Matilde Serao, l’innovatrice instancabile del giornalismo controllato dagli uomini

by Michela Conoscitore

Dal primo giorno che ho scritto, io non ho mai voluto e saputo essere altro che una fedele e umile cronista della mia memoria. Mi sono affidata all’istinto e non credo che mi abbia ingannato.

Tutte le giornaliste italiane sono nate da lei: nonostante siano passati decenni, e col tempo è cambiata non soltanto la professione, ma anche la concezione della donna, Matilde Serao rimane un esempio non soltanto di lavoratrice, ma anche di innovatrice instancabile che si è tracciata una strada da percorrere in un mondo, quello a cavallo tra il XIX e il XX secolo, fortemente controllato dagli uomini.

La Serao, nel corso della sua esistenza, scrisse ventisei romanzi, centosessanta novelle, collaborò con cento testate, italiane e straniere, come giornalista e fu candidata al Premio Nobel per sei volte, non vincendolo mai. Questi dati fanno comprendere non soltanto la statura professionale, soprattutto la forza di carattere e la tenacia di una professionista che aveva scelto la scrittura come mestiere per vivere.

Matilde Serao nacque a Patrasso nel 1856, il padre, avvocato, originario della provincia di Caserta, si rifugiò in Grecia perché acceso antiborbonico; la madre Paolina era un’aristocratica greco-turca. La coppia, dopo i primi anni in Grecia, fece ritorno in Italia e decise di stabilirsi dapprima a Caserta, per poi trasferirsi definitivamente a Napoli, nel 1861. Qui crebbe Matilde, che nelle sue memorie giovanili si descrisse come una bimba in sovrappeso, con tanta voglia di giocare e ridere, e i suoi comportamenti “da maschiotto” facevano disperare la madre. A otto anni, strano ma vero, la ragazzina non sapeva né leggere né scrivere. Quando, adolescente si recò alla Scuola Normale “Pimentel Fonseca” in Piazza del Gesù, e fece domanda di ammissione come uditrice, conseguendo poi il diploma di maestra, la Serao ignorava dove l’avrebbero condotta il suo ingegno e curiosità.

Cominciò a collaborare con Il Giornale di Napoli e pubblicò il suo primo romanzo, Opale, sotto lo pseudonimo di Tuffolina. In seguito, dopo la morte della madre, col padre si trasferì a Roma, dove non soltanto proseguì le sue collaborazioni giornalistiche ma entrò in contatto col ‘circolo degli abruzzesi’, tramite il quale conoscerà Gabriele D’Annunzio, poi Eleonora Duse, sua amica intima di una vita, ed Eduardo Scarfoglio. Proprio Scarfoglio recensì negativamente il libro che pubblicò a Roma, Fantasia. Ma dopo la stroncatura, il giornalista riconobbe il genio di Matilde che, effettivamente, lo condurrà al successo. In una lettera alla madre, Scarfoglio le presentò Matilde, annunciando il loro matrimonio e scrivendo che: “questa donna mi è necessaria per vivere”.

La coppia si sposò nel 1885, fondarono insieme Il Corriere di Roma, e in seguito decisero di tornare a Napoli dove fondarono Il Corriere di Napoli, nel 1888. Anni dopo, nel 1892, nei pressi della Galleria Umberto I la coppia Scarfoglio-Serao diede vita alla grande avventura de Il Mattino. Eppure, se il sodalizio lavorativo era fruttuoso e duraturo, quello matrimoniale vacillava: Scarfoglio fu sempre un donnaiolo e viveur, e la Serao quindi sopportò i suoi tradimenti. Quello più eclatante vide protagonista Gabrielle Bessard, una chanteuse con cui il giornalista ebbe una relazione più duratura; Scarfoglio comunicò alla Bessard che non avrebbe mai lasciato la moglie, e la loro relazione era destinata alla conclusione, nonostante la soubrette avesse dato alla luce una figlia. La donna, il 29 agosto del 1894, bussò alla porta dei Scarfoglio-Serao, affidò la bambina che era accompagnata da un biglietto, “Perdonami se vengo ad uccidermi sulla tua porta come un cane fedele. Ti amo sempre”, e si sparò un colpo di pistola al cuore. La Bessard visse ancora qualche giorno di agonia all’Ospedale degli Incurabili, poi il 5 settembre morì.

Fu un grande scandalo che scosse la Napoli bene, ma la Serao non si scompose: adottò la bambina, la chiamò Paolina, come la madre, e la crebbe come sua, insieme agli altri figli avuti da Scarfoglio. Il legame che strinse con la figlia della Bessard fu talmente forte che la donna, anni dopo, il giorno prima del suo matrimonio scoprì che Matilde non era sua madre, provocandole uno choc.

Se Scarfoglio era attirato dal bel mondo, la moglie era più vicina agli umili, al popolo napoletano che descrisse con queste parole: “Questo ricco sangue napoletano si arroventa nell’odio, brucia nell’amore e si consuma nel sogno”. Matilde era magneticamente attirata dalla vera Napoli, quella povera e miserabile, che il suo mondo borghese preferiva ignorare. Per quanto appartenesse alla classe intellettuale napoletana, la Serao non voltò mai la testa davanti alle sofferenze dei suoi concittadini, ma diede loro voce. Anche quando era a Roma, seguì con attenzione le vicende che interessarono la sua città, come l’epidemia di colera che scoppiò nel 1884. Da lì, la giornalista scrisse una serie di articoli che formarono il corpus della sua opera più famosa e significativa, Il ventre di Napoli:

Bisogna sventrare Napoli. Efficace la frase, Voi non lo conoscevate, onorevole Depretis, il ventre di Napoli. Avevate torto, perché voi siete il Governo e il Governo deve saper tutto. Non sono fatte pel Governo, certamente, le descrizioncelle colorite di cronisti con intenzioni letterarie, che parlano della via Caracciolo, del mare glauco, del cielo di cobalto, delle signore incantevoli e dei vapori violetti del tramonto: tutta questa rettorichetta a base di golfo e di colline fiorite, di cui noi abbiamo già fatto e oggi continuiamo a fare ammenda onorevole, inginocchiati umilmente innanzi alla patria che soffre; tutta questa minuta e facile letteratura frammentaria, serve per quella parte di pubblico che non vuole essere seccata per racconti di miserie. Ma il governo doveva sapere l’altra parte.

Dopo Il ventre di Napoli, la Serao aveva in progetto un altro romanzo che, coi toni del Verismo, avrebbe raccontato la vita meschina delle prostitute nelle case chiuse di Napoli. Raccontava sempre che “questa gonna mi ha impedito di varcare quella soglia”, e chiese a Salvatore Di Giacomo di occuparsene, ma lo scrittore, che non portò mai a termine il ‘compito’ richiesto, non avrebbe descritto con la necessaria sensibilità quel mondo di patimenti secolari.

Instancabile, la Serao proseguì nel suo lavoro continuando a scrivere, curiosare e viaggiare: incontrò numerose personalità del mondo letterario dell’epoca che rimasero affascinate non soltanto dalla sua penna, ma anche dal suo carisma. Benedetto Croce disse di lei: “Matilde Serao è osservazione dettata dal sentimento”. A Parigi, Matilde conobbe la scrittrice statunitense e Premio Pulitzer, Edith Wharton, che la descrisse così:

Tra le donne che ho incontrato là, la più straordinaria è stata senza dubbio Matilde Serao, la scrittrice e giornalista napoletana. Con il suo abbigliamento e la sua cadenza stridenti, appariva assurda in quel salotto, dove tutto era in penombra e in semitono, ma quando incominciava a parlare era padrona del campo. Ella non parlava mai dall’alto, né cercava di predominare nella conversazione, le interessava soltanto lo scambio di idee con persone intelligenti. Il suo tirocinio come giornalista le aveva data una conoscenza immediata della vita, e una esperienza di questioni pubbliche che mancava completamente nei salotti delle donne, in cui primeggiava per spirito ed eloquenza. Aveva un senso virile del fair-play, sapeva ascoltare e non si dilungava mai troppo su un argomento, ma interveniva con le sue battute al momento giusto, e lasciava spazio ad altri interlocutori. Ma quando era incoraggiata a parlare, e le era dato campo libero, allora i suoi monologhi raggiungevano altezze superiori alla conversazione di qualsiasi altra donna che io abbia mai conosciuto. La viva immaginazione della narratrice era alimentata da vaste letture e da una varia esperienza di classi e di tipi che le veniva dalla sua carriera giornalistica; e la cultura e l’esperienza si fondevano nello splendore della sua poderosa intelligenza.

Nel frattempo, dopo aver affrontato insieme le accuse del senatore Giuseppe Saredo, Matilde stanca dei continui tradimenti, si separò da Scarfoglio: fu una separazione che interessò anche il lavoro, tanto che, in seguito, fondò da sola un nuovo quotidiano, Il Giorno. Incontrò, poi, Giuseppe Natale, di quindici anni più giovane, che sposò e da cui ebbe l’ultima figlia, Eleonora, chiamata così in onore della Duse.

La Serao, anche per il suo fervente cattolicesimo, fu tacciata di oscurantismo e di non essere dalla parte delle donne. A questa accusa, la giornalista rispose così:

Femminista? Non mi sono mai occupata della questione. Ma crede lei che abbia ragione d’essere una questione femminista? Il femminismo non esiste, sono solo delle questioni economiche e morali che si scioglieranno o si miglioreranno quando saranno migliorate le condizioni generali della donna. Assicurare alla donna il diritto sacrosanto di vivere. Darle mezzi per esercitarlo, sottraendola alla necessità di un controllo maschile: questo, se accetto la parola, è femminismo.

Verso la Prima Guerra Mondiale e l’avvento di Benito Mussolini, la Serao si schierò apertamente dalle colonne del suo giornale come contraria, al conflitto e all’agire del futuro dittatore fascista. Questa sua noncuranza le costò la candidatura al Nobel: all’uscita del suo romanzo, Mors Tua, nel quale criticò ferocemente il fascismo, Mussolini decise di avvallare Grazia Deledda piuttosto che la Serao. E così fu, la scrittrice sarda vinse sulla cronista napoletana. Ma in fondo, oltre ai premi, la vita è fatta soprattutto di successi senza allori, di vittorie e conquiste tacite e silenziose, e in questo Matilde fu maestra.

La giornalista, già gravemente colpita dalla morte del marito venuto a mancare nel 1926, morì la sera del 25 luglio 1927: la trovarono riversa sulla sua scrivania, alle prese con il suo ultimo articolo. La sua avventura nel mondo si concluse così, scrivendo, quale commiato migliore per la prima giornalista d’Italia?

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