“Se le foto non sono buone, non sei abbastanza vicino”: la lezione di Gerda Taro, la fotografa capace di catturare la crudezza realistica di una rivoluzione

by Michela Conoscitore

Minuta, con una zazzera bionda, ama portare i capelli alla maschietto, si adattano alla sua dinamicità: sta accompagnando l’amica Ruth ad un appuntamento con un ragazzo misterioso, si è presentato come fotografo in cerca di qualche scatto per delle riviste con cui collabora. Ruth non si è fidata, e le ha chiesto di accompagnarla. Quando arrivano, Andrè Friedmann è già lì ad aspettarle. Fa le foto a Ruth ma a catalizzare la sua attenzione è Gerta, quella piccola donnina che scruta con interesse ogni suo gesto, ogni clic della sua macchina fotografica. Parleranno molto quel pomeriggio, tanto da dimenticarsi di Ruth. Gerta si farà spiegare i primi rudimenti di fotografia che, lei non lo sa ancora, diventerà il suo mondo, modificherà irrimediabilmente il corso della sua vita.

Gerta Pohorylle nacque a Stoccarda il 1° agosto del 1910 in una famiglia ebreo-borghese proveniente dalla Polonia. La famiglia, in un secondo momento, si trasferì a Lipsia dove la giovanissima Gerta si avvicinò all’ambiente comunista tedesco che già stava combattendo strenuamente contro l’avvento del potere nazista in Germania. Gerta si buttò a capofitto in quella che fu la prima ‘battaglia’ ideologica della sua vita, a cui ne seguiranno molte altre: insieme ad altri compagni, provò a contrastare il regime nazista quando Hitler era già al potere, affiggendo manifesti ovunque e distribuendo volantini antifascisti. Nel 1933 la giovane fu arrestata, interrogata per giorni ed in seguito rilasciata grazie alla sua cittadinanza polacca. Al termine di quella pericolosa avventura, la famiglia Pohorylle comprese di doversi allontanare dalla Germania nazista, sia per la loro ideologia comunista e sia per l’origine ebraica: il nucleo famigliare si disgregò, i genitori si trasferirono in Palestina, i fratelli in Gran Bretagna e lei decise di rifugiarsi a Parigi, allora creduta inattaccabile, baia sicura per tutti i dissidenti europei. Non si rivedranno mai più.

Con Robert Capa

A Parigi avvennero i due incontri più importanti della sua esistenza, quello con la fotografia e con Andrè Friedmann, giovane fotografo polacco da poco giunto anche lui nella Ville Lumiere. Da quel pomeriggio insieme, Gerta e Andrè non si separeranno più in un sodalizio non solo sentimentale ma anche lavorativo che diede vita al famoso fotoreporter di guerra Robert Capa. L’idea fu della vulcanica Gerta, che assunse lo pseudonimo di Gerda Taro: nella Parigi dell’epoca il fascino ‘esotico’ di un fotografo statunitense che vagabondeggia nel Vecchio Continente esercitava una forte attrattiva sui quotidiani che commissionavano reportage, soprattutto di guerra. Gerda e Andrè si presentavano alle redazioni delle riviste come assistenti del famoso Capa, troppo impegnato per mantenere personalmente i contatti con i giornali, a cui pensavano loro due. Così, Gerda e Andrè videro aumentare esponenzialmente le commissioni e diventarono tra i fotografi più richiesti a Parigi, collaborando con le riviste più importanti.

L’occasione della loro vita arrivò con la guerra civile in Spagna, vennero inviati al fronte per seguire i miliziani impegnati contro le truppe di Francisco Franco. Si trasferirono a Madrid, dove conobbero anche Ernest Hemingway. Il motto di Gerda e Andrè era: “Se le foto non sono buone, non sei abbastanza vicino”, e sotto l’egida della “ditta fotografica” Robert Capa la coppia diventò testimone diretta di quel che accadde in quei giorni eroici e sanguinosi nella penisola iberica. La vita di Gerda si fuse con quella dei miliziani spagnoli, molti raccontarono che fosse lei stessa ad incitare passionalmente i ribelli alla carica e a combattere fino all’ultimo respiro. Questo eroismo, dettato dai profondi ideali in cui Gerda credeva, fu immortalato da Andrè in numerose foto che ritraggono la giovane fotoreporter accanto ai soldati appostati sui vari fronti di guerra. Gli istanti catturati da Gerda non sono patinati racconti di un avvenimento bellico ma riuscivano a catturare la crudezza realistica di una rivoluzione, che si mosse e prese vita su un credo, quello comunista, scevro da ideologie e sovrastrutture, orientato unicamente alla lotta per la liberazione di un popolo, per la conquista della libertà. Questa era la filosofia che Gerda seguì, e a cui improntò il suo lavoro. La pequena rubia, come la soprannominarono gli spagnoli, fu un esempio eccezionale di donna che prese in mano la sua vita e decise di viverla pericolosamente per documentare quel che stava accadendo nel mondo, lotte che sentiva intensamente e che assolutamente voleva raccontare con i suoi reportage.

Sul finire di luglio del 1937, Andrè tornò a Parigi a prendere contatti con altre riviste che richiedevano le foto di Robert Capa per illustrare il fronte repubblicano. Gerda rimase sola in Spagna, e in solitaria si apprestò a documentare quello che fu uno degli scontri più duri e difficili, si combattè al Brunete: la battaglia, incerta fino all’ultimo, fu vinta dai franchisti, al ritorno Gerda si issò sul predellino di uno dei camion che trasportavano al campo gli innumerevoli feriti delle truppe anti-franchiste. Un aereo nemico sorvolò la carovana, iniziando a mitragliare i convogli. Nel caos che si venne a creare, un carrarmato repubblicano urtò il camion su cui era Gerda che perse l’equilibrio e si ritrovò a terra. In un attimo, la fotografa fu schiacciata dal passaggio del carrarmato dalla vita in giù. Quel che chiese immediatamente ai soccorritori fu se i suoi rullini fossero intatti. La trasportarono in condizioni disperate all’ospedale “El Geloso” di Madrid, dove scarseggiavano anestetici. Gerda rimase sempre cosciente tanto da tenere con le sue stesse mani le viscere che fuoriuscivano dalla profonda ferita all’addome. I medici rinunciarono ad operarla, poterono solo alleviarle i dolori tremendi con dosi massicce di morfina.

All’alba del 26 luglio 1937, a soli 26 anni, Gerda Taro morì, prima fotoreporter a perdere la vita sul campo. Quel servizio fotografico, che le costò la vita, fu pubblicato postumo dalla rivista francese Regards. La giovane Gerda tornò in Francia per essere tumulata presso il cimitero monumentale del Pére-Lachaise. I funerali furono organizzati dal partito comunista francese, si tennero il 1° agosto giorno del suo ventisettesimo compleanno: vi presero parte ben duecentomila persone, tra cui anche molti intellettuali, e l’elogio funebre fu letto da Pablo Neruda. Andrè, che da quel momento divenne Robert Capa, fu accanto per l’ultima volta alla compagna, l’amore della sua vita. Molti raccontarono che non si perdonò mai di averla lasciata sola a Brunete, e non si riprese mai più dalla perdita di Gerda. Infatti, non si sposò mai, celebrò Gerda qualche anno più tardi nel libro fotografico Death in the Making, e rincorse Gerda e la morte fino a quando incontrò entrambe, nel 1954, durante la guerra in Indocina.

La tomba di Gerda, durante l’occupazione nazista di Parigi, fu profanata dalle truppe di Hitler che non avevano dimenticato quella loro vecchia conoscenza. Cancellarono l’epitaffio e qualsiasi traccia che potesse ancora spingere le truppe partigiane francesi alla rivolta, perché l’esempio eroico di Gerda ispirò moltissimi dopo la sua morte. Lei, seppur minuta e con la zazzera bionda, aveva compreso da quale parte stare e per quali cause lottare.

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