La vicenda giudiziaria per l’assassinio di Camilla Di Pumpo comincia in modo molto amaro. Ma non è finita qui

by Enrico Ciccarelli

E’ molto difficile commentare la sentenza che ha condannato a soli cinque anni e due mesi di reclusione (la maggior parte dei quali per falsità ideologica) il giovane assassino di Camilla Di Pumpo basandosi soltanto sul dispositivo, necessariamente sintetico. Le motivazioni del provvedimento del giudice monocratico che ha deciso saranno depositate più in là, e aiuteranno a capire meglio; i pareri di persone con preparazione giuridica superiore a quella di chi scrive saranno utili e preziosi. Di sicuro la vicenda non finisce qui; e non solo per i prevedibili ulteriori gradi di giudizio, ma anche perché sono rimaste fuori da questo processo altre posizioni, a cominciare da quella del padre dell’omicida.

Quello che un giornalista può (e purtroppo deve) fare è cercare di mettere in relazione i sentimenti di rabbia e di sgomento che circolano in queste ore nell’opinione pubblica cittadina e il comportamento delle istituzioni. La sensazione che con la sentenza di ieri sia rimasta inevasa una domanda di giustizia (sensazione che io, ad esempio, profondamente avverto) trova riscontro nella realtà? Ha torto chi come me pensa che una pena così mite e articolata in quel modo finisca per essere “esemplare al contrario”, cioè sia di paradossale incoraggiamento a comportamenti violentemente antisociali e tristemente diffusi nella nostra comunità? Proviamo a farlo con due premesse fondamentali.

La prima: nulla che possano fare gli esseri umani muterà il segno di una tragedia. La morte di Camilla, lo spezzarsi della giovane vita di una ragazza splendida, profondamente intelligente e buona, non ha rimedio alcuno. La rabbia verso il colpevole di quella morte, provata da tutti coloro che hanno amato e conosciuto Camilla, è comprensibile, persino logica. Ma quand’anche l’omicida  fosse stato rinchiuso in galera a vita, se avessero “buttato via la chiave” secondo il pessimo linguaggio dei social, questo non avrebbe restituito Camilla ai suoi affetti e non avrebbe placato il dolore e il rimpianto di chi le vuole bene. Come in ogni altra atroce vicenda del genere, l’unica cosa che contrasta la perdita e il lutto è la bellezza del tempo che ci è stato dato di condividere. Più facile a dirsi dall’esterno, naturalmente.

Seconda premessa: è sbagliato credere che le sentenze debbano essere pedagogiche. Il giudice è per norma e Costituzione sottoposto solo alla legge, e non solo può ma deve valutare le cose con freddezza e scevro da passioni. Non ho ragione di ritenere che in questo caso non sia stato così.

Detto ciò, il difensore dell’assassino ha chiesto “per ragioni di sicurezza” che la sentenza venisse pronunciata in un luogo che desse le necessarie garanzie, stante l’aperta ostilità dell’opinione pubblica nei confronti del suo assistito. Ha ragione; non so se sono rappresentativo dell’opinione pubblica, ma io avverto una profondissima ostilità nei confronti di questo ventenne, delle sue condotte, del sistema di disvalori di cui è stato clamorosamente e tristemente interprete. Un ragazzo di cui conosciamo solo la passione per le auto potenti e per le corse a tutta velocità, che si sentiva ganzissimo e superuomo nel trasformare le vie cittadine in un circuito di Formula Uno, che esibiva a se stesso e ai suoi amici questo sprezzo noncurante per la propria vita e quella degli altri. Una temerarietà che diventa vigliaccheria da pannolino bagnato quando uccide una ragazza che non conosce e non gli ha fatto nulla.

Forse potrebbe aiutare, forse potrebbe rimediare al disastro che ha combinato, magari, per quanto ne sa lui, essere responsabile solo di un brutto incidente e non di un omicidio. Ma il ganzo e la sua boria densa di testosterone sono spariti, lasciando il posto a un coniglio tremebondo che scappa, sperando di farla franca. In fondo sa di poter contare sui due amici (se abbiamo capito bene) che sono con lui in auto. E soprattutto sa di poter contare sulla sua famiglia, che gli vuole tanto bene e non gli ha mai fatto mancare lucidi e potenti bolidi cromati dove esercitare le sue passioni. Sarà stato anche abbastanza furbo da pensare che scappare gli avrebbe evitato quelle fastidiose formalità tipo la rilevazione del tasso etilico? Non lo sappiamo e non possiamo dirlo, come non possiamo sapere se sia stato sottoposto a qualche tipo di test tossicologico. Diciamo solo che l’ipotesi non ci stupirebbe.

La fuga dalle proprie responsabilità sembra avere successo. Si cerca di far credere agli inquirenti che alla guida ci fosse suo padre, che viene smentito dai filmati delle telecamere di sorveglianza. Solo davanti all’evidenza delle prove l’Ayrton Senna de noantri ammette le sue colpe. Per l’accaduto, per Camilla non abbiamo ascoltato (ma forse eravamo distratti) una sola parola di rimorso o di contrizione. Non sappiamo nemmeno se come pena accessoria a questa sentenza ci sia almeno il ritiro a vita della patente.

Ecco, avvocato, queste sono alcune delle ragioni per le quali effettivamente proviamo una certa avversione verso il suo assistito (che lei naturalmente fa benissimo a difendere al meglio delle sue capacità professionali) e anche -paradossalmente- per le quali pensiamo che una condanna maggiormente severa lo avrebbe aiutato di più. Non per una specie di legge del taglione, per una vendetta che chieda una vita in cambio di una vita; per il suo esatto contrario. Perché crediamo che quel ragazzo abbia estremo bisogno di un percorso espiatorio e riabilitativo che difficilmente questa sentenza innescherà. L’amara impressione è che invece finirà per costituire una paradossale premialità al disprezzo della vita altrui, alla fuga dalle responsabilità, alla totale mancanza di empatia verso i propri simili.

Il magistrato giudicante ha fatto benissimo a dare ascolto soltanto alla legge, e benché creda che abbia decisamente sbagliato, non metto in dubbio né la sua professionalità né la sua buona fede. Ma la legge è fatta per l’uomo, non l’uomo per la legge. Deve essere comprensibile, intelligibile, apprezzabile. Detto con tutta l’umiltà del caso, a mio modo di vedere la sentenza di ieri non presenta queste caratteristiche. Specie perché, come ogni alro provvedimento dell’autorità giudiziaria, emesso “in nome del popolo italiano”.

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