La battaglia di Sara e Irene: “C’è una madre sociale ed è giusto che la sua responsabilità genitoriale sia riconosciuta”

by Paola Manno

Sara e Irene stanno insieme da quasi 12 anni, sono unite civilmente dal 2017 e hanno due bambini, Alessio e Ilaria, di 4 e 2 anni.

Questa storia ha inizio nel 2018 quando, alla nascita di Ilaria, Sara si presenta in Comune per far trascrivere il cognome della sua compagna sull’atto di nascita della figlia. Negli ultimi anni, infatti, sono stati diversi i Comuni italiani che hanno permesso questa pratica.

Alessio è nato nel 2015 e all’epoca non potevamo neanche immaginare di fare un percorso di questo tipo” mi racconta Sara Dallabora al telefono “Però due anni fa esistevano già dei precedenti, quindi spinte dal vento favorevole, ci siamo fatte avanti”. Al rifiuto del personale dell’ufficio, le due donne decidono di tentare le vie legali. Il Tribunale di Piacenza emette sentenza negativa. “Piacenza è una città di destra, con a capo una coalizione formata da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Non speravamo in risultati positivi dal Tribunale della città, ma certamente riponevamo molta fiducia nella Corte d’Appello di Bologna, che aveva giudicato anche in passato altri casi come il nostro”.

La Corte d’Appello, però, conferma la sentenza, e va oltre, perché Sara è condannata a pagare le spese processuali al comune di Piacenza, che si è costituito volontariamente parte civile al processo. È la prima volta che succede in Italia.

Dobbiamo pagare 10.000 euro. È il rimborso al comune di Piacenza che ha una propria avvocatura e che quindi suppongo abbia speso ben meno di tale cifra per la causa. Ci hanno addebitato le spese legali applicando la tabella tariffaria più alta possibile per un Tribunale. Come fossimo criminali. In pieno covid. Ora mi appello al buonsenso della gente. Ci rendiamo conto di cosa siano 10.000 euro per una famiglia, da rimborsare ad un Comune per non aver fatto nulla? Per aver chiesto diritti?” ha scritto Sara su un lungo post che ha suscitato lo sdegno di moltissimi cittadini. Chiedo a Sara se, a suo avviso, chi sia stata la volontà, da parte del Comune, di dimostrare qualcosa. “Noi non abbiamo fatto una causa contro il Comune, ma abbiamo semplicemente richiesto un diritto. Nei casi di coppie eterosessuali, per il riconoscimento anche di figli non biologici, basta che l’uomo dichiari che il figlio è suo. Noi non abbiamo questo stesso diritto. Troviamo sia profondamente ingiusto quello che succede quando le leggi non sono chiare. Tutto resta a discrezione di colui che gestisce la pratica.

Ecco che la tua vita dipende da chi gestisce il tuo dossier, da chi risponde al telefono, da chi decide di mettere un timbro, una firma. Ci sono Comuni, come Torino, Milano, Genova, Nuoro, Bari, che hanno registrato atti di nascita di coppie omogenitoriali, che hanno dunque sancito i diritti dei bambini sin dalla loro nascita, nel «supremo interesse del minore».

Il comune di Piacenza – continua Sara- costituendosi volontariamente come parte civile, ha voluto difendere la propria posizione, ma io credo anche che abbia colto la palla al balzo per dire apertamente la sua, per cercare di scoraggiare gli altri a perseverare in queste richieste. Forse anche la Corte d’Appello di Bologna ha voluto lanciare un messaggio, ha voluto dire basta con queste richieste”.

Andrete avanti? le chiedo. “La legge si è espressa già più volte contro la nostra famiglia, non la mia in particolare, ma il tipo di famiglia che rappresento. Il rischio è quello che, se dovessimo continuare questa battaglia, potremmo esser costrette a ulteriori spese processuali. L’unica speranza sarebbe arrivare alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, ma per arrivarci bisogna passare per la Cassazione e noi siamo molto sfiduciate”. Eppure l’indignazione attorno a questo caso è stata tanta, moltissime le persone che hanno commentato, scritto, urlato il proprio disappunto.

Ho ricevuto chiamate dalla Sardegna, da Roma, dalla Puglia…naturalmente ci sono stati anche molti commenti negativi agli articoli che sono stati pubblicati, ma quelli ho imparato a non leggerli più. Oltre ai singoli cittadini, ai giornalisti, sono state molte le associazione che ci hanno contattato. In città, ci hanno sostenuto associazioni come Non una di meno, Uomini per le donne, Agedo, Arcigay, anche Rifondazione Comunista, e questo è stato davvero un grande abbraccio. Sotto proposta di alcuni amici, è stato attivato un crowdfunding per poter pagare le spese processuali” 

(https://www.gofundme.com/f/sara-e-irene-la-nostra-famiglia).

“All’inizio eravamo contrarie all’idea, perché non volevamo che la gente pensasse che tutta questa pubblicità sarebbe stata un modo per farci dare dei soldi. Pagheremo, io ho venduto la macchina perché non voglio essere in debito. Siamo una famiglia monoreddito con due bambini a carico, ma per noi questa non è comunque una questione legata ai soldi. Noi vogliamo far sapere cosa succede in Italia quando le leggi non sono chiare”.

 Di fronte a questo abbraccio, penso che a volte anche dalle sconfitte può nascere qualcosa di bello, qualcosa che dimostra che la mentalità sta cambiando, anche se a piccoli, piccolissimi passi. Esprimo a Sara questo mio pensiero e la sua risposta è breve, realista, amara, e vera. “Lo sdegno è delle persone, non delle Istituzioni. Dopo questa sentenza, molte persone avranno probabilmente più paura di affrontare percorsi di riconoscimento. Pensa che a Milano, dove certificati di nascita con il nome di due madri venivano registrati tranquillamente fino a pochi mesi fa, oggi il Comune non riconosce più questo diritto.

Il fattore culturale, la banalità del concetto dell’uguaglianza dei diritti sono bandiere, penso, ma le battaglie in Tribunale sono armi, sono ruspe che spianano un cammino necessario, per tutelare i diritti di tutte le famiglie di un Paese. Sara ha ragione e il pensiero che un’Istituzione possa pensare di aver difeso i diritti di una persona (in questo caso, di una bambina), di averla difesa da un legame d’amore e di cura, mi sembra insopportabile.

Ma questo è un Paese che si fa poche domande di fronte alle donne che ogni tre giorni vengono ammazzate quasi sempre dal proprio compagno nella propria famiglia cosiddetta tradizionale, è un Paese in cui i giornalisti compatiscono un assassino dei suoi propri figli perché depresso dal divorzio con la moglie, dove vengono difesi diritti di padri biologici violenti in base a controverse teorie psicologiche, ma che poi urla, e gode, di fronte a chi si accanisce contro le famiglie diverse dalle proprie. È di qualche giorno fa la notizia che il consigliere leghista Bertorello abbia dichiarato di essere “molto soddisfatto” perché la Corte d’Appello di Genova ha accolto il ricorso del Sindaco della città, Marco Bucci, contro il riconoscimento (avvenuto nel 2018) della genitorialità di due mamme. “Mentre il consigliere leghista gioiva, noi a casa stavamo piangendo” ha invece commentato una delle due donne.

Il mio sogno è quello di potermi alzare tranquilla la mattina, di non pensare al fatto che se mi dovesse succedere qualcosa i miei figli non avrebbero tutele. Io oggi sono l’unica persona che ha la responsabilità legale su di loro. Ecco, trovo sia insopportabile l’idea che se mi succedesse qualcosa, Irene, che è l’altro genitore dei bambini, che è la persona con la quale abbiamo progettato di avere dei figli e che li sta crescendo, amando, da madre, dovrebbe correre per tribunali a rivendicare dei diritti. C’è una madre sociale ed è giusto che la sua responsabilità genitoriale sia riconosciuta”.

Cosa farete? le chiedo ancora “Tenteremo la strada della stepchild adoption. È una cosa denigrante per un genitore che ha voluto, ha avuto e sta crescendo un figlio, ma oggi è l’unica cosa che potrebbe tutelarci un po’. Purtroppo anche la stepchild adoption non è una cosa automatica, ma a discrezione del Tribunale. Dobbiamo fare ancora tanta strada. Forse la legge contro l’omofobia potrebbe aiutare, sarebbe un ulteriore passo, ma finché non ci sarà una legge chiara che permetterà a una coppia di riconoscere i propri figli, non potremo considerarci sereni”.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.