“Le nostre mani sono intrecciate a quelle delle altre donne”. L’esperienza di Maria Luisa Toto del Centro Antiviolenza Renata Fonte

by Paola Manno

Di cosa hanno bisogno le donne vittime di violenza? Di che cosa, veramente, che vada oltre le parole, oltre le promesse? Da qualche anno l’ho capito e la risposta l’ho avuta da una donna che me lo ha insegnato con i fatti.  La risposta è che le donne hanno bisogno di non sentitisi sole. La donna si chiama Maria Luisa Toto ed è la responsabile del Centro antiviolenza Renata Fonte, da 20 anni punto di riferimento per le donne salentine vittime di abusi. Dal 1998, più di 6.000 donne della provincia hanno contattato il numero nazionale 1522 al quale il Centro è legato, decine e decine di ragazzine, di donne adulte e anziane hanno varcato la soglia dell’associazione “Donne insieme onlus”. 

I dati relativi all’anno 2019 ci dicono questo: sul totale degli accessi registrati dal Centro lo scorso anno (239), il 91% delle donne ha cittadinanza italiana, il 2,8 ha cittadinanza nei paesi UE, il 5,56 è di cittadinanza extra UE. La fascia di età prevalente più colpita dalla violenza, è quella delle donne tra i 30 anni e i 45 anni (70%); significative anche le percentuali delle donne nella fascia 18-29 anni (18%), dato che se accorpato indica uno spostamento della sensibilizzazione al fenomeno verso fasce più giovani rispetto all’anno sprecedente. Le donne che hanno avuto accesso al Centro sono prevalentemente coniugate (33%), separate (26,5 %), divorziate (5,5 %), ad attestare il carattere intrafamiliare della violenza anche dopo la separazione. Anche per ciò che concerne il dato relativo alle donne nubili (31,5 %) si può affermare che per la gran parte le forme di violenza subite dalle donne nubili vengono agite all’interno della relazione di coppia. Riguardo il titolo di studio: il 48% ha una licenza media superiore, il 18% una laurea; questo  conferma l’idea che la violenza sia un fenomeno trasversale all’estrazione socioculturale. Le donne che si rivolgono al Centro Antiviolenza Renata Fonte spesso riportano di aver subito violenza multiple, sia fisiche che psicologiche.  

Maria Luisa Toto è un volto molto noto a Lecce e provincia. Quando si parla di donne, impossibile non incontrarla ai convegni, nei luoghi in cui si fa informazione e prevenzione. È facile vederla per strada, in Tribunale, incrociare la sua auto che corre su e giù per le strade del Salento a incontrare donne che hanno bisogno di lei e delle altre operatrici del Centro.  Spesso le portano a casa con loro,  si occupano personalmente di ogni cosa.

Le donne del Renata Fonte sono una squadra vera, perché hanno deciso di stare insieme, non si sono semplicemente ritrovate nello stesso ufficio. Sono quello che un vero Centro Antiviolenza dovrebbe essere. In più, sono volontarie.   –È questa la nostra forza, la nostra libertà -ricorda in ogni occasione Maria Luisa, che è una donna che se ascolti parlare in mezzo ad altre cento, non puoi certo non notare. Maria Luisa non abbassa mai lo sguardo, né la voce. È sempre diretta, chiara, carica di energia. Sebbene viva quotidianamente la violenza attraverso la voce delle donne, ma anche sulla sua pelle, a causa delle minacce degli uomini denunciati, non perde mai il sorriso né la voglia di ridere. 

Maria Luisa è una delle poche persone al mondo, credo, che risponde sempre al telefono. 

La incontro nella sede del Centro, che è un posto bellissimo. Nel cuore della città; ti affacci alla finestra e vedi un ficus secolare che ti dice che la vita va avanti, e che noi donne siamo come gli alberi, diventiamo forti man mano che cresciamo, per diventare indistruttibili.

Com’è nato il Centro, perché ha deciso di dedicare la sua vita alle donne?

Il centro nasce il 23 novembre del 1998. A quel tempo avvertivo il bisogno di creare un’associazione di sole donne per creare un luogo di libertà, di condivisione, di partecipazione attiva sui diritti delle donne. In particolare mi interessava quella che reputo la più vergognosa  violazione dei diritti umani, quella della violenza maschile sulle donne. Già dall’epoca dell’Università mi rendevo conto che nelle relazioni c’era sempre una forma di pregiudizio, di sessismo, di patriarcato. Anche nei rapporti con i coetanei, o in famiglia. Per esempio le figlie femmine erano destinate ad ubbidire al volere del padre. Io sono sempre stata una ribelle. Ricordo che una volta mio padre mi richiamò all’ordine su qualcosa che io non ritenevo giusto e io cercai di dirgli che non ero d’accordo. Ho visto gli occhi infuocati di mio padre solo perché avevo osato dire -in maniera molto educata, tra l’altro- che non la pensavo come lui. Gli tenni testa, oppure ero arrabbiata e mortificata. Volevo portarlo alla ragione…in realtà volevo portare secoli di maschilismo alla ragione (ride). Erano secoli di cultura quelli contro i quali mi stavo ribellando in quel momento.

Ecco, la famosa presa di coscienza che molte donne vivono sulla propria pelle.

Si, è così. Io volevo che quel tipo di cultura cambiasse, fosse spazzato via, volevo un onesto rispetto tra uomo e donna. Volevo che le donne non fossero più considerate una minoranza, da quel momento è iniziata la mia lotta contro la misoginia, l’oppressione. Ogni anno questa lotta acquisiva sempre più forza, più potere. Ho pensato: dobbiamo aggregarci, sempre più donne devono amare questa lotta e amare il potere di affermare la cultura del rispetto. Da qui nasce il senso del Centro, in questa voglia che sentivo dentro, nel cuore, sin da bambina, per cose che mi sembravano assolutamente normali ma non erano considerate tali. Ecco, io amo questo centro perché rappresenta la vita, la gioia della vita.

Questo è un luogo della libertà delle donne, quando una donna varca le soglie del Renata Fonte viene presa per mano e non viene mai più lasciata sola. Quelle mani, che sono state ferite, noi le teniamo strette. Le nostre mani sono intrecciate a quelle delle altre donne, vanno insieme al pronto soccorso, in una caserma delle forze dell’ordine, nel tribunale, finché ci rendiamo conto di poterle lasciar andare, per ridisegnare un nuovo progetto di vita. Quelle mani devono arrivare a disegnare liberamente la vita che sarà nella bellezza del mondo, perché la vita è bella e nessuno ha il diritto di scalfirla. Nessuna donna deve mai pensare che non può farcela. Lo dimostrano questi 21 anni: le donne son guerriere, sono vulcani, sono una forza, sono la bellezza del mondo.

Com’è composto il Centro?

Innanzitutto c’è un ufficio legale composto da avvocate donne, sia civiliste che penaliste, che si prendono cura delle denunce, dei rapporti con la Procura per ogni caso, soprattutto per ciò che riguarda la valutazione del rischio. Il Centro si interfaccia con la Questura proprio per dare ulteriori valutazioni sul rischio che la donna corre. Il nostro lavoro però va anche in un’altra direzione, e cioè la prevenzione.

Poi c’è il gruppo delle psicologhe, che sostiene le donne nella presa di coscienza. Le psicologhe aiutano le donne a trovare la forza dentro di sé per affrontare il percorso di “liberazione”.

Ci sono inoltre le assistenti sociali, vicine alle donne e ai loro figli per sostenerle e aiutarle a ritrovare la serenità dopo una situazione di violenza e maltrattamento nella relazione con i bambini e le bambine. Le assistenti accompagnano sempre le donne nei luoghi preposti dove sono i Servizi Istituzionali.

Organizziamo inoltre dei corsi di formazione ai servizi sociali territoriali ad hoc sulla violenza contro le donne perché possano approcciarsi al meglio alle vittime e ai loro figli.

Il Centro è nato sotto le linee guida dell’allora Procuratore Piero Luigi Vigna e accompagna le donne sia nella fase delle indagini preliminari, sia nella fase processuale. Il Centro è fondamentale anche per abbattere l’odiosa piaga nell’omertà che tanto aleggia e regna nel fenomeno della violenza, alla pari del processo mafioso. 

Lo scorso anno abbiamo anche organizzato una Tavola Rotonda dal titolo “Il femminicidio come la mafia?”, evento accreditato presso l’Ordine degli avvocati. C’è infatti un elemento comune: l’esercizio del potere, l’assoggettamento, la prevaricazione.

Il Centro organizza ogni anno anche la festa della Legalità con il relativo Premio per la Legalità e la Nonviolenza

Sì, il Premio nasce già durante i primi anni di attività e ha raggiunto nel 2019 la XX edizione. Nasce soprattutto dal bisogno di dire grazie. Sono sempre più rare le persone che si impegnano a donare alla comunità un’azione di contrasto alle azioni illegali e violente. Un dono a chi contribuisce al bene comune, alla solidarietà, alla non violenza. Tuttavia, è anche un messaggio per sensibilizzare le altre persone ad un bisogno. Anche noi che lo consegniamo riceviamo un dono, che è una speranza, un’amicizia, ci sentiamo meno sole. Il Premio rappresenta la Grande Madre, la Madre Terra, in genere lo diamo alle donne ma non sempre. Il primo Premio venne attribuito a Piero Luigi Vigna. Il Premio vuole anche essere memoria storica, ed è dedicato a Renata Fonte.

Perchè il Centro prende il suo nome?

Il Centro nasce nel 1998, all’epoca poche persone ricordavano il nome di Renata Fonte. Renata era una donna giovanissima e coraggiosa che è stata assassinata nella nostra terra e noi eravamo indignate perché era volutamente dimenticata. Quando si uccide una donna la si vuole far scomparire, anche dopo la morte. Noi volevamo che lei vivesse in tutte le donne che si sarebbero salvate grazie al Centro. 

Qual è il tuo rapporto con le giovani generazioni?

Penso che le ragazze hanno bisogno di essere prese per mano: hanno bisogno di conoscenza e memoria. Noi, quelle della mia  generazione, forse le abbiamo un po’ dimenticate, forse abbiamo pensato che fosse tutto a posto. E invece non è così. Questo lo vedo quando vado nelle scuole, sento  che le studentesse hanno bisogno di sapere, come anche le nostre tirocinanti: sono giovani donne avide di conoscenza. Dobbiamo raccontare loro quello che è stato fatto, le giornate come l’8 marzo servono anche a questo. Non siamo riuscite a passare il testimone. Noi i nostri diritti ce li siamo sudati, ma davvero basta un soffio per portarceli via: basta che non vengano passati alle giovani generazioni e tutto è perduto. Dobbiamo essere capaci di trasferire i diritti acquisiti perché le giovani possano continuare a portare la bandiera. Dobbiamo farlo per loro, ma anche per noi. L’incontro con le ragazze e i ragazzi è infatti anche molto importante per noi, perché è proprio in quei momenti che comprendi, che hai la consapevolezza di ciò che hai fatto, del tuo contributo. Sono gli altri che ti fanno capire il valore delle tue azioni.

Parla sempre al plurale, Maria Luisa. Sempre sorridendo. Accanto a lei ti sembra che le cose, se pur difficili, possano essere affrontate. Per fortuna, Maria Luisa, ci sono donne come te.  

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