Edith Head, l’insegnante di francese che divenne la più grande costumista della storia del cinema

by Daniela Tonti

Per molta gente Edith Head e i costumi cinematografici sono sinonimi. Il dizionario italiano della moda del costume, la definisce una leggenda ed effettivamente durante la sua carriera, che durò circa sessant’anni, la sua produttività raggiunse proporzioni leggendarie. Si stima che abbia contribuito alla realizzazione di costumi per oltre mille film. Nel solo 1940, supervisionò costumi per 47 film. Ricevette 34 nomination agli Academy Award, delle quali 8 diventarono oscar.

Dive di celluloide

Claude Autant-Lara ,che prima di diventare un ottimo regista era stato anche costumista , ha parlato di psicologia del costume, rilevando come nel cinema ogni particolare parli e dica qualcosa dalla forma di un mobile alla linea di un vestito. Molto spesso il lavoro di questi «artigiani» andava di pari passo con quel meccanismo che faceva di una star un’icona di classe e di stile. Le dive di celluloide, con le loro movenze feline, l’opalescenza della loro carne e i vestiti sontuosi incantavano il pubblico maschile. Dallo schermo alla realtà, il passo è breve: le donne andavano al cinema per emulare in tutto e per tutto le loro eroine.

Come non ricordare la chioma di Veronica Lake? La sua onda sull’occhio, pettinata a mezzo sipario frontale, fu talmente imitata negli anni Quaranta, da indurre la commissione per le relazioni umane di guerra degli Stati Uniti a chiedere all’attrice di cambiare pettinatura per non causare incidenti alle sue ammiratrici impiegate in fabbrica.

Il lavoro del costumista persegue il sogno: realizzare vestiti strepitosi e creare quell’aura di fascino e ricercatezza che alimenta tutto il sistema hollywoodiano.  Questo portò ad un punto senza pari nella storia del cinema, negli anni Trenta con le straordinarie creazioni per star come Marlene Dietrich, Greta Garbo, Bette Davis, Joan Crawford. Lo star system ebbe ripercussioni apocalittiche sul pubblico femminile di tutto il mondo.

Negli anni Quaranta, in quasi tutti i grandi magazzini americani, esisteva un reparto di cinema fashion dove erano messe in vendita fedeli riproduzioni a buon mercato degli abiti del grande schermo.

Le riproduzioni erano realizzate grazie alle bozze che i costumisti – per contratto – inviavano in fase di produzione al «Modern Merchandaising Bureau» che provvedeva a realizzarle e a metterle sul mercato il giorno stesso dell’uscita del film nelle sale. Il più venduto (si parla di quarantamila esemplari) fu il vestito da sera in tulle bianco indossato da Elizabeth Taylor in Un posto al sole.

Non mi lascio influenzare e non m’interessa influenzare nessuno, né sentire la gente dire: ′wow, guarda quant’è brava la Head!′. Il mio unico scopo è la trasposizione dell’attore dentro il personaggio. E ci riesco. È un punto di vista professionale. Io credo che nella vita, laddove si voglia fare a tutti i costi qualcosa di spettacolare, si finisce col non lavorare.

Edith Head

Elefanti, cowboy e cavalli

Edith Head nasce a Los Angeles nel 1897. Non era una costumista ma  un’insegnante di francese che frequentava la scuola d’arte serale con la sola aspirazione – come lei stessa ebbe ad affermare – di cambiare il suo lavoro e la sua vita indigente. Un giorno rispose a un annuncio della Paramount che cercava costumisti e per farsi assumere si presentò con disegni di costumi realizzati dai suoi amici.  Howard Greer, capo costumista della Paramount, ben presto si rese conto dello stratagemma ma non la licenziò perché era una lavoratrice infaticabile.

Iniziò lavorando dietro le quinte «delle quinte», come assistente di Greer e Travis Banton per lungo tempo. Mentre loro vestivano le grandi dive,  lei vestiva le nonne, i vecchi, le zie, i cowboy,  e i cavalli. Realizzò tutti i b-movies della Paramount allora in produzione. Per un film di Cecil B. DeMille ebbe il problema di dover lavorare con gli elefanti. Non lo dimenticò mai. S’inventò una grande e spettacolare coperta di fiori e grappoli d’uva per un elefante ed un telo di rose per ciascuna zampa. Ma l’elefante afferrò tutto con la sua proboscide e mangiò ogni cosa. Da quel giorno divenne per tutti, ironicamente e non senza invidia, «la costumista che ha vestito anche gli elefanti».

Le star

Fino a che non arrivarono le star. Con il volto imbroncianto di Clara Bow, che, sfrontata, esuberante e mascolina in un’epoca di divismo trionfante, rappresentava l’antidiva per eccellenza. Con i boa di piume, i diamanti, i grandi cappelli e la figura a clessidra di Mary Jean West, in arte Mae West. La diva per antonomasia, intelligente e ironica venditrice della propria immagine, Mae West si scriveva le battute dei suoi film, cosa mai più concessa a nessun’altra attrice.

Mae West non ha mai recitato nulla che non fosse l’immagine di Mae Wes.

Edith Head

Lavorò con attrici molto diverse tra loro. Lanciò la moda del sarong con Dorothy Lamour in La figlia della giungla e del poncho con Barbara Stanwyck in Lady Eva. Curò il guardaroba di Olivia de Havilland in L’ereditiera. Vestì Veronika Lake, Ginger Rogers, Marlene Dietrich, Ingrid Bergman, Hedy Lamarr, Shirley MacLaine e quasi tutte le altre star di Hollywood.

Molte delle migliori produzioni di Edith Head sono degli anni Cinquanta, quando la classe e l’alta moda erano la chiave di volta dei costumisti americani. La linea dei suoi abiti ha aiutato a promuovere la raffinata eleganza di Grace Kelly in Caccia al ladro e in La finestra sul cortile, l’incandescente sensualità di Elizabeth Taylor in Un posto al sole, la vulnerabile ma determinata Audrey Hepburn in Vacanze romane, Sabrina, Colazione da Tiffany, la ricercatezza matura di Bette Davis in Eva contro Eva, il glamour anacronistico di Gloria Swanson in Viale del tramonto e la figura lunare e sinuosa di Kim Novak in La donna che visse due volte.

Tra tutti i costumi che ha realizzato nell’arco della sua carriera quelli di Caccia al ladro erano i suoi preferiti. Non a caso, nei primi cinquanta minuti del film, avvengono nientemeno che dieci cambi d’abito in un graduale crescendo cromatico. Nel finale, per la festa in maschera, Grace Kelly indossa un incredibile vestito da sera di lamè color oro. L’abito sembra voler dire che il film stesso ha raggiunto il suo culmine poiché nulla può pareggiarne la magnificenza.

Con la sua classe innata, Grace Kelly divenne l’emblema della raffinatezza, ma ironia della sorte, l’Oscar della sua vita lo ricevette per un ruolo esattamente antitetico alla sua immagine: quello di una sciatta alcolizzata della middle class americana in La ragazza di campagna.

 Edith never telles

Quando la Paramount fu venduta nel 1967, gli studi sospesero l’attività. Edith Head, dopo quarantaquattro anni, fu licenziata. Nel momento in cui fu «congedata», annunciò che aveva firmato per la Universal. Pur avendo lavorato al contratto per mesi, non aveva detto nulla nemmeno ai suoi più stretti collaboratori. «Edith never tells», fu il commento di Lucille Ball.

Ma i tempi erano cambiati:  il divismo, l’alta classe e l’eleganza impareggiabile delle grandi stelle appartenevano ormai al passato. La realtà divenne l’ordine del giorno e i vestiti venivano acquistati nei negozi. Ad esempio William Travilla, il costumista di Marilyn Monroe in Quando la moglie è in vacanza di Billy Wilder, comprò il celebre vestito bianco indossato dall’attrice in un grande magazzino.  Non a caso molti film degli anni cinquanta sono citati come «la fine dell’età dell’oro di Hollywood».

Di Hollywood forse ma non di Edith Head, che si trovò di fronte ad una nuova sfida. Alla Universal per tener testa ai tempi moderni, mise insieme un team leggendario, in grado di lavorare ventiquattrore in maniera eccellente. Per L’uomo che volle farsi re, riuscì a creare quindicimila costumi in un anno, ammortizzando le spese dei materiali tessili, reperiti e lavorati direttamente a Marrakech.

Sempre alla Universal, realizzò i sensazionali cappelli e completi indossati da Robert Redford e Paul Newman in La Stangata, che – oltre che riportare alla ribalta lo stile gessato – le valsero l’ottavo ed ultimo oscar.

Sarebbe impossibile ricordare tutte le grandissime creazioni di questa leggendaria costumista che ha influenzato con la sua attività generazioni di donne senza voler mai dettare la moda, che è diventata una costumista senza saper neanche disegnare, che ha continuato a lavorare fino a poco prima della sua morte, avvenuta nel 1981, e che, a chi le ha «sbattuto la porta in faccia» ha risposto in silenzio con la la magia e l’incanto dei suoi abiti, che non temono la sfida del tempo.

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