Enrica Calabresi, la grande scienziata che per colpa delle leggi razziali fasciste perse tutti gli incarichi pubblici

by Michela Conoscitore

In quel periodo la incontrai per strada. Una figura esile, vestita in modo dimesso, che camminava rasente i muri, diretta probabilmente a quella che ora ho saputo essere la sua casa, in via del Proconsolo. Mi parve un animale braccato. La salutai e avrei voluto parlare, dichiararle la mia solidarietà, ma non ne ebbi il coraggio. D’altra parte anche lei non mi incoraggiò. Come un cane randagio che svicola lungo i muri. Mi fece molta pena”, a parlare l’indimenticata Margherita Hack che nei suoi ricordi di ragazza, in un’intervista di qualche anno fa, pescò un triste aneddoto sulla sua professoressa di scienze del Galilei di Firenze. Lei si chiamava Enrica Calabresi, e non era una semplice docente di liceo, perché la sua vita celava un mondo infinito di bravura e purezza. Su di lei, come su altri milioni ebrei, nel 1938 pesò l’approvazione delle leggi razziali che miravano a cancellare la comunità ebraica da ogni strato della società. “Se ho scelto di essere libera, è stato grazie a lei”, riferì Hack al suo intervistatore.

La scienziata nacque a Ferrara il 10 novembre del 1891. Ultimogenita, Enrica crebbe in una famiglia in cui le donne e la scienza erano tenute in grande considerazione. Iniziò a studiare matematica nella sua città, per poi decidere di trasferirsi a Firenze, dove si laureò, col massimo dei voti, il primo luglio del 1914 in Scienze Naturali. L’anno prima, per la sua viva intelligenza, aveva già ottenuto il posto di assistente alla Specola, il Gabinetto di Zoologia e Anatomia Comparata dell’ateneo fiorentino.

A Firenze, oltre ad uno sfavillante inizio di carriera, incontrò anche l’amore: lui era Giovan Battista De Gasperi, di Udine, geologo ed esploratore, anche lui brillante studioso come Enrica, aveva già partecipato ad un’importante spedizione in Patagonia con De Agostini. I due decisero di fidanzarsi ufficialmente, pensando già al matrimonio. Ma scoppiò la Prima Guerra Mondiale, e De Gasperi partì per il fronte come tenente degli Alpini. Dopo una medaglia d’argento al valor militare, il geologo perse la vita durante i combattimenti. La passione per il suo lavoro non l’aveva abbandonato nemmeno durante i tempi duri al fronte, poiché da geologo le rocce esercitavano su di lui sempre un certo fascino. Così scriveva ad Enrica, in una delle ultime lettere: “Ieri ho provato il supplizio di Tantalo applicato alla geologia. In una vicina selletta stanno alcune trincee in muro a secco: tutte le pietre sono piene di fossili. E come sono belli. Ma ne ho preso nota e se porto a casa la ghirba”: aveva solo ventiquattro anni, all’attivo ben 137 pubblicazioni scientifiche, segno di un avvenire professionale più che promettente il suo, che purtroppo non ebbe un seguito.

Enrica decise di abbandonare momentaneamente l’università e si arruolò come crocerossina per offrire il suo aiuto in quell’inutile strage. La scienziata provò ad esorcizzare così il lutto per la perdita di De Gasperi, oltre a non voler più intraprendere nessun’altra relazione, rimanendogli fedele a vita. La morte di Giovanni inciderà profondamente l’animo di Enrica, questo è un ricordo di una delle sue allieve a scuola: “Austera, non autoritaria. Appassionava con le sue spiegazioni, però non l’ho mai vista scherzare”.

Terminato il primo conflitto bellico, Enrica tornò a Firenze: il suo ambito d’applicazione sono gli insetti, bravissima nel riprodurli in tavole eccezionali, nel 1918 entrò a far parte della Società Entomologica Italiana come segretario. In seguito, nel 1924, ottenne l’abilitazione all’insegnamento della Zoologia. Molto colta, Enrica parlava correntemente l’inglese, il francese e il tedesco, lingue che la aiutarono ad intessere relazioni accademiche e per stilare pubblicazioni che trovarono ampia diffusione all’estero. Sempre agli anni Venti risalgono le sue collaborazioni con la Treccani e l’Università di Berlino.

Nel frattempo, il clima in Europa stava volgendo al peggio: fermamente convinta dei suoi ideali antifascisti, nel 1932 l’Università di Firenze le tolse l’incarico di docente per assegnarlo ad un fascista della prima ora, il conte Lodovico di Caporiacco. La scienziata, pur di lavorare, nel 1933 si vide costretta a tesserarsi al partito fascista, soltanto così ebbe un incarico nel Regio Liceo per Geometri Galileo Galilei. Nel 1936, inoltre, fu chiamata ad insegnare presso la cattedra di Entomologia agraria, presso la facoltà di Agraria dell’Università di Pisa. Nel frattempo, a Firenze, passò ad insegnare nel Regio Liceo Ginnasio Galileo: tra i suoi allievi, la futura scienziata Margherita Hack, che deve proprio alla Calabresi la sua vocazione antifascista. Hack raccontò, tempo fa: “L’ho vista cacciare dalla scuola da un giorno all’altro a causa delle leggi razziali. Questo mi ha aperto gli occhi su cosa può fare una dittatura e ha segnato in me una frattura: è allora che sono diventata antifascista”.

I membri di razza ebraica delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti, cesseranno di far parte delle dette istituzioni a datare dal 16 ottobre 1938-XVI.

  • Regio Decreto Legge 1390 del 5 settembre 1938, articolo 4

Proprio a causa dell’introduzione delle leggi razziali che la professoressa Calabresi perse tutti gli incarichi pubblici. Costretta a dichiarare la sua razza e la sua fede, fu cacciata dagli ambienti universitari e scolastici fiorentini, nell’indifferenza generale dei colleghi. Per Enrica, però, lo studio e l’insegnamento rimasero sempre una cura ai dolori della vita, così si dedicò agli alunni ebrei, espulsi dalle scuole statali, che la comunità di Firenze accolse nella Scuola Ebraica di via Farini. Una mattina del gennaio 1944, i fascisti andarono a prelevarla nella sua abitazione in via del Proconsolo, e la portarono nell’ex monastero di Santa Verdiana, riconvertito a centro di smistamento per i deportati destinati ad Auschwitz.

Enrica avrebbe potuto fuggire in Svizzera con la sua famiglia, ma non volle abbandonare i suoi alunni. Avrebbe potuto nascondersi, ma affermò sempre di non voler mettere in pericolo la vita di qualcuno che avrebbe coperto la sua sparizione. Enrica aveva già deciso: in attesa di salire sul treno diretto ad Auschwitz era tranquilla, stringeva tra le mani una piccola ampolla di vetro. Alla madre e alla sorella Letizia aveva sempre ripetuto che, se fosse successo, non sarebbe mai partita per i campi di concentramento. Il 18 gennaio ingoiò il contenuto di quella ampolla, fluoruro di zinco, un veleno che dopo un’agonia di due giorni la portò alla morte, il 20 gennaio del 1944.

L’immenso esempio di vita della professoressa Calabresi è doppiamente significativo perché risalente a un’epoca, quella dei totalitarismi, in cui il coraggio e la determinazione di portare avanti le proprie idee e il proprio credo erano il solo antidoto alla perdita di dignità.

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