«Siamo tutti normalmente differenti o diversamente normali». Luisa Sordillo e il suo MagoS, che abbatte muri e pregiudizi con la musica

by Antonella Soccio

Simone Maghernino, in arte MagoS, è un ragazzo autistico di 23 anni originario di San Severo in Puglia, che ama cantare. Il suo primo brano “Ali in tasca” ha avuto un grande successo di pubblico e di critica, con articoli nazionali e un approfondimento Ansa. Da alcuni giorni è stata pubblicata la sua seconda canzone “Paronomasia” e il suo video su You Tube ha registrato in poche ore più di 10000 visualizzazioni.

Quella di Simone, come osserva Luisa Sordillo madre e paroliera di MagoS, è una rivoluzione, senza armi ma a colpi di fortissime emozioni. Il giovane cantante è un pioniere, che si propone di abbattere muri e pregiudizi anche nel mondo della musica.

Noi di Bonculture abbiamo intervistato Luisa Sordillo.

Luisa, come nasce la passione per la musica di MagoS? Si dice sempre che la musica unisce i codici ed è il linguaggio più universale e completo. È così per un ragazzo o un bambino/a autistico/a?

«Credo che la musica accompagni la vita di moltissime persone e anche per la nostra famiglia è sempre stata una compagnia quotidiana. La musica è straordinaria perché, oltre ad essere il linguaggio universale per eccellenza, non punta il dito e non giudica.

Sa essere un’amica leale e Simone aveva ed ha fame di amicizia.

L’effetto collaterale primo di una diagnosi di autismo è spesso proprio la solitudine, che non viene dagli autistici ma dal mondo esterno. E la musica, pur non riuscendo a sostituirsi ad un amico in carne ed ossa, può però attenuare i silenzi, tenere impegnati, portare l’attenzione altrove. E’ una compagna fedele, c’è sempre quando si ha bisogno di lei.

L’interesse di Simone per la musica ha qualcosa di miracoloso. Lui ha bisogno di sollecitazioni per organizzare tempo e attività e solitamente non fa propri gli stimoli esterni, pur essendo sempre attento e presente. Con la musica il rapporto è nato spontaneamente, probabilmente proprio per quel bisogno profondo di colmare assenze e vuoti nelle sue giornate. E così prima ha imparato ad ascoltare con maggiore attenzione, poi a ricercare le sue canzoni preferite al computer ed infine a cantarle. Arrivando a chiedermi di sua iniziativa di poter suonare uno strumento e scegliendo il pianoforte.

Con la musica è riuscito ad esternare la sua anima bella, ad allargare i suoi interessi, a superare alcune delle sue difficoltà, a ritrovare serenità ed equilibrio, a sentirsi all’altezza, a ricostruire piano piano un’autostima e soprattutto a salvare la possibilità di essere sé stesso senza per questo sentirsi frustrato o inadeguato».

PARONOMASIA, l’ultimo singolo scambia appunto paronomi e parole inserite in diversi contesti. Come mai la scelta di tali incastri verbali? Cosa volevate comunicare?

«La ringrazio per questa domanda, acuta e profonda.

Paronomasia è nata come un inno alla gioia, un grido di libertà. E infatti, nel suo ritornello invita a saltare, un’azione che porta a levare i piedi da terra, lasciando andare tutte le zavorre e i pesi che si portano addosso per elevarsi più leggeri, più liberi. La vita è una e spesso molto faticosa ed è necessario ogni tanto poter staccare la spina e rigenerarsi, accantonando le paure, le responsabilità, le ingiustizie, i pregiudizi, il dolore e “sollevarsi”, nella sua doppia accezione di elevarsi e provare sollievo. Questa canzone credo sia molto universale.

La paronomasia è una figura retorica che gioca con parole simili. Più in dettaglio la figura retorica usata è la figura etimologica , che utilizza parole con la stessa radice ma significati differenti. Tale figura rientra proprio nella più grande famiglia della paronomasia.

La scelta dei paronimi, come lei ha ben osservato, è importante. I paronimi sono delle parole somiglianti ma differenti. Non sono così tutti gli esseri umani? E’ proprio questo il significato metaforico insito nelle strofe di questa canzone. Siamo uguali? Siamo diversi? Siamo simili? Non è ciò che conta. Abbiamo una radice comune, la nascita, e poi nella vita acquistiamo significati differenti, scaturiti dal nostro modo di essere, ma siamo tutti desiderosi di vivere, di sognare, proviamo tutti emozioni, gioia e dolore. Siamo tutti normalmente differenti o diversamente normali. E abbiamo tutti una vita soltanto.

Nel video che accompagna la canzone Simone ha portato in piazza ben 110 ragazzi. Alcuni direbbero normodotati e diversamente abili. Io dico ciascuno con le proprie caratteristiche. Tutti vestiti nello stesso colore a testimoniare che le differenze possono annullarsi. Non perché non ci siano più, ma perché si amalgamano, si confondono, si miscelano. E si completano. Questa è l’inclusione, quella vera. Quella che ancora latita parecchio in vari contesti, ma che non bisogna mai smettere di conquistare».

Cacciare via il dolore dello scherno”, canta Simone ad un certo punto. Si riesce mai a convivere con lo stigma, che permane e resiste nonostante l’educazione e la formazione contro il bullismo, e se sì come?

«Necessariamente ci si convive, ma con la schiena piegata per il peso di questa zavorra. Che ogni giorno piega la colonna in avanti perché l’incomprensibilità dello stigma rende tutto notevolmente più pesante. Gli adulti parlano tanto e a modo loro e con i limiti dei personali pregiudizi tentano di insegnare. Ma è l’esempio pratico che poi fa cilecca. Non combacia più con la teoria. Manca ancora a tutti l’educazione civica all’inclusione, ad un riconoscimento naturale e spontaneo dell’art. 3 della Costituzione, ad un integrale convincimento che le differenze, di qualunque tipo, siano arricchenti. C’è ancora troppo conformismo, troppo adeguamento agli schemi e tutto ciò che diverge viene visto e vissuto come di minore qualità.

Siamo fermi ad una tolleranza, al più ad un’accoglienza. Ossia ad un’accettazione da parte di chi si ritiene migliore. L’inclusione è un’altra cosa! E’ pensare di essere tutti parti importanti di un gruppo, ciascuno con il proprio apporto. Ritengo che il rispetto dell’essere umano debba essere insegnato nelle scuole, in famiglia e ovunque con l’esempio. Non va studiato per essere appreso, deve essere assorbito come comportamento immediato e imprescindibile.

Nel precedente e fortunato singolo MagoS accenna al tipico atteggiamento di chi di fronte alla differenza “Abbassa lo sguardo”. Da madre cosa la feriva, la ferisce di più: chi abbassa lo sguardo anche alle volte per pudore, per incapacità, o chi lo mantiene pavoneggiando una certa accettazione della diversità, con comportamenti di maniera?
Quanto ferisce la compassione? E come la si affronta nello sguardo degli altri?


«Ali in tasca, il primo singolo di MagoS è stata una canzone necessaria, di presentazione, in cui si è messo a nudo mostrando tutte le sue fragilità. Gli autistici sono così, puri, genuini, senza artificiose parvenze o facciate di convenienza. Non sanno cosa siano l’ipocrisia e la falsità e si mostrano sempre per quel che sono realmente. Questo indubbiamente destabilizza chi, con un processo mentale che ritiene più evoluto, è abituato a fingere, ad apparire, ad indossare maschere. Da qui la discrepanza primaria che spesso confluisce in comportamenti sindacabili. Chi abbassa lo sguardo, qualunque sia il motivo, alza muri e tende ad allontanarsi. Chi, al contrario, tende a trattare gli autistici come bambini di due anni anche se ne hanno 20 mostra comunque un’inadeguatezza e una mancata conoscenza della diversità. Non mi feriscono più questi comportamenti perché ora sono forte, grazie a mio figlio. Lui mi ha insegnato tante cose, ha ripristinato la gerarchia di valori, mi ha restituito il senso di molte cose. E dunque la compassione dell’altro si tramuta in compassione da parte mia per la mancata volontà degli altri di allargare i propri orizzonti e non rimanere fermi nell’unico punto comodo ma di stallo che conoscono. Io sono in posizione decisamente più precaria rispetto a loro, ma ho imparato a guardare la vita con occhi ricchi di sfumature e non con i soliti, limitati e limitanti colori. Questo però è un mio percorso personale che ha richiesto tempo e tante, tantissime lacrime. Per arrivare fin qui ho sofferto molto per tutti gli sguardi che arrivavano dagli altri, su di me e soprattutto su mio figlio. E non è stato facile. Ciò che pesa davvero non è tanto l’autismo in sé ma la considerazione che si ha di esso e dell’autistico. E, come ho detto prima, la solitudine che lo circonda. Avere un figlio autistico e soprattutto essere autistico comportano difficoltà notevoli e grande dispendio di energie. Bisogna adeguarsi ad un mondo per il quale non si è sufficientemente equipaggiati. Sarebbe tutto più semplice se non si rimanesse da soli e se si avessero accanto amici e familiari. E chiaramente se ci fosse una mentalità meno infossata su rigidi schemi».

Come si accoglie davvero la diversità?

«La diversità si accoglie spontaneamente e naturalmente, cercando di annullare la distanza tra le parti. Non nel senso di voler necessariamente eliminare o attenuare le differenze. Al contrario, facendone un ponte per conoscere nuovi paesaggi. Si accoglie smettendo di fare paragoni, di sentirsi accoglienti perché migliori e accolti perché peggiori. Parliamo di quantità e non di qualità. Persone numericamente maggiori a fronte di persone numericamente minori. Quindi c’è inclusione, che è parola più rivoluzionaria rispetto all’accoglienza, se si azzerano le risatine, il sarcasmo, le occhiate di sbieco. Se si stabiliscono obiettivi comuni e non preclusioni basate su pregiudizi. Se si danno le stesse opportunità. Se si prova ad essere empatici non con le parole ma nei fatti. Imparando a comprendere che tutti abbiamo bisogno di tutti e che da ognuno si può trarre ricchezza. La disabilità presenta varie forme, alcune più gravi che richiedono maggiori attenzioni e responsabilità. Dunque mai generalizzare. Tuttavia, solo vivendola, si può comprendere davvero quanto la diversità sposti il grandangolo, permettendo un balzo avanti della sensibilità, dell’evoluzione emotiva e dell’apertura mentale. E una volta affinate queste caratteristiche non c’è più bisogno di dare indicazioni perché si comprende senza particolari suggerimenti come includere la diversità! Dimostrando davvero di avere voglia di farlo».

Negli ultimi tempi si fa anche un gran parlare delle imperfezioni della maternità, del lato oscuro dell’essere madre. Le è mai capitato di sentirsi cattiva con suo figlio, di sentirsi impotente? O addirittura di rinnegarlo nel suo cuore? Cosa ha significato avere un figlio diversamente abile a San Severo? C’è ancora una cultura retriva e se sì come si esprime?

«Sono stata e sono una madre imperfetta, che ha ancora grosse lacune e tanti dubbi. La disabilità di mio figlio ha sicuramente acuito questa mia consapevolezza perché è tanto, troppo quello che si richiede ad una madre “autistica”. L’assenza dello Stato, delle istituzioni, della scuola e spesso della famiglia e degli amici ci pone in una condizione complessa. Si devono prendere decisioni importanti, si deve far fronte ad una serie di problematiche talora anche tecniche, che richiederebbero competenze specifiche. Si deve imparare ad essere infermieri, insegnanti, medici, logopedisti, psicomotricisti e tanto altro. Si deve rinunciare a se stessi per dedicarsi quasi esclusivamente al proprio figlio. E’ come avere un figlio che rimarrà piccolo per sempre! Eh sì, mi è capitato di maledire la mia maternità, di voler tornare indietro per ricercare un destino diverso. Avere un figlio diversamente abile in un tempo e in uno spazio dove c’è poca competenza e tanta presunzione di averla è molto molto difficile. Ci si sente sempre agnelli in un recinto di lupi. E più di una volta in passato mi sono fatta travolgere da questa mentalità chiusa in aridi confini e ho messo all’ultimo posto mio figlio. Ma poi ho compreso e non sono più disposta a fare passi indietro. Ho dovuto sempre lottare per ottenere il suo rispetto, per tutelare i suoi diritti e la sua dignità E continuerò a farlo, se necessario. Però le cose stanno cambiando e tanta strada è stata fatta. Molta ancora solo a parole, ma è un buon inizio. Io sono fiduciosa. Ed ho imparato che il cambiamento deve partire dalle famiglie, da chi vive determinate situazioni. Perché è ancora difficile che qualcuno ti venga incontro spontaneamente. Tuttavia se si bussa alle porte queste cominciano ad aprirsi e si incontrano volti sorridenti. Le persone iniziano a provare a comprendere, ad informarsi. E’ difficile che qualcuno ti porga il braccio, ma se tu ti ci appoggi non lo ritraggono più. Sono piccoli enormi progressi di civiltà, di appartenenza ad una stessa comunità. Sono segnali di amicizia, affetto, amore per il prossimo. A San Severo come nelle altre città ribadisco che la strada è ancora lunga, ma sento che Simone non è più solo. Grazie alla musica è conosciuto, ammirato, amato. Rispettato. E può credere in un mondo migliore».

Vivere la vita che mi è stata data a testa alta. È un altro suo verso, cantato da MagoS. Eppure la nostra società, sopratutto da noi al Sud, è ancora molto distante dall’idea di una perfetta integrazione dei ragazzi con diversabilità nel mondo del lavoro. Sono pochissime le unità abitative per loro. Ci sono ancora tanti tabù anche sulla loro
sessualità.
Qual è il suo pensiero? Come vede suo figlio senza la sua cura?

«Come dicevo,il mondo degli adulti sta migliorando molto a parole, ma nei fatti c’è ancora tanta strada da percorrere. Il mondo del lavoro sembra uno dei più lontani, anche se cominciano ad intravedersi dei bagliori. La situazione non è molto diversa nel resto d’Italia, dove quelle poche attività che coinvolgono gli autistici sono state messe in piedi direttamente dai familiari che ne hanno avuto possibilità. Non posso che invitare lo Stato, le Regioni e i Comuni a predisporre progetti interessanti che coinvolgano questi ragazzi, ma non solo tra di loro, creando succursali dei centri per disabili, bensì inserimenti inclusivi che abbattano muri e pregiudizi. Per quanto infine concerne la sessualità posso dire che anche qui il problema si riconduce all’isolamento sociale di questi ragazzi. Manca la cultura dell’essere amici di persone diversamente normali. Figuriamoci ad avere storie d’amore con loro. Dimenticando che provano emozioni, sentimenti e hanno le medesime esigenze di ognuno di noi. Il dopo di noi è ancora e sempre un tarlo costante nella mente di ogni genitore di figli disabili. Mancano o sono ancora in numero esiguo strutture adeguate inclusive e operatori di settore formati non ad accudirli, ma ad integrarli. Solitamente i figli si dice che siano il bastone della vecchiaia dei genitori, mentre per i genitori “autistici” la situazione si ribalta. E i loro ragazzi potrebbero non essere parte attiva del futuro, ma subirlo. Senza aspettative, senza possibilità di sognare. Simone in questo è stato per ora più fortunato. Ha sognato in grande e sta volando tra i suoi sogni. Durerà e quanto? Nessuno può dirlo. Mi piacerebbe incontrare delle persone del “mestiere” in campo musicale che avessero voglia di osare, di contribuire al cambiamento, di divenire insieme a noi parte attiva di questa rivoluzione, senza armi ma a colpi di emozioni. Perché Simone sa davvero emozionare e poco importa se può non rientrare nei canoni tradizionali. Noi ce la metteremo tutta affinché il suo futuro valga la pena di essere vissuto. Nel frattempo vive la sua vita, a testa alta. E salta, salta, salta.

Vorrei aggiungere dei ringraziamenti:

Dico grazie a tutti coloro che ci sono stati vicino, sia materialmente nella produzione del disco sia motivandoci, incoraggiandoci e applaudendo Simone.

A tutti coloro che lo seguiranno, che diverranno suoi fan, che saranno al suo fianco, che faranno il tifo per lui.

A Edgardo Caputo della Edrecords di San Severo che ha curato l’arrangiamento e la produzione del brano.

A Daniela Grando, Daniela Perricone e Ursula Rosa per la preziosa collaborazione musicale.

A Ilario de Angelis per aver partecipato anche in questo brano come corista.

Al video maker Alessandro Russi, che ha realizzato un video bellissimo.

Al grafico Luigi Iafisco per la copertina originale.

E ultimo, ma mai ultimo, ringrazio Simone, perché non si arrende mai e affronta ogni giorno con la dolcezza e la determinazione necessarie. E perché, inconsapevolmente, è il pioniere di questa rivoluzione culturale e il vero miracolo della mia esistenza.

Invito tutti i lettori a vedere il video della canzone Paronomasia su you tube, ricordando che la canzone è disponibile in tutti i digital store».

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