La pittrice Marianne Von Werefkin, la colta mecenate degli espressionisti tedeschi, tradita da un «pavone»

by Elena Marino

Può un colpo di pistola alla mano cambiare il corso di una esistenza artistica, trasformando uno stile pittorico dal verismo accademico all’espressionismo? Sì se ti chiami Marianne Von Werefkin, hai 7mila rubli l’anno di rendita e una cultura sconfinata, che diventa mecenatismo verso il proprio ideale d’amore e verso gli amici.

Marianna Wladimirowna Verevkina, nata a Tula, nella Russia zarista, era figlia di un generale che si era fatto notare nella guerra di Crimea e di una pittrice ricca e colta. Crebbe nell’agiatezza e subito capì la sua vocazione d’artista. Talento precocissimo, girava la Russia dipingendo dal vero i fatti sociali e la condizione dei poveri, ora vestendosi da marinaio, ora da ambulante, sempre con i capelli corti da ragazzaccio. Si guadagnò il soprannome di Rembrandt russa, “la Velásquez”, “la Zurbáran”.

Ma poi venne l’incidente di caccia, con uno sparo accidentale alla mano destra.

Il suo modo di fare arte non poteva più essere lo stesso.

Deve cambiare tecnica per tenere saldo il pennello. E insieme alla tecnica cambia anche la pittura, che diviene espressionista, con grandi pennellate a spatola, che mai però si addentrano nell’astrattismo. Si avvicina così alle avanguardie e per prima comprese la forza di Edvard Munch e dell’espressionismo.

Nel 1892 conosce Alexej von Jawlensky, un ex ufficiale russo naturalizzato tedesco che voleva abbandonare la carriera militare per fare il pittore. Se ne innamora follemente, sopravvalutandolo, come ogni donna fa con gli uomini, e diventando per lui pigmaliona e mecenate. Sono questi gli anni in cui Marianne si dedica con amore sacrificale alla cura del talento del suo compagno, tanto da lasciare la pittura per un periodo lungo dieci anni, definito di “castità pittorica”.

Non dipinge ma organizza il suo salotto, il Salone rosa, dove intrattiene gli intellettuali di Monaco. Tanti vanno ad ascoltare le sue lezioni d’arte.

Le opere realmente espressioniste arriveranno solo nel 1907. Due anni più tardi col suo amante Jawlensky, aderisce alla Nuova associazione degli Artisti di Monaco e, nel 1911, al gruppo Der Blaue Reiter, fondato da Vasilij Kandinskij, Franz Marc e Gabriele Münter.

Nel 1909 alcuni artisti, abbandonando la secessione, avevano dato vita appunto alla Nuova Associazione di Artisti, il cui presidente fu Vasilij Kandiskij, affiancato da Alexej von Jawlensky, Alfred Kubin, la compagna di Kandiskij, Gabriele Munter. Luogo di riunione del gruppo era il salotto di Marianne, dove si davano convegno artisti slavi, l’avanguardia di Monaco, Eleonora Duse e Sergej Diaghilev e dove si discuteva di dare all’arte contenuti meno legati all’oggettualità e più ispirati ai valori dello spirito. Due sole le mostre organizzate dall’Associazione, una nel 1909 e l’altra l’anno seguente: a quest’ultima avevano partecipato anche molti pittori francesi, fauves e cubisti, ma nell’insieme l’esposizione aveva suscitato feroci reazioni di critica e di pubblico. L’ostilità esterna e i contrasti interni determinarono lo scioglimento del gruppo.

Marianne si ritroverà insieme agli altri nel mitico Der Blaue Reiter, Il Cavaliere Azzurro. Il nome che riprendeva il titolo di un’opera del 1903 era indicativo della loro estetica: il cavaliere, guidando l’animale, simboleggia il controllo dell’energia psichica e irrazionale sulle passioni. Azzurro è il colore della filosofia neoplatonica che attribuisce allo spirito il primato. Per la prima volta la grafica infantile è oggetto d’interesse artistico. I bambini partendo direttamente dalle loro emozioni più intime sono più creativi, rifiutando il principio di imitazione.

Le opere di Marianne, come i disegni dei bambini, sono colme di colori saturi. Troviamo spesso personaggi lungo le vie di paesaggi affascinati, in cui le curve del cielo e delle colline ricalcano gli stati d’animo, in un turbinio di emozioni irrisolte.

Nel quadro Autunno, le scolarette insieme all’insegnante nel loro procedere seguono la linea del lago, come ad indicare una sensualità ancora infantile, protetta dall’acqua, come in un grande grembo materno circondato da alti alberi spogli.

Con lo scoppio della Prima guerra mondiale si trasferisce ad Ascona, in Svizzera: fu una vera e propria fuga. La Germania la espelle perché cittadina russa e la Russia dopo la rivoluzione di ottobre le sottrae i beni e la cittadinanza. Ma fu la vita privata a darle uno strappo profondo. Jawlensky, fricolo e donnaiolo, seduce la sua cameriera Hélène, che era entrata a servizio dalla Werefkin a 14 anni, nel 1895. I due hanno un figlio, che Marianne cresce e sostenta insieme alla madre e alla sorella di lei. Gli amanti si sposeranno solo nel 1922. Così dopo 29 anni termina la storia d’amore tra i due artisti. L’uomo a cui Marianne aveva sacrificato la sua arte aveva scelto un’altra.

«Sono più che mai un’artista. La mia arte, che avevo deposto per amore e rispetto, ritorna a me più grande che mai. Chi eri dunque? Un’apparenza che ho adornato di penne di pavone».

Un altro ingrato nei suoi confronti è stato Kandinskij, che grazie alle sue ricchezze riuscì a intessere relazioni e mostre.

Tornata sola nel 1924, Marianne fonda ad Ascona, il gruppo Grosser Baer, Orsa Maggiore e assieme ad Ernst Kemper fonda il Museo d’arte contemporanea. Gli abitanti la chiamano la “baronessa-monaca”. In Germania le sue opere vengono messe nell’elenco dell’arte degenerata, ma si salvano grazie all’impegno di numerosi amici. Marianne Von Werefkin muore nel 1938.

Alexej Jawlensky le sopravvive di soli tre anni. Si suiciderà, in preda ad una profonda depressione e col rimpianto della prima donna che aveva creduto in lui.

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