Joan Mitchell, l’astrattista delle emozioni che fu pittrice ponte tra i due mondi dell’arte

by Elena Marino

L’astrattismo non è uno stile, io voglio semplicemente fare un lavoro di superficie

Joan Mitchell è una delle artiste più influenti del secondo dopoguerra in America, quando New York conquistò lo status di capitale mondiale dell’arte. Dei settantadue artisti esposti al Ninth Street Show solo undici erano donne e solo cinque hanno ottenuto oggi ampio riconoscimento. Tra di loro appunto Joan Mitchell, che si affermò con la sua pittura gestuale, polposa e dalla ricca texture e dai colori vibranti e lirici.

Nata a Chicago da una famiglia molto ricca- madre poetessa e montatrice e padre medico- visse una forte conflittualità col padre e come molte figlie di buona famiglia si impose negli sport per bennati. I suoi genitori la incoraggiarono però nella carriera artistica e nel 1949 si trasferì a New York, dove divenne subito uno dei punti di riferimento della scena avanguardistica, ponendo il suo nome come una figura centrale nella seconda generazione di espressionisti astratti.

In un tempo in cui le donne erano marginalizzate nel mondo dell’arte, lei catturò l’attenzione dei leader del movimento, come Franz Kline, Willem de Kooning.

Durante tutti gli anni 50, Mitchell sviluppò il suo particolare stile, fatto di linee ritmiche interposte campi di colore che divengono un linguaggio attraverso il quale comunicare emozione ed esperienze di vita.

Joan Mitchell disse del suo lavoro: “In particolare la cosa che voglio non riesce ad essere verbalizzata, sto provando a fare qualcosa di più specifico che muova dalla mia vita di ogni giorno. Quello che voglio è definire un sentimento”.

I colori quindi assumono un significato quasi psicanalitico. Tutto il processo di Mitchell era ambiguo. L’arte era per lei memoria, evocazioni, istanti che non potevano essere replicati in natura.

Nei suoi quadri, ha scritto Katy Hassel, è come se evocasse o facesse a pezzi secoli di pittura con le sue tele aspre, ruvide eppure luminosamente modulate. La si immagina mentre combatte con l’opera, assai prima di Pollock, suo amico.

L’opera di Joan Mitchell può essere considerata un ponte tra la pittura americana e quella europea. Dapprima protagonista dell’Espressionismo Astratto americano – negli anni Cinquanta, quando viveva in quella New York – faceva parte del gruppo di mitici pittori, tra cui Pollock e De Kooning, con il quale sarebbe restata fino alla fine in rapporti di fraterna amicizia – che avrebbe scalzato Parigi dal ruolo di centro dell’arte mondiale e segnato l’affermazione della metropoli americana come luogo propulsore dell’innovazione artistica – e successivamente, a partire dal suo trasferimento a Parigi alla fine degli anni Cinquanta, creatrice di una pittura che rivisita le esperienze di Van Gogh e di Monet, e che riesce a trasmettere, attraverso una gestualità astratto-informale e colori squillanti, le emozioni provate di fronte alla natura (campi, giardini, alberi, fiori) e i sentimenti suscitati in lei da alcune vicende della sua vita.

Come ha spiegato John Cheim, che dal 1987 lavora alla sua opera, già all’inizio degli anni ’50 Mitchell esponeva l’importante Stable Gallery, gestita da Eleanor Ward, la famosa gallerista che per prima ospitò una mostra di Andy Warhol. Il dipinto “Ladybug” del 1957 fu venduto al Museum of Modern Art di New York, nel 1961, quando Mitchell aveva 36 anni – un risultato straordinario per una giovane artista, in quegli anni. Mitchell è stata un’artista popolare e riconosciuta che ha venduto molte opere, seppure a buon prezzo, per tutta la sua vita.

Attingendo ai colori della natura e spesso facendo riferimento all’estetica delle Ninfee di Monet, le opere della maturità sfiorano il sublime, con forti influenze del lavoro di Van Gogh.

I quattro pannelli che compongono Edrita Fried del 1981 lunghi quasi otto metri emanano una bruciante energia e una luminosità che danza attraverso onde color indaco mentre tentano di sopraffare le fiammate ocra.

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