Transfert e controtransfert. Storia della psicoanalista Sabina Spielrein e del triangolo con Jung e Freud. Quando la conoscenza del sesso non è più tabù

by Michela Conoscitore

È il 1977, siamo a Ginevra, in Svizzera. Tra tramestii e riordini nei sotterranei del Palais Wilson, che era stato sede dell’Istituto di Psicologia, viene ritrovato un fascio di lettere, una corrispondenza che avrebbe cambiato la conoscenza storica sulla psicoanalisi. Quelle lettere, grazie ad una segnalazione, arrivano allo psicoanalista italiano Aldo Carotenuto che si butta a capofitto nella lettura di una storia fino ad allora sconosciuta, una macchia per alcuni, un riconoscimento per altri.

Fu così che Sabina Spielrein, nel 1980, nacque una seconda volta grazie al libro di Carotenuto, Diario di una segreta simmetria. Sabina Spielrein tra Jung e Freud. Cessò di essere un nome tra virgolette, un caso-studio e diventò colei che con le proprie geniali intuizioni aveva indicato la via da seguire ai due principali luminari della psicoanalisi, Sigmund Freud e Carl Gustav Jung. Come spesso accade, l’apporto delle donne nei grandi eventi che modificarono la storia viene ridimensionato, taciuto, nascosto. Sabina non fece eccezione, prima Jung poi Stalin, la marchiarono con il greve segno dell’oblio. Eppure, per quanto fragile, la memoria storica resiste e rende giustizia: quelle lettere, traboccanti di verità, sono sopravvissute ai decenni per raccontare chi fosse davvero Sabina.

Da Ginevra ci spostiamo a Rostov sul Don, in Russia, dove Sabina ebbe i natali nel 1885. La sua era un’abbiente famiglia ebrea, il padre era commerciante, tiranneggiava su tutti inclusa la moglie Eva, odontoiatra che non aveva mai esercitato per dedicarsi alla famiglia. Una tragedia colpì la famiglia Spielrein quando tra i figli, la piccola Emily a soli sei anni si ammalò di tifo e morì. Per quanto tutti provarono ad andare avanti e sopravvivere al dolore, Sabina rimase come bloccata a quel momento. La perdita della sorella iniziò ad erodere più velocemente la voragine che già era in lei, provocata dai maltrattamenti del padre. Nonostante si diplomò a pieni voti e parlasse correntemente due lingue straniere, oltre al russo, Sabina cresceva insieme al suo disagio psicologico che toccò l’apice quando, durante un soggiorno a Zurigo, dove i genitori l’avevano portata per calmarle i nervi, si palesò con una crisi isterica. Ormai, la giovane era diventata ingestibile per la famiglia, così i coniugi Spielrein decisero di ricoverarla presso il celebre ospedale psichiatrico Burghölzli. Qui Sabina fu sottoposta a qualsiasi barbarie allora in voga per curare i casi di isteria, come l’elettrochoc e l’alimentazione indotta, dato che la ragazza soffriva anche di anoressia. Questo fino a quando nella vita di Sabina arrivò Carl Jung, medico trentenne promettente e allievo di Sigmund Freud. Infatti, apertamente in contrasto con quei metodi anacronistici, il dottore sottopose Sabina alla tecnica delle associazioni verbali per individuare il nucleo del disagio isterico.

Jung comprese che tutto partiva da un complesso edipico non risolto, una tensione anche sessuale, che la ragazza aveva sviluppato in anni di soprusi e pressione psicologica paterni che sfogava in esplosioni verbali aggressive e violente, associate a tic e movimenti sconclusionati del corpo. Quel che Jung fece per riportare alla vita Sabina, fu attuare il metodo psicoanalitico curandola con le parole, e con l’amore poiché la relazione che si crea tra terapeuta e paziente è essenzialmente composta da comprensione e accoglimento. Il giovane Jung si consultò anche con il Maestro, Freud, a cui raccontò di Sabina con entusiasmo per ricevere un parere in merito al suo operato.

Stimatissimo professore,

mi permetto di spedirLe, con la stessa posta, un nuovo plico a parte che contiene altre ricerche in tema di psicoanalisi. Devo abreagire su di Lei un’esperienza recente, a rischio di annoiarLa. Sto applicando attualmente il Suo metodo alla cura di un’isteria. È un caso difficile: una studentessa russa ventenne, ammalata da sei anni…”

  • Carl Gustav Jung, Lettere a Freud

Trascorso un anno, Sabina riacquistò la voce, ovvero la capacità di essere al mondo, presente a se stessa e in comunione con la vita. Tutto grazie a Jung, che inoltre la incoraggiò a stabilirsi a Zurigo per iscriversi alla facoltà di Medicina. Estremamente affini, ormai sorprendentemente legati da un affetto potente, Jung e Sabina divennero amanti. Per i due fu un qualcosa di inevitabile. Jung riportò tale spiegazione, rispondendo ad una lettera della madre di Sabina, precedentemente allertata dalla moglie del medico, Emma, tramite missiva anonima. Eva Spielrein gli chiese di lasciare libera quella figlia che egli aveva contribuito a guarire, e non comprometterla. “Deve capire che un uomo e una ragazza non possono continuare indefinitamente ad avere rapporti amichevoli l’uno con l’altro senza la probabilità che qualcosa di più possa accadere nella relazione”, scrisse Jung stizzito alla signora Spielrein. Doveva succedere, e i due si abbandonarono semplicemente al loro destino:

Il fatto che io lo ami è tanto fermamente determinato quanto il fatto che lui ami me. Egli è un padre per me e io sono una madre per lui…Non so perché egli sia innamorato di sua moglie (…) diciamo che sua moglie non è ‘del tutto’ soddisfacente, e ora lui si è innamorato di me, un’isterica; e io mi sono innamorata di uno psicopatico, ed è necessario spiegare il perché?

  • Lettera di Sabina Spielrein alla madre (1908)

La loro frequentazione clandestina durò sette anni, durante i quali pur sentendosi coinvolta, la giovane si pose delle domande sulla relazione a cui però, in quel momento specifico, non sapeva ancora rispondere e verso la quale assumeva un atteggiamento arrendevole:

Ma poi: lo voglio veramente? Potremmo essere felici? Nessuno di noi due, credo, perchè il pensiero di sua moglie e dei suoi figli non ci darebbe pace. Non sono affatto nemica di sua moglie, posso capire fin troppo bene la sua posizione nei miei confronti. Anche se la conosco poco, credo sia una brava persona, visto che il mio amico l’ha scelta. Quante volte ho dovuto soffrire per lei, quante volte nel pensiero le ho chiesto perdono per il dolore che ho portato nella sua casa tranquilla. Del resto anche a me questo amore non ha portato altro che dolore. Erano pochi gli attimi in cui, riposando sul suo petto, potevo dimenticare tutto e nemmeno pensare alla tragedia della nostra situazione poteva turbare il mio sentimento di gioia profonda; neanche la derisione del critico dentro di me — l’essere umano è uno strano meccanismo — poteva distogliermi. E ora? Egli mi si avvicina di nuovo.

  • Sabina Spielrein, Diario (1910)

Nel frattempo Sabina si laureò a pieni voti in Medicina con una tesi dal titolo “Il contenuto psicologico di una caso di schizofrenia (dementia praecox)”, basato sulla paziente Martha N. Durante la terapia con Martha, Sabina sperimentò di persona quel che si era verificato nel suo rapporto con Jung, ovvero il transfert e il controtransfert tra medico e paziente. Dopo la laurea, la donna decise di trasferirsi a Vienna, dove divenne membro della Società Psicoanalitica. Tuttavia, la relazione con Jung subì una improvvisa battuta d’arresto quando Sabina gli chiese un figlio. Lo psicoanalista, sposato e con numerosa prole, forse solo allora prese coscienza della ‘degenerazione terapeutica’ in cui era caduto. Anche questa volta scrisse a Freud, difendendo il suo buon nome e facendo passare Sabina come una pazza visionaria. Il dottore gli rispose: “Essere calunniato e rimanere scottati dall’amore con cui operiamo, sono questi i pericoli del nostro lavoro, a causa dei quali però non abbandoneremo certo la professione.

Sabina, comunque, non rimase in un angolo. Lei stessa scrisse al dottor Freud spiegando la relazione con Jung: “Il Dr. Jung quattro anni e mezzo fa era il mio medico, poi divenne un amico e in seguito “poeta”, cioè amante. Alla fine mi conquistò e tutto andò come di solito accade nella “poesia”. Egli predicava la poligamia, sua moglie sarebbe stata d’accordo etc. etc., ma mia madre ricevette una lettera anonima, scritta in ottimo tedesco, nella quale si diceva di salvare sua figlia che avrebbe potuto essere rovinata dal Dr Jung.

Freud riuscì a tenere a bada entrambe le controparti, divenendo così il terzo vertice di quel triangolo fatto di pulsioni, emotività e introspezione. Il padre della psicoanalisi, in effetti, ammirava molto Sabina di cui seguì gli studi con passione e interesse, poiché la donna anticipò molte delle conclusioni a cui lui sarebbe giunto soltanto alcuni anni dopo. Nel libro Al di là del principio di piacere, lo psicoanalista austriaco cita Spielrein a proposito delle pulsioni sessuali e del todestrieb, l’istinto di morte. In un articolo datato 1912 firmato dalla psicoanalista si legge:

Nell’occuparmi di argomenti sessuali un problema mi ha particolarmente interessato: perché l’istinto alla riproduzione, questo istinto potentissimo, insieme alle prevedibili sensazioni positive ne contiene di negative come la paura e la nausea, che devono essere eliminate affinché si possa raggiungere una sua positiva realizzazione? Alcuni hanno notato la frequenza di rappresentazioni di morte legate con desideri sessuali. Nella mia esperienza con ragazze posso dire che normalmente è la sensazione di paura quella che emerge in primo piano fra i sentimenti di rimozione quando per la prima volta si prospetta la possibilità di realizzare un desiderio, e in effetti si tratta di una forma molto specifica di paura: s’avverte il nemico in se stessi, ed è il nostro stesso ardore amoroso che ci costringe con ferrea necessità a fare qualcosa che non vogliamo; si avverte la fine, la caducità da cui invano vorremmo fuggire verso ignote lontananze. Ritengo che i miei esempi dimostrino abbastanza chiaramente, come provano alcuni fatti biologici, che l’istinto riproduttivo è costituito anche dal punto di vista psicologico da due componenti antagonistiche ed è perciò altrettanto un istinto di nascita quanto di distruzione.

Jung con la moglie Emma

Appassionatamente emotiva ed idealista, Sabina dopo aver scritto la sua difesa a Freud comprese che per sopravvivere doveva allontanarsi, anche fisicamente, dai due luminari. Dopo il matrimonio col medico russo Pavel Scheftel, di origini ebraiche come lei, da cui ebbe le figlie Renate ed Eva, la coppia decise di tornare in Russia. Qui iniziò la terza fase della vita di Sabina: entrò a far parte della Società Russa di Psicoanalisi e a Mosca, dove andò a vivere con la famiglia, diresse con Vera Schmidt, personalità preminente della psicoanalisi russa, l’Asilo Bianco, un ospedale psichiatrico che era anche un luogo di formazione. Con Schmidt, Sabina mise in atto i suoi rivoluzionari metodi pedagogici che attingevano alla psicoanalisi: gli alunni dell’Asilo Bianco erano liberi di fare, sperimentare, scegliere, scoprire il mondo e il proprio corpo con un’introduzione alla conoscenza del sesso che nel pensiero di Sabina non doveva essere più considerato un tabù. Tra i piccoli allievi di Sabina e Vera, un giorno, arrivò anche Vasilij; iscritto sotto falso nome, altri non era che il figlio di Stalin e della sua seconda moglie, Nadežda Allilueva.

Pare sia la prima volta che una psicoanalista viene messa a dirigere un asilo infantile. Ciò che vorrei dimostrare è che se si insegna la libertà ad un bambino fin dall’inizio, forse diventerà un uomo veramente libero. Ci metterò tutta la mia passione.

  • Sabina Spielrein, Lettere a Jung

Il rapporto con Jung non si interruppe mai, utilizzò mezzi di comunicazione differenti ma ci fu sempre un costante fluire tra i due, un dialogo a cui non vollero rinunciare e di cui modificarono soltanto il guscio esterno.

Nel 1924, quando Stalin dichiarò la psicoanalisi vietata in Russia, Sabina fu costretta a praticarla illegalmente per continuare a seguire i propri pazienti. Anche l’Asilo Bianco fu chiuso e i piccoli allievi dispersi. Giunse tristemente il tempo delle purghe staliniane che colpì mortalmente uno dei fratelli di Sabina, Isaac, antesignano della psicologia del lavoro, e il marito Pavel. Nel 1941, con i nazisti già sul suolo russo, Sabina e le figlie decisero di riparare a Rostov, pensò che lì i soldati tedeschi non sarebbero mai arrivati. Purtroppo Sabina si sbagliava. L’anno dopo i nazisti invasero la cittadina e portarono tutti gli ebrei nella sinagoga, dove furono fucilati con un’esecuzione sommaria. Il corpo di Sabina e delle figlie fu gettato con gli altri in un canale di scolo, individuato recentemente nel 2004 e presso il quale è stata posta una lapide per ricordarla. Sabina, quindi, è giunta a noi in varie forme ed emanazioni da un tempo che l’ha, prevalentemente, osteggiata e costretta al silenzio. Ora, nel presente, è libera.

Perché il nostro conscio è solo una particella piccolissima di questo enorme sistema coordinato, la particella che ci è necessaria in ogni momento per adattarci al presente. E cos’è il presente?

  • Sabina Spielrein, Lettere a Jung

Filmografia consigliata:

Prendimi l’anima, Roberto Faenza (2002)

My name was Sabina Spielrein, Elisabeth Màrton (2002)

A dangerous method, David Cronenberg (2011)

Prendimi l’anima


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