ancora hanno chiesto una mano ai figli adolescenti, agli amici esperti, altri invece, ci hanno messo un po’ di più…però tutti uniti verso un nuovo obiettivo, alla fine abbiamo trovato un equilibrio.

Come funziona la DAD nella vostra scuola?

Nella scuola dove insegno, esisteva già una piattaforma scolastica in cui erano stati registrati tutti gli studenti, ognuno di loro infatti possiede le proprie credenziali. Quando è stato necessario riorganizzare tutto, siamo partiti da lì, abbiamo cercato di capire come organizzare/svolgere le lezioni a distanza, come inviare i compiti. È stato un vero e proprio lavoro di squadra. Anche le case editrici sono state al nostro fianco, nell’emergenza hanno fatto sentire la loro voce diffondendo idee, proposte, tutoria per una didattica a distanza, e non solo.

Ne abbiamo visionato tantissimi di tutorials, per ore, pur di imparare a creare nel minor tempo possibile una lezione a distanza, in sincrono o registrata. Uno degli strumenti che oggi utilizziamo quotidianamente è Google-Meet, che ci permette di fare delle video lezioni. C’è un vero e proprio face-to-face, un rapporto diretto. Anche se non vediamo in faccia gli alunni, perché minorenni, chiediamo loro l’attivazione del microfono e interagiamo con loro. A volte, sulle chat, i ragazzi fanno delle battute, proprio come a scuola. Abbiamo anche pensato di dedicare un tempo alla settimana in cui si possono ritrovare tutti insieme, o chi ha la possibilità, e chiacchierare, ridere, scherzare liberamente, come se vivessero un momento di ricreazione a scuola, con l’occhio supervisore di due insegnanti volontari. Pensiamo sia un modo per scaricare tensione e rafforzare i rapporti tra di loro. Poi c’è Google Classroom, una vera e propria classe virtuale in cui l’insegnante comunica con i ragazzi, viene utilizzato per l’invio dei compiti e per la loro restituzione. All’inizio pensavamo fosse semplice, poi però ci siamo accorti che alcuni bambini non avevano accesso al sistema, per vari motivi. Ci sono famiglie che non posseggono un computer, a volte, nella case manca la connessione internet, altre volte i genitori occupano l’unico pc per lo smart working oppure ci sono altri figli a cui serve lo stesso computer per i propri compiti. Noi però non ci siamo arresi e abbiamo dato sfogo alla nostra creatività, quindi abbiamo cercato di raggiungerli in ogni modo. Molti sono stati contattati sui telefoni cellulari dei genitori, abbiamo fatto loro delle videochiamate su whatsapp. Poi però abbiamo scoperto che ci sono famiglie con un unico smartphone, che non poteva essere occupato per molto tempo. Abbiamo capito che neanche quel modo poteva bastare. Un altro problema importante rilevato è stato quello delle fotocopie, all’inizio abbiamo inviato agli studenti delle schede da stampare delle dispense, ma non tutti avevano a disposizione una stampante. Noi insegnanti ci siamo sentiti molto disorientati, avevamo bisogno di coordinarci e trovare la soluzione migliore. Il periodo di assestamento è durato circa un mese. In questo isolamento, ogni insegnante cercava di fare del suo meglio per la propria disciplina, c’è stato di grande aiuto il confronto costruito durante i consigli di classe online. In quella sede sono venute fuori tutte le problematiche, ma anche tante soluzioni ed idee. A conferma di ciò, si è pensato di distribuire dei Crome Books in comodato d’uso agli alunni che ne erano sprovvisti, riuscendo a farli sentire parte di noi, gruppo classe. La connessione resta però un problema per alcune famiglie. Abbiamo inoltre riscontrato un’altra criticità, alcuni ragazzi vivono in case davvero piccole e questo impedisce a noi insegnanti, in collegamento meet, di avere la completa concentrazione degli alunni, perché distratti da un via vai o dal vociare che si crea nella stanza. Ad ogni modo, oggi quasi tutti gli alunni della nostra scuola sono stati raggiunti. Per quanto riguarda nello specifico il sostegno, devo dire che alcuni bambini hanno alle spalle una famiglia non presente e purtroppo il legame con l’insegnante di sostegno, in queste condizioni, si è spezzato o si è reso davvero difficoltoso. Per quanto riguarda la mia esperienza, io mi occupo di ragazzi BES, con bisogni educativi speciali, e di ragazzi con grave ritardo psico-motorio. In condizioni normali sono sempre accanto a me, seguiti passo passo, nell’apprendimento, nella didattica differenziata, come nello svolgimento delle attività quotidiane. Ora questo non c’è più e il nostro sforzo di tenerli agganciati, in qualsiasi modo, è fondamentale. I ragazzi aspettano la nostra chiamata tutte le mattine, hanno piacere a parteciparci, sentiamo il loro bisogno di essere ascoltati, anche solo per il semplice racconto di piccoli aneddoti di vita quotidiana. Questo contribuisce a spezzare la noia delle loro giornate che l’epidemia da covid 19 ha provocato.

Tu insegni a ragazzi tra gli 11 e i 13 anni, è un’età particolare…

Sì, è un età particolare. Spesso si pensa che gli adolescenti siano iper-tecnologizzati, egocentrici, annoiati. Noi sappiamo quanto invece siano sensibili, in questo periodo di clausura hanno scoperto l‘importanza di stare insieme, di fare le cose insieme. I ragazzi del terzo anno sono molto dispiaciuti all’idea che probabilmente l’esame quest’anno salterà. Gli alunni sanno bene che non vivranno le emozioni dell’ultimo giorno di scuola, la tremarella, la tensione della notte prima degli esami… è un passaggio importante della loro vita che non ci sarà, loro malgrado.

Qual è la routine delle tue giornate?

Nella mia scuola, per la maggior parte delle classi, si è cercato di seguire lo stesso orario scolastico, anche se con una certa indulgenza. Le lezioni, infatti, non iniziano alle 8 del mattino, come al solito, ma anche a partire dalle 9 e la cadenza non è rigida come in precedenza. La lezione non dura quasi mai un’ora intera, ma 45/50 minuti, a discrezione del docente. Non abbiamo voluto appesantire le loro giornate né costringere gli alunni a stare collegati davanti al pc per molte ore. La loro salute, da preservare, dipende anche da questo. All’inizio è stata dura, abbiamo lavorato moltissimo, ricordo che c’era un via via di chiamate tra noi insegnanti per capire, per coordinarci…veramente non si riposava mai. A un certo punto ho dovuto comunicare che avrei ricevuto telefonate solo in orario scolastico. Durante le vacanze di Pasqua abbiamo avuto indicazioni precise dal dirigente di spegnere i cellulari, lui è responsabile anche della salute dei suoi insegnanti e voleva che riprendessimo letteralmente fiato. Ora che le cose sono stabili, la mattina faccio le lezioni o partecipo a quelle degli altri insegnanti, collaboro con loro, dando la mia completa disponibilità. All’ora di pranzo mi concedo una pausa per poi rimettermi al lavoro nel pomeriggio. Sono sempre al computer, preparo i Power Point, le lezioni didattiche, correggo i compiti, preparo delle attività ludiche in accordo con la collega di italiano. Giocando si impara meglio! Bisogna inventarsi un nuovo modo di fare scuola, una nuova tattica per svolgere una didattica inclusiva, ce lo ha insegnato il coronavirus.

Come stanno reagendo i ragazzi a quest’emergenza?

I ragazzi sono riusciti in maniera sorprendente a riconvertirsi dall’aula reale a quella virtuale, hanno delle capacità personali incredibili, che sono emerse prepotentemente, insieme a quelle che noi chiamiamo le soft skills, le competenze digitali, di logica, di comportamento. Io quest’ansia dei giovani per il coronavirus, non l’ho percepita in maniera profondissima. Questo isolamento non ci dà la sensazione di quello che sta succedendo fuori, sembra come lontano da noi; probabilmente i ragazzi che vivono nella zona rossa avranno una percezione diversa. I ragazzi hanno la sensazione di essere in rotta verso l’ignoto, questo sì, ma li ho visti comunque abbastanza sereni. I ragazzi di terza, soprattutto, stanno vivendo quest’ansia riguardo all’incertezza, stanno pensando all’esame di Stato, non sappiamo ancora se si farà in presenza, se la tesina sarà consegnata oppure discussa in videoconferenza. Ora sono più in sofferenza perché alla loro età si vive di relazioni, quindi soffrono, ma secondo me sono riusciti a starci dentro. Notiamo che le aule virtuali sono affollatissime, loro vogliono esserci, naturalmente c’è sempre chi, durante il corso dell’anno, non ha dimostrato interesse, partecipazione, e continua a non farlo in chat, ma in alcuni casi invece i ragazzi sono maggiormente stimolati. Nella maggior parte dei casi, ho riscontrato voglia di non perdersi di vista.

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