Conoscere Grazia Deledda equivale a conoscere la Sardegna

by Michela Conoscitore

Questa è la storia di una donna, vissuta in un’epoca e in un luogo in cui essere femmine significava stare in casa, sottostare al volere paterno, cercarsi un marito e generare prole. La protagonista di questa storia, invece, aveva altri progetti per se stessa, sapeva dove voler condurre la sua vita e di certo non vedeva un caldo focolare domestico nel suo futuro. Almeno, non soltanto quello.

Ebbene questa donna riuscì a raggiungere lo scopo che si era prefissata: come la potremmo definire una che, solo con la quarta elementare, scarni studi impartitigli in privato e la cui unica lingua conosciuta e parlata fino ai trent’anni era il sardo, ebbe l’ardire di conquistare il premio Nobel per la Letteratura, nel 1926 (prima italiana ad averlo conseguito, e l’unica finora in campo letterario)? Volitiva? Caparbia? No, semplicemente le uniche ‘definizioni’ che bastano per descriverla sono il suo nome e cognome: Grazia Deledda.

Di Grazia Deledda, ultimamente, si è fatto un gran parlare: c’è stata una riscoperta di questa grande autrice della letteratura italiana soprattutto grazie ad opere letterarie, e poi teatrali, a lei dedicate. Quasi Grazia, libro di Marcello Fois, è stato il punto di partenza per lo spettacolo teatrale interpretato dalla scrittrice Michela Murgia che, per una volta, ha vestito i panni di attrice, impersonando la sua illustre conterranea, di cui, la si può definire una degna erede. Inoltre, la casa editrice sarda Il Maestrale, da qualche anno, sta procedendo con la ristampa di tutte le opere deleddiane, in pregevolissime edizioni.

Andando oltre gli allori poetici, chi era davvero Grazia? Di sé, dice:

Io non sogno la gloria per un sentimento di vanità e di egoismo, ma perché amo intensamente il mio paese, e sogno di poter un giorno irradiare con un mite raggio le fosche ombrie dei nostri boschi, di poter un giorno narrare, intesa, la vita e le passioni del mio popolo, così diverso dagli altri così vilipeso e dimenticato e perciò più misero nella sua fiera e primitiva ignoranza.

La scrittrice nasce a Nuoro, nel settembre del 1871; fermatasi alla quarta elementare, i genitori l’affidarono ad un precettore privato. Grazia era assetata di sapere, comprese che accumulando cultura avrebbe potuto, forse, un giorno lasciare quella dimensione così ristretta, che era la sua Barbagia. Per quanto, sia proprio la sua terra ad alimentare prepotentemente il suo immaginario, così inquieto e vivo. L’amato monte Ortobene, che ritroviamo nel suo romanzo più famoso, Canne al vento, è il custode delle sue ceneri oggi, questo per dimostrare quanto la Deledda, seppur fuggita dalla sua Sardegna, intrattenesse con essa un legame simbiotico.

Grazia voleva diventare scrittrice, iniziò presto, a quindici anni, scrivendo racconti ed effettuando studi sul folklore. E poi, come le eroine dei suoi romanzi, Grazia amò. Perché effettivamente, nonostante abbia vissuto tra fine Ottocento e inizi del Novecento, la scrittrice precorse i tempi: voleva lavorare e vivere della sua arte, ma desiderava anche una famiglia, dei figli (e qui ritorna il legame con la sua terra, ciò che le ha infuso dentro).

La sua natura fu sempre scissa tra dovere e istinto, tra razionalità e impulsività. La sua parte più selvaggia la portò ad innamorarsi, o invaghirsi, di vari uomini. Uno fra tutti, Stanis Manca, per cui la scrittrice nutrì un sentimento ossessivo, quasi distruttivo. Questo fuoco che la divorava dentro, le ispirò i suoi primi romanzi come Stella d’Oriente, Anime oneste o La via del male. Poi, giunse la calma e la risoluzione: trasferitasi a Cagliari, qui conobbe il mantovano Palmiro Madesani. Quasi subitanea la decisione di entrambi di sposarsi. Grazia non volle più essere presa in giro come in passato, e il fissare al più presto la data delle nozze lo reputò quasi come un pegno d’amore. Grazia e Palmiro si sposarono l’11 gennaio del 1900, a Nuoro.

La coppia si trasferì a Roma: Grazia lascia la Sardegna, come la Noemi di Canne al vento, per iniziare una nuova vita col marito, lontana dalle asfittiche mura paterne. Palmiro e Grazia erano affiatati, e invidiati. Celebre l’aneddoto che vede protagonista Luigi Pirandello: Madesani lasciò il suo impiego, diventando l’agente letterario della moglie e supportandola nel suo lavoro. Pirandello prese ispirazione da loro per scrivere Suo marito, un romanzo sberleffo in cui, cinicamente, criticò il ménage coniugale di Grazia e Palmiro. Lo scrittore siciliano non fu mai perdonato dalla Deledda.

La scrittrice, comunque, non si lasciò distrarre da queste scaramucce tra letterati e proseguì a scrivere alacremente, inanellando successi: Elias Portolu, il già citato Canne al vento, Cenere, La madre, Marianna Sirca, sono alcuni dei romanzi che la Deledda diede alle stampe e, tornando al rapporto col marito, in uno dei suoi ultimi lavori, Nostalgie, scrisse questa dedica: “…oggi che un po’ per la mia buona volontà, molto per la tua attività intelligente senza mai abbassarci ad una transazione con la nostra coscienza, abbiamo raggiunto quasi tutti i nostri sogni, dedico a te, mio caro compagno di lavoro ed esistenza, questo racconto”. Il sogno di Grazia era diventato anche il sogno di Palmiro, e forse fu questo a dar fastidio a Pirandello che, invece, con la moglie intrattenne un rapporto malato e caotico.

Un altro bel ritratto della Deledda lo fornisce Sandra Petrignani nel suo La scrittrice abita qui, come in questo passo dove descrive la Deledda-madre coi figli, Sardus e Franz: “Dopo cena si ritirava nello studio e leggeva tutti i giornali e le riviste che le pervenivano. Tutto le interessava, e il giorno dopo segnalava a noi figliuoli quello che riteneva più utile per la nostra cultura”.

Lo stile della Deledda è difficile da ricondurre ad una corrente poetica, tanto è innovativo e personale. Alcuni critici hanno parlato di Verismo, altri di Decadentismo ma, leggendo i suoi romanzi, soprattutto quello più celebre, Canne al vento, si comprende che, come ha anche affermato la Murgia, la scrittrice sarda è più vicina ad Emily Brontë o Percy Shelley, quindi ad un universo gotico, piuttosto che ad autori nostrani. In questo romanzo si fa esperienza della vera Sardegna, con le leggende che la animano e che, la scrittrice ha saputo riversare dentro, trasformandole nel canovaccio su cui si basa la magia del libro. Canne al vento non è, semplicemente, la storia delle sorelle Pintor e del loro servo Efix, soprattutto narra di una terra mitica e lontana, non geograficamente ma lontana dall’idea di Sardegna che avevano, allora, e forse anche oggi, quelli del continente. Suggestione e passione si coniugano, dando vita ad uno dei romanzi cardine della letteratura italiana.

Quando frugavo in fondo all’animo dei miei personaggi, era nella mia anima che frugavo, e tutte le angustie che ho raccontato nelle migliaia di pagine dei miei romanzi e che tanta pena vi hanno fatto, erano i miei dolori, le mie angosce, i dubbi, le lacrime che io piansi.”

Nel frattempo, con l’avvento del fascismo in Italia, la Deledda fu costretta a dedicare al duce un romanzo, Annalena Bilsini. Mussolini, lusingato, la ringraziò inviandole una foto autografata con dedica. La Deledda, però, chiese che un suo conoscente, Elia Sanna, fosse liberato dal confino. Mussolini accettò. Il premio Nobel la consacrò definitivamente, anche a livello internazionale. Tornata dalla Svezia, si ammalò di cancro al seno. Il suo lavoro letterario subì un parziale arresto, la scrittrice lavorò quasi fino alla fine, lasciando incompiuto il romanzo semi-autobiografico Cosima, quasi Grazia. Muore a Roma, il 15 agosto del 1936, dieci anni dopo la vittoria del Nobel. Conoscere Grazia Deledda equivale a conoscere la Sardegna, un mondo parallelo e periferico, eppure così affascinante, come lo fu l’anima di questa grande autrice.

Documentazione: Sandra Petrignani, La scrittrice abita qui (Neri Pozza)

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