La materia erotica di Lou von Salomè, prima psicanalista a credere in un inconscio non foriero d’istinto di morte

by Michela Conoscitore

Una pensatrice, filosofa, scrittrice e prima donna a diventare psicanalista: lei era Louise von Salomè, ma si faceva chiamare Lou. Più diretto e confidenziale, immediato e semplice come non lo sarebbe stato il rapporto con lei. Perché questa donna poteva essere descritta con tutti gli aggettivi più positivi e ridondanti, ma semplice o banale non lo è mai stata.

Lou nacque in Russia, a San Pietroburgo, nel 1861. La famiglia aveva origini tedesche e francesi, tanto che la bambina, venuta al mondo in una famiglia al maschile, la precedevano ben cinque fratelli, parlava correntemente, oltre al russo, anche tedesco e francese. Intelligentissima e appassionata allo studio, uno dei suoi precettori fu Hendrik Gillot, pastore luterano che si innamorò perdutamente di lei, il primo di una lunga lista di esponenti del genere maschile che rimasero folgorati dalla bellezza discreta e, soprattutto, dal magnetismo che Lou emanava. Per nulla interessata a Gillot, la diciottenne mise fine alle loro lezioni e, a causa della tisi, in cerca di climi più miti si trasferì con la madre dapprima a Zurigo e poi a Roma. Qui, iniziò a frequentare il salotto di Malwida von Meysenbug, scrittrice tedesca molto famosa nella Capitale e appassionata di politica. Lou, in una delle riunioni a casa della Meysenbug, conobbe Paul Ree, filosofo e amico intimo di Friedrich Nietzsche. E fu proprio all’amico che raccontò l’incontro con Lou, tanto da spingerlo a partire per Roma per conoscerla. Quando i due si incontrarono, Nietzsche le disse: “Da quali stelle siamo stati portati insieme fin qui?”.

Il rapporto con i due intellettuali tedeschi sfociò in una convivenza, assolutamente inusuale per l’epoca, una specie di comune filosofica. Almeno, questo era il pensiero di Lou che l’aveva concepita come una co-abitazione di tre menti affini, ma non si accordava a quello dei due uomini perché entrambe, come molti prima e dopo di loro, si innamorarono di lei chiedendole la sua mano. Non la spuntarono, tanto che Nietzsche abbandonò il ‘progetto’ della comune molto presto e vinto dallo sconforto per il diniego ricevuto alla proposta di matrimonio da parte di Lou, si ritirò a scrivere quello che lei gli aveva ispirato: Così parlò Zarathustra.

Intanto Lou procedeva spedita, incurante e completamente disinteressata a queste attenzioni, lei voleva altro per sé stessa e lo spiegò bene uno degli uomini a cui, nonostante tutto, fu più legata, il marito Friedrich Carl Andreas: “Fu un Faust in gonnella, poco interessata a gingillarsi con parole vuote. Quello che voleva era scoprire la forza nascosta che regge il mondo e ne guida la corsa: conoscerla, farla propria, amarla”. Andreas, di cui la scrittrice portò il nome affiancandolo al proprio, era un’orientalista che, immancabilmente, si innamorò di lei non ricambiato. Lou si legava agli uomini platonicamente, attirata dalle loro menti vive che sapevano trasmetterle sapere e passione per le cose del mondo, era quindi prettamente apollinea, amava esserlo. Tutti coloro che, invece, si erano invaghiti di lei volevano spingerla verso il dionisiaco senza riuscirci. Andreas, dopo un tentativo di suicidio (e non fu l’unico che tentò il folle gesto per lei, anni dopo la loro convivenza anche Paul Ree si suicidò e alcuni raccontarono lo fece proprio per lei), riuscì a convincerla a sposarlo. Il loro, però, fu un matrimonio bianco, mai consumato, tanto l’intellettuale era presa dalla sua ricerca insaziabile. Rimasero sposati fino alla morte di lei, avvenuta nel 1937, ma ciò non le impedì di sperimentare altro.

Questo suo essere recalcitrante verso l’aspetto fisico del rapporto con un uomo affondava le radici in un atteggiamento narcisistico, come le dirà Sigmund Freud successivamente: lei bastava a sé stessa, inoltre possedeva la concezione che la donna fosse superiore all’uomo e, quindi, non ne aveva bisogno. Eppure, nel suo cammino di vita, che fu un’esplorazione delle varie esperienze offerte ad un essere umano, Lou decise di provare anche l’amore fisico e accadde, a trentasei anni, con un altro dei suoi spasimanti, il medico viennese Friedrich Pineles. Questo cambiamento lo si può spiegare proprio con un pensiero della stessa von Salomè:

Chi arriva in un cespuglio di rose può rubare una manciata di fiori, ma non importa quanti di questi riuscirà a tenere: saranno solo una piccola parte del tutto. Tuttavia, una manciata è sufficiente per sperimentare la natura dei fiori. Solo se ci rifiutiamo di raggiungere il cespuglio, sapendo che non possiamo cogliere tutti i fiori in una volta sola, o se lasciamo aprire il nostro mazzo di rose come se fosse l’intero cespuglio, solo allora fiorirà indipendentemente da noi, sconosciuto a noi, e noi saremo soli.

Dopo Pineles, un altro grande dell’epoca si innamorò di lei, questa volta ricambiato: il poeta boemo Rainer Maria Rilke. Con lui intrattenne una relazione abbastanza turbolenta, durata quattro anni, che per Rilke si trasformò in un rapporto di dipendenza. Anche in questo caso Lou divenne d’ispirazione perché in seguito al suo abbandono, Rilke scrisse due tra le sue opere più importanti, i Quaderni di Malte Laurids Brigge e le straordinarie Elegie duinesi. Se lei, quando lo lasciò, gli scrisse: “Vai incontro al tuo dio oscuro. Egli potrà per te quello che io non posso più: egli ti può consacrare al sole ed alla maturità”, lui ebbe parole più appassionate. Lou fu l’unica donna che il poeta amò nella sua breve vita: “Fosti la più materna delle donne. Fosti un amico come lo sono gli uomini. Una donna, sotto il mio sguardo. E ancora più spesso una bambina. Fosti la più grande tenerezza che ho potuto incontrare. L’elemento più duro contro il quale ho lottato. Fosti il sublime che mi ha benedetto. E diventasti l’abisso che mi ha inghiottito”. Lou von Salomè fu una vera e propria valchiria, chissà se al compositore Richard Wagner arrivarono echi della sua personalità quando creò la celebre opera lirica.

Quando Lou, a cinquant’anni, incontrò Sigmund Freud e la psicanalisi, qualcosa in lei si modificò irrimediabilmente. Lo conobbe nel 1911, durante un congresso a Vienna, lo stesso Freud ne subì, in un certo senso, il fascino. Tuttavia riuscì a mantenere un livello di obiettività tale nei suoi confronti che riuscì ad analizzarla e comprenderla. Dai loro numerosi incontri, che non si sa se classificarli nella sfera della pura amicizia, Lou ne uscì cambiata, oltre che prima donna a diventare psicanalista. “Chi le è stato maggiormente vicino traeva la più forte impressione dalla purezza e dall’armonia del suo essere, e rimaneva stupito di come ogni debolezza femminile, e forse anche la maggior parte delle debolezze umane, le rimanesse estranea, o fosse stata da lei superata nel corso della vita”, disse di lei Freud, e per quanto non sappiamo cosa volesse intendere il noto psicanalista per debolezza femminile, probabilmente l’isteria con cui tutti all’epoca etichettavano le donne, Lou riuscì a cavarsela con una diagnosi che individuò in lei soltanto la patologia narcisistica. Anche in questo caso, forse era un passo avanti nella storia del genere femminile.

Nel corso degli anni, Lou scrisse innumerevoli libri e saggi, tra cui le biografie di Friedrich Nietzsche e Rainer Maria Rilke, I miei anni con Freud e La materia erotica nata proprio dagli studi, originati dall’esperienza soggettiva della pensatrice, sulla psicanalisi. Anche se si discostava, nei principi fondanti, dal pensiero freudiano perché von Salomè credeva in un inconscio che non era portatore di un istinto di morte e di una maternità senza procreazione, approfondì per prima la visione psicanalitica sulla materia sessuale ed emotiva concernente il rapporto tra uomo e donna, ma dal punto di vista femminile:

Nell’amore avvertiamo questa spinta, diversa da ogni altra, a unirci l’uno all’altro proprio sotto l’impulso della novità, dell’estraneità, di un qualcosa che è stato forse presentito e desiderato ma mai realizzato – che non ci giunge dal mondo a noi noto e familiare, con il quale da tempo ci siamo fusi e che semplicemente ripete noi stessi. Perciò si teme sempre la fine di una passione amorosa non appena due persone si conoscono ormai troppo bene ed è svanito l’ultimo fascino della novità, e perciò gli inizi di una passione, con la sua luce incerta e palpitante, sono caratterizzati da un tale ineffabile fascino ma anche da una forza particolarmente stimolante che sconvolge profondamente l’intero essere e fa vibrare l’anima – e che in seguito si ritroverà difficilmente. Certamente, a partire dal momento in cui l’oggetto amato ci è ormai solo estremamente noto, affine e familiare, ma assolutamente più, in nessun punto, un simbolo di possibilità e di forze di vita estranee, è finita la vera e propria passione. Dopo che gli amanti si sono svelati l’uno all’altra in modo così pericoloso, può anche seguire un lungo periodo di intima simpatia, ma questa, nella sua natura, non ha niente in comune con il sentimento passato ed è spesso caratterizzata, malgrado la più sincera amicizia, da infinite, piccolissime irritabilità. Infatti, proprio ciò che una volta in mille quasi impercettibili tratti ci entusiasmava, ora ha un effetto addirittura irritante, invece di lasciarci almeno indifferenti, come magari avviene fin dall’inizio in un’amicizia. Questo è appunto lo sgradevole effetto postumo del fatto che non era assolutamente qualcosa di omogeneo, di affine a eccitarci eroticamente, ma che i mostri nervi vibravano dinnanzi a un mondo estraneo in cui non ci è mai possibile sentirci di casa come nella propria, solita vita quotidiana.

Se Freud ne fu il padre, Lou von Salomè fu la madre della psicanalisi, una progenitura più confacente al suo spirito libero e indomabile.

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