Assetata di gloria e di sole: Annie Vivanti e l’amore per Giosuè Carducci

by Michela Conoscitore

«Signorina, nel mio codice poetico c’è questo articolo: Ai preti e alle donne è vietato far versi. – Per i preti no, ma per Lei l’ho abrogato…»

Inizia con queste parole la carriera letteraria di Annie Vivanti, poetessa e scrittrice del secolo scorso, sconosciuta ai più oggi ma, una vera celebrità ai suoi tempi, anche per l’aura di gossip che alimentava intorno alla sua vita. Autore di questa asserzione così pragmatica, ma che in realtà nasconde una dolcezza che proprio Annie ha ispirato, è il poeta Giosue Carducci.

Anna Emilia Vivanti, detta Annie, nacque a Londra nel 1866, ultima di sette figli, da padre italiano, l’esule Anselmo Vivanti, rifugiatosi in Gran Bretagna per la sua adesione ai moti mazziniani, e madre tedesca, Anna Lindau, scrittrice. Annie che imparò inglese e tedesco prima dell’italiano, esordì come letterata proprio in Italia sotto la protezione del Vate. Girovaga per vocazione, rubacuori forse per necessità, Annie riuscì con il suo charme ad incantare tutti, ovunque ella andasse. Duelli e suicidi non mancano nel suo pedigree di chanteuse, ma qualcosa doveva pur fare una povera orfana, senza aiuti al mondo se non il suo fascino e il suo savoir faire.

Armata di una frase latina, Audaces fortuna iuvat, la Vivanti indirizzò la sua prima raccolta di poesie a Carducci, dietro richiesta dell’editore Emilio Treves: non avrebbe pubblicato le poesie, senza una prefazione dell’inarrivabile poeta. È la stessa Vivanti a raccontare l’incontro con l’editore dalle pagine della Nuova Antologia, nel 1906:

Un giorno, nel 1890, a Milano, mi trovai timida e tremante dinanzi al formidabile scrittorio dell’editore Emilio Treves. Egli teneva tra due dita sdegnose un sottile rotolo manoscritto, che io gli avevo portato. (…) forse gli apparvi piccola e triste quando volsi le spalle e me ne andai verso la porta, perché aggiunse come per consolarmi: Me ne dispiace, creda! Ma ci vorrebbe, per esempio, una prefazione del Carducci. Allora si potrebbe riparlarne…

La giovane, quindi, non si scoraggiò, e da Milano partì per Bologna intenzionata ad ottenere un appuntamento con Carducci. Scorrendo la vita della scrittrice, sembra che qualsiasi cosa desiderasse ardentemente, alla fine riuscisse sempre ad ottenerlo. Probabilmente molti avrebbero rinunciato all’impresa: chiedere al massimo poeta italiano in quel momento, una prefazione per una raccolta di poesie, per giunta di una illustre sconosciuta. Non Annie, e infatti non solo ottenne la prefazione, benevola e incoraggiante del poeta-professore, ma conquistò anche il cuore del cinquantenne Carducci. Da sempre sensibile al fascino femminile, come al buon vino della sua terra, il Vate rimase colpito dalla freschezza della Vivanti, allora ventenne, che gli infuse nuova linfa.

Io non so scrivere di Giosue Carducci come del grande Poeta d’Italia. Egli è per me l’amico adorato, l’ideale della mia sognante fanciullezza, il secondo padre della mia orfana gioventù. E la sua mano mi sorresse ed innalzò nella turbolenta primavera di mia vita.

Grazie ad Annie, al poeta fu concesso un ultimo sprazzo di giovinezza, seppur i due diedero scandalo nell’Italia dell’epoca: la giovane non se ne curò affatto, visse appieno non solo la relazione col Carducci, ma anche i benefici che ne conseguirono per la sua carriera letteraria e per le conoscenze alle quali la introdusse il poeta. La Vivanti, infatti, entrò in contatto col bel mondo di allora, attraverso il suo mentore conobbe Giuseppe Verdi, fu accolta in vari circoli letterari diventando una starlette della letteratura italiana.

Ferma in un posto non ci sapeva stare, e le piaceva far perdere le sue tracce tanto che, Carducci, desolato e mai spazientito, chiedeva notizie di lei ad amici comuni, per raggiungerla ovunque ella fosse. Come racconta Anna Folli in Addio caro Orco (Feltrinelli, pp. 188), memorabile fu l’arrivo a Napoli della Vivanti, accolta con grandi onori nella città partenopea: ormai la sua raccolta di poesie, Lirica, aveva spiccato il volo, soprattutto grazie al supporto di Carducci, e nel frattempo, la scrittrice aveva dato alle stampe anche Marion, artista di caffè-concerto, romanzo con richiami autobiografici che riscosse un discreto successo. Intanto, Matilde Serao non poteva farsi sfuggire quell’occasione, così cercò di attirare a Napoli anche il poeta: “Caro professore, viene, domani, a colazione da me, con Annie? All’una, le piace? Qualche altro amico e nessuna etichetta. Lo spero!”.

A Posillipo, Annie, Carducci e la cerchia della Serao trascorreranno ore a parlare di letteratura, durante le quali il poeta incoronò la Serao la più forte prosatrice d’Italia, e Annie la più forte poetessa: “Spettava a questa fine di secolo il vedere stampare da una donna, Matilde Serao, un’orma così profonda nell’arte italiana, e da una giovinetta come Annie Vivanti tanto splendido rigoglio di nova lirica”.

Quando erano lontani dal furore delle folle, assetate della loro fama, Annie e Carducci si rifugiavano in montagna, spesso a Madesimo, in Valle Spluga, zona molto amata dal poeta. Qui, Annie trasfigurata in una fata, lanciava il suo incantesimo su Carducci che diventava quasi invincibile (da leggere l’Elegia del Monte Spluga). Nel frattempo, alla moglie Elvira, giungevano telegrammi in cui il consorte la aggiornava sui suoi spostamenti. La stessa Elvira Carducci che, alla morte del poeta, bruciò tutte le lettere di Annie, e non solo le sue.

Annie non fu fedele mai a nessuno, neppure a Carducci. Quando conobbe l’irlandese John Chartres, decise di sposarlo. Da lui, ebbe la figlia Vivien. Il rapporto con il Vate non si interruppe mai, la sua presenza nella vita della scrittrice divenne più defilata, ma Carducci seguì sempre con affetto la sua Annie, ormai trasferitasi Oltreoceano. Si rivedranno, per l’ultima volta, nel 1902 ed entrambi sapevano già che quello sarebbe stato il loro addio definitivo. Nel 1906, il poeta fu il primo italiano a vincere il Premio Nobel per la Letteratura. L’anno dopo, morì.

Annie Vivanti, nel frattempo, seguì l’iperbole della figlia Vivien, enfant prodige del violino, che divenne famosa in tutto il mondo e che ispirò alla madre il romanzo I divoratori: dopo anni di silenzio in Italia, la scrittrice ottenne un grande successo, a cui seguirono altri libri come Circe, Naja Tripudians e Mea culpa. La signorina Vivanti era diventata una donna, perché nei suoi romanzi denunciò fatti di cronaca taciuti, introducendo anche nuovi generi letterari. In Vae Victis raccontò degli stupri ai danni delle donne belghe durante l’occupazione tedesca nella prima guerra mondiale, e reportage di viaggio come Terra di Cleopatra, in cui affrontò il problema dei soprusi inglesi in terra egiziana.

Dopo una vita da apolide, scelse l’Italia come sua dimora definitiva. Si spense a Torino, nel 1942, un anno dopo il suicidio della figlia Vivien. Sulla sua lapide, i versi della poesia che l’amato Carducci scrisse durante il loro primo convivio d’amore, quando la raggiunse a La Spezia:

Batto alla chiusa imposta con un ramicello di fiori

Glauchi ed azzurri come i tuoi occhi, o Annie.

Documentazione: Addio caro Orco – Lettere e ricordi (Feltrinelli, a cura di Anna Folli)

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