Margherita Sarfatti, la regina senza corona che influenzò, con l’arte e le idee, l’estetica e la cultura del Duce

by Caterina Del Grande

La coltissima Margherita Grassini Sarfatti, nata da una famiglia ebraica alto borghese l’8 aprile del 1880 a Venezia, ha 32 anni quando, nel 1912, incontra Benito Mussolini. È lo stesso marito, il socialista Cesare Sarfatti, a dirle di “appuntarsi il suo nome”.

Per 17 anni, la scrittrice, intellettuale, critica d’arte, collezionista e amica dei futuristi e dei maggiori artisti del tempo sarà la maestra, la musa e l’amante dell’uomo del secolo.

Antonio Scurati nel suo fortunato M, Premio Strega 2020, sostiene che Sarfatti abbia “dirozzato” Mussolini. Altri ancora che lo abbia “inventato”.

Di certo c’è che grazie a lei nei primi anni del fascismo, prima della marcia su Roma, il futuro duce conosce e incontra gli ambienti borghesi e altolocati, i salotti, che sceglieranno i fasci di combattimento come reazione e tutela politica contro le leghe operaie e contadine della bassa padana, del ravennate e della Toscana, che stavano dando inizio alle lotte sociali solo avviate nel biennio rosso socialista.

Sarfatti lo accudisce, lo invita alla lettura dei classici, lo consiglia quando i suoi ardori lo vorrebbero troppo impetuoso e impulsivo sul piano politico. Fu per lui una madre maestra, una docente colma di passione incondizionata.

A lei Mussolini si firmerà “tenerezza violenta”, “devotissimo selvaggio”, in un amore caratterizzato dalla abnegazione di lei, ma anche dalla nascita e dalla crescita dell’estetica fascista, che si nutre dell’immaginazione e della cultura di Margherita. Fra di loro ci fu una simbiosi di due passioni e di due corpi, ma soprattutto la simbiosi di due menti. Come ha detto il maggior storico del fascismo Gentile, prima ancora che ci fosse tra di loro una relazione sentimentale c’è una concordanza su due temi, legati all’ideologia socialista, che anima entrambi.

Cosa doveva essere l’Italia del Novecento? Entrambi se lo chiedevano ed entrambi sognavano una nuova grandezza nazionale per l’Italia nel nuovo secolo.

Prima ancora di conoscersi, negli anni fra il 1902 e il 1909, negli scritti di Mussolini e negli scritti di Sarfatti, ignorandosi quasi certamente l’uno con l’altra, ritornano questi temi fondamentali. Il primo riguarda la cultura, che doveva avere insieme alla politica una funzione di rigenerazione, di educazione collettiva, per formare cioè un individuo integrato in una collettività nazionale. Il secondo elemento, ovviamente per Mussolini era la cultura politica, per Sarfatti l’arte, c’era una concordia di obiettivi.

I due si conosceranno solo dopo il 1912, quando Mussolini diventa direttore de l’Avanti. Sarfatti riceve un ritratto entusiastico straordinario proprio da suo marito in una lettera. Cesare Sarfatti le parla di questo giovanissimo pieno di energia che esplode sulla scena nazionale improvvisamente al congresso di Reggio Emilia.

Era il 1912. Mussolini si afferma come l’esponente più prestigioso ed autorevole del partito socialista, un giova capace ed efficace a far avanzare la corrente rivoluzionaria.

Ma il socialismo di Mussolini, così come quello di Sarfatti, ha una natura religiosa, di carattere laico, fideistica, carismatica, leaderistica si direbbe oggi. Assai poco incline alle lotte del popolo.

Era un socialismo di una fede che doveva essere capace di integrare l’individuo in una Città futura, come la chiamava Margherita Sarfatti.

Era questo il mito di Sarfatti, la Città Futura, così simile al mito degli artisti guidati da Filippo Tommaso Marinetti e che aveva nel quadro futurista del grande Umberto Boccioni, La città che sale, il suo simbolo.

Dal 1915 la Città futura diventa il nuovo Stato, la nazione italiana, l’Italia rigenerata dalla guerra, che deve avere finalmente la sua capacità di imporsi con un nuovo primato. Sarfatti e Mussolini sono amanti, ma sono soprattutto affini sul piano intellettuale.

“Amica, donna, sposa”: ”mi giurai a te, signore e sposo, capo e amante; con fedeltà assoluta e devozione di partigiani, di italiana, di cittadina, di madre, e di amante”. “Sono orgogliosa di te sino al fanatismo e sino alla pazzia, ma per il tuo valore intrinseco, non per il feticismo che di te ha la folla”, scrive Sarfatti a Mussolini in una delle 22 lettere recentemente ritrovate.

Intermediario di un loro incontro che non ha alcuna risultanza fisica è La Voce di Prezzolini, perché entrambi si trovano ad ammirare l’impresa del giovane direttore e fondatore de La Voce, capace di creare una cultura che svolge una funzione pedagogica nazionale, scoprendo i problemi dell’Italia e mettendo gli italiani di fronte alla necessità di acquistare un carattere più civile, serio e di affrontare la modernità.

Ma sull’arte i due non si troveranno sempre d’accordo. Se Sarfatti amava il Futurismo, Mussolini invece, che non aveva particolare sensibilità per l’arte figurativa, non lo capiva.

In realtà c’è chi sostiene che lo stesso Mussolini fu una “opera d’arte” di Margherita Sarfatti. Quando la critica dà alle stampe la sua biografia Dux, nel 1926, il duce è nel pieno del suo vitalismo.

È Sarfatti che racconta anche i passi falsi e le ombre di Mussolini, travolto dal fallimento del 1919 col tentativo del primo Fascismo che si esaurì in pochissimi mesi. Sarfatti racconta come volesse abbandonare la politica, vendere il giornale e andarsene in giro per il mondo a suonare il violino a o fare il commediante o a scrivere opere teatrali e saggi filosofici.

Dux arriva dopo la fine della sua collaborazione con la rivista Utopia, ispirato da un socialismo idealistico dal 1919 al 1925. In quegli anni tutto ciò che Mussolini svolge poi come capo del Governo per la politica culturale a cominciare dal culto della romanità deriva dall’influenza di Margherita Sarfatti. I fascisti volevano essere i romani della modernità. Così come Roma aveva saputo fondare una società basata sulla completa partecipazione del cittadino, del romano alla vita dello Stato ma unendo insieme arte, politica e religione, allo stesso modo, ma in senso moderno, il Fascismo voleva realizzarlo, ma era un esperimento nuovo, che si richiama al Mito di Roma, ma non per fare la copia di Roma.

Mussolini nel 1922 fonda una rivista, che affida alla direzione di Margherita Sarfatti che si intitola Gerarchia. Margherita già all’inizio del Novecento parlava della necessità di rigenerare la nazione attraverso nuove gerarchie, nuovi valori. Sono le idee di Margherita Sarfatti, che Mussolini fascista nel 1920 acquisisce e pone alla base della sua ideologia.

Margherita, che già con l’iniziativa del suo movimento, Novecento, sostiene che bisogna abbandonare l’orgia della frantumazione e della dissoluzione, anche dell’epoca futurista, per lavorare alla elaborazione di una modernità classica, che abbia la capacità innovativa inquadrata in nuove sintesi. Per inventare una romanità per il XX secolo, che sarà lo Stato totalitario, la religione politica del Fascismo e l’integrazione delle arti con la politica totalitaria.

Negli anni Trenta la loro relazione si incrina. Mussolini comincia a snobbare lei e l’arte dei suoi artisti, fino a quando nel 1932 la scrittrice viene allontanata dal Popolo d’Italia. Margherita però col suo talento cerca un nuovo giornale e approda alla Stampa di Torino.

Già prima Mussolini le darà modo di vergognarsi, la tratterà male di fronti a collaboratori, la tradirà con altre amanti.

“Sono stanca di amarti, stanca che tu ti faccia del mio amore un tappeto per calpestarlo. Tu sei un uomo estremamente sensitivo, ma fortissimo e, come tutti gli impetuosi, ”dai furori” e dopo ti passa. Io no. Io sono una natura lenta, una natura ”per di dentro”. Penetra a piano e senza reazioni esteriori apparenti in me il dolore, l’angoscia, la ribellione stessa; ma ahime’! penetrano a fondo, mi lasciano rotta, spezzata, con l’anima in pezzi, amara sino alla nausea e alla morte”, scrive.

Quando l’Italia promulga le leggi razziali nel 1938 Margherita Sarfatti sarà del tutto delusa dal fascismo. La sua città futura non poteva essere razzista. Del resto questo termine che compare nei primi scritti di Sarfatti sarà anche una terminologia di Antonio Gramsci. Un mito che circolava nella cultura italiana sia artistica sia politica in tutto il primo Novecento, che troverà delle vie completamente opposte: da una parte il comunismo italiano e dall’altro il fascismo.

Margherita partecipa al fascismo convinta di poterlo orientare, verso la realizzazione di una comunità nazionale in cui la gerarchia degli spiriti eletti eleva il popolo e lo converte. Ma poi si ritrova dentro un progetto totalmente stravolto.

“Quando la incontrai in Italia era una regina senza corona, ora è una mendicante reale in esilio”, disse di lei Alma Mahler.

Da ebrea si rifugia contro le leggi razziali 6 anni negli Stati Uniti e poi vivrà da esule in America Latina, con la sua arte e i suoi libri.

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