Ilse Weber e la sua ninna nanna Wiegala, cantata dai bambini ad Auschwitz e simbolo del massacro degli innocenti

by Anna Maria Giannone

Il 6 ottobre 1944 Ilse Weber accompagnò un gruppo di bambini ebrei nelle docce di Auschwitz, cantando Wiegala, una ninna nanna da lei composta durante la prigionia a Terezìn.

Ilse era una musicista e un’autrice di letteratura dell’infanzia molto affermata e questa canzone è diventata il simbolo del massacro di tutti gli innocenti. “Domani ci sei tu, se oggi tocca agli altri, privati dei diritti, siamo tutti esposti”.

Ilse Herlingerová nacque a Vítkovice vicino a Ostrava e vi trascorse lì la maggior parte della sua vita. Era innamorata della sua terra e se non fosse stato per i tragici eventi accaduti alla sua famiglia non avrebbe sicuramente lasciato il suo paese natale.

Fin dalla sua giovinezza Ilse mostrò una predilezione per l’arte, la musica e la letteratura in particolare. Scriveva storie e poesie e gradualmente imparò a suonare diversi strumenti musicali, il liuto, la chitarra e la balalaika. Il mondo dei bambini era anche la sua grande passione. Nel 1930 aveva già pubblicato tre fortunati libri di fiabe ed era divenuta una affermata musicista.

Patriota della sua Cecoslovacchia, diede al suo secondo bambino il nome di Tomáš in onore del presidente Masaryk.

La Cecoslovacchia degli anni Trenta era un’isola di democrazia e di fermenti intellettuali che spiccava nel panorama degli altri Stati dell’Europa orientale, sottoposti a regimi dittatoriali e caratterizzati dal prevalere dell’antisemitismo.

Nel 1939 Ilse viveva ancora nel villaggio di Vítkovice, nella Cecoslovacchia settentrionale con suo marito e due figli quando la loro città fu annessa al Terzo Reich. 

I Weber decisero di mandare il primo figlio Hanuš in Inghilterra, affidandolo all’amica di Ilse, Lilian von Löwenadler. Il piccolo partì così insieme ad altre seicento bambini ebrei, sottratti ai nazisti grazie all’attività di salvataggio di un agente di borsa inglese, Nicolas George Winton e spediti in treno nell’unico paese europeo che accettò di accoglierli, l’Inghilterra. Hanuš rimase così in Gran Bretagna e poi in Svezia, dove fu allevato da Gertrud Löwenadler, la madre di Lilian.

Ilse non lo avrebbe più rivisto.

Alla fine del 1940, la situazione nella regione di Ostrava si rivelò pericolosa per la vita dei Weber, che furono costretti a trasferirsi a Praga, vivendo in condizioni molto modeste fino al febbraio 1942 quando furono evacuati nel ghetto di Theresienstadt (Terezín) con il trasporto “W”.

Ilse Weber si dedicò alla cura dei bambini come già aveva fatto a Praga dedicandosi agli orfani. A Terezín lavorava nell’infermeria dei bambini dove si prese cura amorevolmente di tutti i piccoli pazienti cercando di intrattenerli con canti e filastrocche. Ai bambini ebrei era negato ogni tipo di medicina.

Ilse ha lasciato sessanta poesie e una corrispondenza con la sua amica svedese di lunga data Lilian von Löwenadler.

Queste lettere si rivelarono un’importante fonte di documenti storici, registrando, da un lato, la disgregazione di una felice vita familiare nell’arco di un decennio e dall’altro il cambiamento dell’intera società ceco-tedesco-polacca in cui vivevano i Weber: le crescenti tensioni e il crescente antisemitismo tra tedeschi e cechi.

Secondo le testimonianze esistenti, Ilse continuava a diffondere gioia e a dare forza ai suoi compagni di prigionia per quanto poteva.

Nel Ghetto si risvegliò il suo enorme talento poetico: ha scritto decine di poesie e canzoni, ritraendo intimamente la vita di donne, uomini e bambini imprigionati a Terezín. Ha condiviso le sue poesie e canzoni con i suoi compagni di reclusione, molte delle sue poesie si sono diffusero velocemente. Erano parole di conforto e di speranza per tutti i deportati, che le imparavano a memoria e vi si aggrappavano.

La casa, me l’hanno tolta E ormai non ne ho più nessuna. Io vado errando rassegnata e triste, oh, quanto tutto questo mi pesa: Theresienstadt, Theresienstadt quando il nostro soffrire terminerà, quando riavremo la libertà?”

Il 10 giugno 1942 il villaggio di Lidice fu completamente distrutto dai nazisti per vendetta in seguito all’attentato a Praga contro il ‘Protettore del Reich della Boemia e Moravia’, Reinhard Heydrich. Tutti gli uomini vennero fucilati, le donne e bambini deportati a Terezin come fossero un gregge.

Ilse dedica loro una poesia poco prima di essere deportata,“Le pecore di Lidice”.

Queste sono le pecore di Lidice, adatte proprio qui, nella città dei senza patria, animali senza casa. Chiusi da un muro, accomunati dal crudele destino, il popolo più tormentato della terra e il gregge più triste del mondo”.

Nel 1944 i Weber furono deportati. Il giorno in cui Ilse giunse al capolinea del treno su cui era salita volontariamente per non abbandonare i suoi bambini malati, arrivata ad Auschwitz fu riconosciuta da un detenuto che la vide mentre cercava di consolare i “suoi” bambini messi in fila davanti alle docce.

Ilse gli chiese: “È vero che possiamo fare la doccia dopo il viaggio?” Egli non volle mentirle e rispose: “No, questa non è una doccia, è una camera a gas. Ti ho spesso sentito cantare nell’infermeria. Entra con i bambini il più in fretta possibile e cantando siediti con i bambini per terra e continua a cantare. Canta con loro ciò che hai sempre cantato. Così inalerete il gas più velocemente, altrimenti verrete calpestati e uccisi dagli altri quando scoppierà il panico”.

La canzone che cantò insieme a suo figlio e agli altri bambini, quel 6 ottobre 1944 entrando nelle docce di Auschwitz, fu “Wiegala”.

Da quel giorno, questa ninna nanna fu cantata da tutti i bambini prima di entrare nelle camere a gas di Auschwitz ed è rimasta nella memoria come simbolo del massacro degli innocenti.

Il marito Willi riuscì a sopravvivere. Era riuscito a seppellire sotto terra a Terezin nel capanno degli attrezzi le poesie e le canzoni che Ilse aveva composto durante la prigionia.

Tutti i suoi scritti si possono trovare nel libro ‘Quando finirà la sofferenza? Lettere e poesie da Theresienstadt‘ di Ilse Weber (Lindau). 

Tutto ciò che sta succedendo ora ha sicuramente un senso, un senso che oggi non riconosciamo ancora, che tuttavia è nascosto in quello che sta avvenendo. Noi ebrei siamo le vittime, ma non siamo solo noi a essere infelici[…]Circondati dalla morte e dall’orrore, non dobbiamo perdere la fede in noi stessi, dobbiamo costruire altari alla gioia, nei quartieri affollati e bui”.

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