L’arte di Kiki Skipi e il tocco che nutre e regala emozioni

by Paola Manno

La trovo lì per caso, sfogliando una rivista culturale a tiratura nazionale, in una piccola finestra in alto a destra, sopra a un grande articolo dedicato a uno scrittore famoso: è la foto di un murale che subito mi attrae. Lascio perdere lo scrittore famoso, il mio sguardo si concentra sui contorni di queste due figure che compongono l’opera: quella di una persona fatta di foglie che abbraccia, da dietro le spalle, una donna nuda che ha un cuore rosso disegnato all’altezza dello sterno. È a colori – per fortuna.

È un’opera che mi parla d’amore, di tenerezza, di rispetto, di tante cose insieme, di sentimenti che oggi più che mai ci appartengono, mi sembra così attuale, così contemporanea che mi commuove. Mi incuriosisce, così leggo il nome dell’artista sulla didascalia e scopro che il murale si trova a Cervignano, in Friuli, sul muro esterno di una casa di riposo e per questo mi sembra ancora più prezioso. Il titolo è “Il tocco che nutre” e l’artista si chiama Kiki Skipi.


Cerco il suo nome su Google e mi si spalanca davanti agli occhi un universo di forme e colori. Ecco il corpo di una donna dai lunghissimi campi neri, ha solo un paio di calzini azzurri addosso e al centro del suo corpo, al posto del ventre, vi è un vaso rosso con dentro un albero. Ecco due volti di profilo, uniti da un flusso, sempre azzurro, dove pare fuoriescano coriandoli. Poi un altro volto con un buco nero dentro il quale galleggia un pianeta, sembra Saturno a causa degli anelli; mi fa pensare a Magritte. Ancora, un’acrobata con un body rosa che sembra danzare su una casa. Poi donne lupo, donne centauri, sirene, donne che cavalcano lupi e pesci. C’è un’immagine -è quella che preferisco- di una donna che sembra guardare le stelle in piedi su un enorme cactus. È un mondo pieno di elementi naturali in cui i personaggi umani sembrano vivere senza alcuna artificiosità.


Chi è la donna che li ha pensati, realizzati? Cerco un contatto e le scrivo, e lei subito mi risponde. Ha 30 anni, è nata a Sassari e vive a Bologna da alcuni anni. Ha studiato Fotografia a Milano, e questo lo si percepisce dal suo sguardo sul mondo. Si chiama Chiara Pulselli. Per prima cosa le chiedo da dove nasce il suo buffo nome d’arte e lei mi spiega che Kiki Skipi è un nomignolo che si è evoluto nel tempo e che ha fatto nascere sua sorella quando erano ragazzine. Mi racconta che ha scelto il disegno perché le permette di essere totalmente libera nell’esprimere il suo immaginario “è come se non ci fossero confini o regole, e se ci sono è perché l’ho deciso io”. Sono curiosa di sapere come vive, come trascorre le sue giornate “Non è sicuramente una vita monotona, ma non è nemmeno così bohémienne come molti pensano. Lavorare nel mondo dell’arte è stimolante perché frequentando l’ambiente incontri artisti diversi, visiti tante mostre e bazzichi diversi ambienti culturali. La mattina sicuramente mi sveglio e sono contenta di fare un lavoro che ho scelto io e che mi piace, ma è comunque un lavoro, hai a che fare con le scadenze, con le commissioni, e devi cercare sempre di essere, prima di tutto, soddisfatto del tuo lavoro artistico, e ovviamente non è sempre buona la prima! Per quanto riguarda il mio immaginario, ho diversi cassetti personali, molto spesso frugo nel cassetto infantile, altre volte da quello più responsabile, altri giorni devo aprire il lucchetto del cassetto più introspettivo.”
Le chiedo di raccontarsi attraverso un’immagine e lei mi descrive un’illustrazione realizzata nel 2019, ambientata in un luogo non definito, desertico, in cui c’è solo un cactus molto grande e 3 figure femminili: una sopra il cactus, una a terra che fa finta di essere lei stessa un cactus e l’altra piccolissima che le osserva. Mentre descrive mi rendo conto che, tra quelle che ho visualizzato durante la mia ricerca, è la mia preferita. Quando le chiedo di parlarmi dei suoi modelli cita Richard Avedon, Diane Arbus, Robert Mapplethorpe, ma anche l’universo di Peter Pan e Il Meraviglioso Mago di Oz, passando per il potente sguardo di grandi registi in film quali “Edward mani di forbice”, “Il favoloso mondo di Amelie”, “L’Arte del sogno”, “Angela”, “The Truman show”, infine l’immaginario di Wes Anderson e quello dell’anime giapponese. Le chiedo, nello specifico, se a suo avviso esistano differenze tra le opere di autori uomini o donne e se, secondo la sua esperienza, la street art sia un mondo prettamente maschile. “Non so se si possa rispondere a questa domanda in modo scientifico e assoluto – mi risponde- ogni produzione artistica è legata al singolo artista, alla sua esperienza, al suo modo di essere e vedere il mondo. La donna in generale ha sempre dovuto faticare il doppio in molti settori, ma con insistenza siamo arrivate ad essere riconosciute e apprezzate anche nel mondo artistico. Ci sono artiste donne che hanno iniziato 15/20 anni fa insieme ai grandi nomi maschili, e tuttora fanno parte di quel giro e vengono rispettate, ma, sicuramente siamo in minoranza.” Su queste riflessioni le chiedo infine cosa consiglierebbe a un giovane illustratore “Se è ciò che vuole, gli direi di non arrendersi e di proseguire per quella strada”. Una strada sempre più colorata, penso, più bella, riempita di poesia. Una strada che continui a regalarci le emozioni di un abbraccio.

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