“La canzone di Achille” di Madeline Miller e la sensibilità e la dolcezza di Patroclo in un mondo di eroi valorosi

by Paola Manno

“Cantami, o Diva, del pelide Achille, l’ira funesta”, recitano i famosissimi versi del proemio dell’Iliade, poema eterno in cui si racchiudono e da cui nascono tutte le storie del mondo occidentale. L’ira, un sentimento così vivo che spesso è il motore di guerre e narrazioni, quel furore che racconta uno dei personaggi più amati in letteratura, nel racconto di Madeline Miller non ha un posto centrale, come nell’opera da cui prende ispirazione.

Il romanzo si intitola “La canzone di Achille”, è l’opera prima della scrittrice statunitense, vincitrice dell’Orange Prize nel 2012, ed è stato pubblicato nel 2013 da Sonzogno (disponibile in Universale Economica Feltrinelli dal 2019). Per mesi in cima alle classifiche, amatissimo dagli adolescenti, il romanzo dà voce ad altri sentimenti, ad altri personaggi.

Qui è Patroclo che racconta, in prima persona, il rapporto con il grande eroe, dall’incontro nella corte del padre Peleo alla morte a Troia. La prima parte del romanzo narra gli anni felici dell’adolescenza, il tenero sbocciare di un amore. Conosciamo Achille attraverso la descrizione dell’amico: “Era seduto con un gruppo di ragazzi che ridevano di gusto per qualcosa che lui aveva detto o fatto. È così che dovrebbe essere un principe”.

Achille è forte, è veloce, è temerario, è riflessivo, è puro. Achille gioca a dadi, lotta con grazia, canta con passione, mentre Patroclo lo scruta, restando in disparte, mentre lo osserva e lentamente inizia ad amarlo. E Achille sceglie lui, il figlio di Menezio, cacciato da casa, ragazzo timido e goffo, come compagno di vita. La grandezza di Achille è negli occhi di tutti, ma ciò che interessa all’autrice è la grandezza dell’amico, dell’amante. Dove risiede il fascino di Patroclo? In un mondo di eroi valorosi, le sue virtù sono la dolcezza, la sensibilità.

In un universo in cui è la guerra a renderti eterno, Patroclo rifiuta la lotta. È il ragazzo che ama la vita, che sceglie l’amore. Non è un caso che abbia un ruolo centrale nelle sorti della guerra di Troia. È la sua morte la causa della disfatta della città, perché Achille, il più forte dei greci, tornerà a lottare per vendicarlo. Perché la causa dell’ira, quella dei primi versi, è lui. È per Patroclo che Achille vince, è per lui che muore.

E se pure Patroclo indossa le armi del guerriero, la ragione non risiede nel desiderio di uccidere, tutt’altro. Il ragazzo, dietro lo scudo dell’amato, vuole dare coraggio al suo popolo, che ha smesso di reagire. Penso al coraggio di Patroclo che teme la guerra ma affronta la battaglia, spingendosi sotto le mura di Troia. Penso al corpo di Patroclo così splendidamente dipinto da Jacques-Louis David, il suo corpo bianco, la schiena che trasmette una forza misurata e al contempo una cara dolcezza, i capelli al vento, Patroclo nasconde il volto a chi lo guarda.

Non vuole mostrarsi, mettersi in mostra, essere ricordato come l’Aristos Achaion, il migliore dei greci. Eppure Madeline Miller, come Briseide, lo riconosce come il migliore dei greci, rimettendo in discussione i valori che definiscono la grandezza di un uomo. Così dietro quel volto che non vediamo, ci sono tutti gli altri che rendono la storia bella e appassionante.

Da una parte Achille, insieme a Ulisse, a Ettore, a Diomede, e dall’altra un ragazzo che dietro le tende dell’accampamento passeggia insieme alle schiave di Troia trattandole con rispetto, che senza esitazione sfila frecce da braccia e gambe e cura le ferite imputridite dei soldati insanguinati. Patroclo che non ha paura di inginocchiarsi davanti all’ingiusto, odioso Agamennone, per salvare la vita di una prigioniera.

C’è un ragazzo che aspetta l’estate per raccogliere i fichi più buoni, il regalo di compleanno all’amato. C’è un piccolo uomo denigrato dai grandi re e dalle divinità, considerato da Teti indegno del suo figlio divino, ma amatissimo dagli ultimi, così come dai lettori di tutto il mondo che in questo romanzo l’hanno riscoperto. Dietro al volto di Patroclo c’è un’umanità che ha un fascino luminoso. Miller ha avuto il grande merito di avercelo ricordato. E il lettori la grande fortuna di averlo riconosciuto, e amato.

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