Leni Riefenstahl, la regista di Hitler: la colpa di un talento invasato dal mito nazista wagneriano e dalla propaganda del Terzo Reich

by Daniela Tonti

Leni Riefenstahl ha vissuto fino a 101 anni e il suo talento irrequieto l’ha portata in molte direzioni: produttrice, regista, attrice, editrice, fotografa e sub. Eppure ha passato tutta la sua vita a tentare di scrollarsi di dosso l’ombra del suo lavoro per i nazisti: Leni Riefenstahl era la principale propagandista cinematografica di Hitler e rimane una delle figure di donne più controverse del Terzo Reich.

Prima di diventare regista, Leni era stata una ballerina e attrice. Nel 1924, mentre si riprendeva da un infortunio, vide il film di Arnold Fanck La montagna del destino  e cercò il regista, che la ingaggiò nei suoi successivi sette film “di montagna”, poemi epici romantici sulla lotta dell’uomo contro la natura tipici del cinema tedesco dell’epoca. Era un lavoro molto duro, le riprese erano quasi tutte in esterne ma Leni non si scoraggiò, imparò l’arrampicata e a sciare per essere preparata ad affrontare questo tipo di lavori.

Nel 1932 Riefenstahl diresse il suo primo lungometraggio, La bella maledetta, in cui interpretava una contadina. Il suo fatidico legame con Hitler iniziò quell’anno durante un comizio elettorale. Fu sopraffatta dalla sua oratoria, descrivendo l’esperienza in un diario: “Sembrava che la superficie della Terra si allargasse davanti a me, come un emisfero che improvvisamente si spacca nel mezzo, vomitando un enorme getto d’acqua, così potente che ha toccato il cielo e ha scosso la terra”.

Inviò una lettera al giornale nazista, Völkischer Beobachter, esprimendo il desiderio di incontrarlo. Al loro primo incontro, Hitler le disse: “Una volta che saremo al potere, dovrai fare i miei film”. Nella sua autobiografia Leni dice di aver risposto che non poteva fare film su commissione. 

Ma nel 1933 realizzò Il Trionfo della volontà, un documentario su un raduno del partito nazista a Norimberga che è ampiamente considerato come uno dei film di propaganda cinematografica più efficaci mai prodotti. Il film è una cosa completamente diversa dai cinegiornali visti fino a quel momento in quanto utilizza una serie di tecniche innovative: telecamere in movimento, teleobiettivi utilizzati per creare effetti di scorcio, frequenti primi piani dei fanatici con gli occhi spalancati, pose eroiche di Hitler riprese dal basso e l’uso del suono in presa diretta, una rarità all’epoca.

Hitler voleva un ritratto epico e wagneriano del movimento nazista dal budget illimitato e Triumph of the Will è ancora oggi riconosciuto come uno degli esempi di propaganda cinematografica più potenti mai realizzati.

Sebbene non sia mai stata un membro del partito nazista e abbia sempre negato di essere una propagandista, i film di Leni hanno comunque contribuito a creare quello che divenne noto come il “mito di Hitler”, presentando il leader nazista come una sorta di semidio wagneriano.

Per tutta la vita la regista ha cercato di difendersi dalle accuse sostenendo che stava solo facendo il suo lavoro ed era all’oscuro dell’esistenza dei campi di sterminio e delle terribili persecuzioni contro gli ebrei. Quello che non ha mai ammesso Leni è che non avrebbe potuto registrare così bene quella follia se non l’avesse condivisa.

Primo Levi ne I sommersi e i salvati parla dell’unica lettera che lo fece veramente arrabbiare tra quelle ricevute dai tedeschi dopo la liberazione. La lettera proveniva da una coppia che cercava di sostenere che l’antisemitismo di Hitler non era mai stato “conosciuto” tra i tedeschi, e che i suoi seguaci erano stati innocentemente ingannati dalle sue “belle parole”. 

«Non c’è pagina né discorso di Hitler in cui l’odio contro gli ebrei non sia reiterato fino all’ossessione. Non era marginale al nazismo: era il suo centro ideologico», questa la risposta di Primo Levi che potrebbe anche servire come risposta alla grottesca apologia di Leni Riefenstahl sulla sua vita: le sue bellissime immagini corrispondevano alle “belle parole” del suo leader con una precisione inquietante. 

Leni Riefenstahl accettò di fare un film sulle Olimpiadi di Berlino del 1936. Nonostante lei sostenesse che Olympia (1938) non era un documentario di propaganda le prove l’hanno sempre smentita dimostrando tramite documenti ufficiali che fu finanziato direttamente da Joseph Goebbels.

Olympia fu un capolavoro di tecnica e innovazione senza precedenti. Leni riunì centinaia di cameraman, scavò buche per effettuare riprese dal basso, si servì di riprese aree e subacquee e innovazioni tecnologiche impensabili per l’epoca. Era una donna geniale che conosceva bene il mestiere e girò migliaia di metri di pellicola di cui curò lei stessa il montaggio lavorando fino dodici ore al giorno. Il film ricevette un’accoglienza incredibile vincendo il miglior film straniero al Festival di Venezia e un premio speciale del Comitato Olimpico Internazionale per come rappresentava “la gioia dello sport”.

È altamente improbabile che la regista non si rendesse conto che il suo lavoro doveva far parte di una più ampia campagna mediatica nazista e che l’obiettivo di quella campagna mediatica era trasmettere il potere nazista e l’antisemitismo. È anche improbabile che non si sia resa conto che tutti gli ebrei erano stati cacciati dall’industria cinematografica in cui lavorava.

Nel 1938, durante un tour negli Stati Uniti per promuovere il film, Leni disse a un giornalista: “Per me Hitler è l’uomo più grande che sia mai vissuto. È veramente senza colpa, così semplice e insieme dotato di forza maschile”.

Il tempismo fu disastroso: pochi giorni dopo il suo arrivo a New York ci fu la Kristallnacht, la notte dei cristalli in cui i nazisti distrussero 1.000 sinagoghe e imprigionarono 30.000 ebrei. Gli inviti di Hollywood svanirono, nessuno voleva più incontrarla e solo Walt Disney la ricevette giustificandosi in seguito dicendo che non era a conoscenza della storia di Leni.

Un anno dopo Leni andò in Polonia come corrispondente di guerra. In una città chiamata Konskie assistette al pestaggio di circa due dozzine di ebrei polacchi terrorizzati ed è probabile che abbia assistito alla loro esecuzione. Ci sono fotografie di una Riefenstahl dall’aspetto afflitto, e per una volta ci sono testimoni che confermano le sue affermazioni secondo cui protestò con l’ufficiale in comando. 

Leni ha sempre raccontato questo drammatico episodio ma ha sempre detto di non sapere che le vittime erano ebree. Ciò avrebbe implicato l’ammissione di sapere che gli ebrei venivano perseguitati e assassinati, cosa che ha negato fino alla sua morte nel 2003 all’età di 101 anni.

Nonostante questo episodio, quando i tedeschi occuparono Parigi, rivolse a Hitler una nota di adorazione: “Superi qualsiasi cosa l’immaginazione umana abbia il potere di concepire, realizzando azioni senza eguali nella storia dell’umanità. Come possiamo mai ringraziarti?

Nel 1944 Leni completò Lowlands, in cui usava come comparse i rom internati in un vicino campo di concentramento. Il film non è uscito fino al 1954. Più tardi ha affermato che tutte le comparse erano sopravvissute e ne aveva incontrate alcune quando il conflitto era finito. Questa era un’altra bugia che fu ben presto smascherata e aggravò molto la sua posizione perché i prigionieri furono trasportati tutti ad Auschwitz dove furono assassinati.

L’onta di aver usato come comparse prigionieri la perseguiterà fino alla morte.

Dopo la guerra Leni Riefenstahl fu arrestata. Negò ogni conoscenza dei crimini di guerra nazisti e disse di non sapere che le comparse rom e sinti arruolate erano state successivamente assassinate ad Auschwitz. Ammise di essere stata affascinata da Hitler ma di non aver preso parte attiva alle attività criminali naziste. 

Trascorse 20 anni in relativo isolamento vivendo nell’appartamento di sua madre a Monaco. Poi, alla fine degli anni ’60, forse per frustrazione si reinventò fotografa e, nel giro di un decennio, si fece un nome in questo campo. Fece diversi viaggi in una zona remota del Sudan meridionale e pubblicò due libri di fotografie di uomini della tribù Nuba.

Nel 1987 ha pubblicato un’autobiografia pesante e autogiustificativa,  Leni Riefenstahl: A Memoir . Cinque anni dopo è diventata il soggetto del documentario di tre ore del regista tedesco Ray Mueller, La meravigliosa, orribile vita di Leni Riefenstahl  (1992) in cui parlava a lungo delle sue tecniche cinematografiche ma continuava a insistere sul fatto che la sua associazione con i nazisti non aveva compromesso la sua indipendenza artistica. 

Una donna minuta di grande coraggio fisico e feroce determinazione che all’età di 71 anni iniziò a fare immersioni subacquee affermando di averne solo 51 per ottenere la licenza da sub. Due raccolte delle sue fotografie subacquee, “Coral Gardens” e “Wonders Under Water”, sono state pubblicate negli Stati Uniti e ha continuato a immergersi alle Maldive fino alla fine degli anni ’90.

Si lamentò che incontrare Hitler fosse stata la più grande catastrofe della sua vita. “Fino al giorno in cui morirò la gente continuerà a dire: ‘Leni è una nazista’, e io continuerò a dire: ‘Ma cosa ho fatto?’” Ha vinto più di 50 cause per diffamazione contro chi l’accusava di conoscenza dei crimini nazisti.

I diari di Goebbels sembrano indicare che non fosse molto ben vista dall’entourage di Hitler. “È impossibile lavorare con questa donna selvaggia”, si lamentò in più di un’occasione il ministro della propaganda. Ma Leni godeva dell’appoggio incondizionato del führer con il quale ha sempre negato di aver avuto una relazione sentimentale.

La sua vita si riassume bene nelle parole del defunto storico del cinema Liam O’Leary: “Artisticamente è un genio e politicamente è stata un’idiota”. 

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