Mary Mallon, la cuoca irlandese portatrice sana di tifo che contagiò 47 persone

by Germana Zappatore

Mary la cuoca aveva un segreto: il tifo. O meglio, lei era una portatrice sana (la prima negli Stati Uniti!), ma probabilmente non lo sapeva, o forse sì. Una cosa, però, era certa: per i suoi contemporanei lei era ‘Typhoid Mary’, l’untrice che contagiò più di 50 persone pur non presentando mai i sintomi della febbre tifoidea.

Mary era nata in un villaggio dell’Irlanda del Nord nel 1869. Insieme alla famiglia (e a centinaia di migliaia di Europei), a 15 anni salpò alla volta dell’America in cerca di fortuna. Arrivò a New York dove in poco tempo trovò impiego come cuoca presso alcune delle famiglie più facoltose della città. Per anni la giovane godette di una certa fama che le permise di non restare mai senza lavoro e di essere assunta nelle case più ricche. I problemi iniziarono nell’estate del 1906.

In quel periodo Mary prestava servizio presso la famiglia del banchiere Charles Henry Warren (direttore della Lincoln Bank) che si trovava nella casa di villeggiatura presa in affitto a Oyster Bay (Long Island). In una sola settimana si ammalarono di febbre tifoide le due figlie, la moglie, due cameriere e il giardiniere. La cosa destò molto stupore: era convinzione comune, infatti, che quel tipo di malattia fosse legata alla povertà e alla sporcizia. I ricchi, insomma, non potevano ammalarsi di tifo.

Iniziarono le indagini per capire quale fosse stata la causa del contagio. Le autorità locali passarono sottoal setaccio l’acqua potabile, il sistema fognario, i rifiuti e gli alimenti che la famiglia aveva consumato. Ma i risultati furono tutti negativi. A sbrogliare la matassa ci pensò l’ingegnere sanitario, “il dottore per le città malate”, tale George Soper. Partendo dal presupposto che il periodo di incubazione del tifo era compreso fra i dieci e i quattordici giorni, Soper ricostruì l’elenco di tutte le persone passate per la casa dei Warren a partire dalle due settimane precedenti al primo contagio. Così scoprì che ad inizio mese era stata assunta una nuova cuoca che era andata via senza preavviso e spiegazioni all’indomani dei primi contagi.

Mary, però, tutto poteva sembrare tranne che malata: era una donna imponente che godeva di ottima salute. Possibile che fosse stata lei la causa del contagio? Per Soper sì. Proprio in quegli anni, infatti, in Germania stava prendendo piede il concetto di ‘portatore sano di agenti patogeni’: una teoria non ancora dimostrata negli Stati Uniti, ma che indubbiamente esercitava il suo fascino soprattutto sull’ingegnere sanitario. A confermargli che stava seguendo la pista giusta furono altri casi di tifo che si erano verificati in altre famiglie ricche (e pulite!) presso le quali Mary Mallon aveva lavorato prima di arrivare dai Warren. Iniziò la caccia alla donna. Soper voleva trovarla per farsi dare dei campioni biologici da analizzare per confermare la sua teoria. Ma l’impresa fu tutt’altro che facile. Prima di tutto perché la Mallon cambiò identità (forse aveva capito cosa le stava accadendo) e poi perché si rifiutò categoricamente (addirittura minacciandolo con un forchettone per l’arrosto) di dare i suoi campioni di urina, feci e sangue a Soper che nel 1907 l’aveva scovata a Park Avenue (neanche a dirlo, presso un’altra ignara famiglia che fu colpita da tifo).

La sua latitanza, però, non durò molto. Il testardo ingegnere – raccontano le cronache – con denaro e alcol riuscì a corrompere Breihof (l’uomo con cui Mary condivideva un alloggio nella squallida pensione tra la Trentatreesima Strada e la Terza Avenue) che fece entrare in casa la dottoressa Sara Josephine Baker e quattro poliziotti. Dopo una fuga rocambolesca durata alcune ore, la donna fu presa e portata al Riverside Hospital su North Brother Island, un isolotto vicino a Manhattan. Venne messa in quarantena e fu sottoposta a diverse analisi (molte delle quali risultarono positive alla malattia che presumibilmente aveva diffuso non lavandosi le mani prima di preparare i pasti). Nel frattempo vennero alla luce altri cinquanta casi di portatori sani di tifo che, però, non furono mai confinati sull’isola o messi in prigione. Questo bastò per rendere quello della Mallon (che intanto la stampa aveva ribattezzato ‘Typhoid Mary’) un vero e proprio caso mediatico che sfinì i giudici ai quali la donna aveva fatto ricorso per riottenere la libertà. Così nel 1910 fu rilasciata, ma a patto di non tornare a fare la cuoca e di presentarsi alle autorità sanitarie ogni tre mesi.

Per un po’ rigò dritta, avendo trovato lavoro come lavandaia. Ma il richiamo dei fornelli fu più forte della libertà riconquistata e, sotto falso nome, si fece assumere prima presso un forno poi allo Sloane Hospital di New York dove nel 1915 scoppiò un’epidemia di tifo che portò alla morte di due persone. Tornò così in isolamento al Riverside Hospital dove rimase fino al giorno della morte avvenuta l’11 novembre del 1938, sei anni dopo essere stata colpita da un ictus che l’aveva resa paralitica, e dopo aver contagiato 47 persone. Fu sepolta al St. Raymond’s Cemetery nel Bronx.

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