Vera Brittain, il racconto della gioventù perduta di una generazione lacerata dalla guerra

by Michela Conoscitore

Dieci anni fa, il fossato della Torre di Londra si ricoprì, a partire da luglio, di papaveri rossi: l’installazione artistica di Paul Cummins, Blood sweapt lands and seas of red, rientrava nell’anno delle celebrazioni in occasione del centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. L’opera contemporanea, concepita da Cummins con lo scenografo Tom Piper, constava di ben 888.246 papaveri rossi di ceramica. Un papavero per ogni soldato britannico, caduto in battaglia.

La maggior parte di loro, si era appena affacciata alla vita. Un’intera generazione, quella del 1895, completamente recisa e spazzata via, con tutti i loro sogni e progetti. Questi ragazzi avevano fatto un testamento di gioventù, quella stagione della vita che per loro non sarebbe mai terminata, e vissuta inoltre, così eroicamente.

Testament of youth (in Italia, Generazione perduta, Giunti Editore, 16 €) è il nome del best seller dell’inglese Vera Brittain, giornalista, attivista per la pace e scrittrice, sconosciuta ai più in Italia, che ha saputo narrare con accorata fedeltà la propria esperienza della guerra, per raccontare poi, di riflesso, degli stravolgimenti del mondo. Tra quei papaveri rossi, nel 2014, tre portavano i nomi di Roland Leighton, Edward Brittain e Victor Richardson, rispettivamente fidanzato, fratello e amico della scrittrice. Basta sapere questo per comprendere quanto la guerra possa aver influenzato la vita della Brittain, per sempre.

I fratelli

Vera Brittain nasce nel 1893, nello Staffordshire, da una ricca famiglia di provincia. In seguito, con la nascita del fratello Edward, la famiglia Brittain si trasferisce a Buxton, nel Derbyshire, dove Vera iniziò a muovere i primi passi nella cultura, anche come giornalista. Dopo aver frequentato un prestigioso collegio nel Surrey, Vera tornò a Buxton: l’ambiente della cittadina le stava stretto, e coltivava il sogno di potersi iscrivere al Somerville di Oxford, per laurearsi in letteratura, aspirazione inusuale per una donna all’epoca. Contro il volere dei genitori, che invece, la volevano sposata e con figli. Ma lei non ci pensava affatto, perché un marito avrebbe limitato le sue aspirazioni:

Per me il provincialismo corrispondeva, e corrisponde ancora, alla somma di tutti i più ipocriti valori: la gente di provincia stima gli altri per ciò che possiedono o fingono di possedere, e non per ciò che sono realmente. La sua stessa essenza sembra essere racchiusa in classificazioni artificiali e rigide linee di demarcazione che non mostrano alcun legame con il merito effettivo, mentre il disprezzo per l’intelligenza, la diffidenza e la paura nei confronti del pensiero indipendente sono credenziali necessarie, in provincia, per raggiungere la popolarità.

Vera infermiera volontaria

È con queste idee così chiare e definite che Vera nel 1912, immersa nell’esame di preparazione per l’ammissione ad Oxford, dopo aver faticosamente ottenuto l’assenso dei genitori anche grazie al fratello Edward, che si apprestava a conoscere Roland Leighton, compagno di corso all’accademia militare dello stesso Edward. Il fratello di Vera, Roland e Victor erano inseparabili, e avrebbero trascorso un periodo insieme a casa Brittain, dove Vera ebbe modo di approfondire la conoscenza col diciannovenne Leighton. Forse anche per l’età, così carica di idealismo, che i due si scoprirono affini e iniziarono una relazione, col beneplacito delle famiglie. Nel frattempo, la futura scrittrice riuscì ad essere ammessa ad Oxford, realizzando il suo sogno più grande, grazie alla sua caparbietà.

Quel che accadde dopo, in verità molto velocemente, fu la Storia: a travolgere Vera e il mondo intero fu lo scoppio del conflitto bellico, annunciato come guerra lampo, spinse molti giovani a firmare per andare al fronte tra i primi. Non mancarono di farlo Roland ed Edward, seguiti poco dopo anche da Victor. Inizialmente Vera rimase ad Oxford, per proseguire gli studi, ma quando non ne poté più di scorrere gli elenchi dei caduti in battaglia, decise di arruolarsi come infermiera volontaria, incarico che in seguito l’avrebbe portata a prestare soccorso anche all’ospedale inglese di Malta.

Il sergente degli Yeomen Warders (le guardie della torre di Londra) Bob Loughlin davanti all’installazione Blood Swept Lands and Seas of Red, Londra, 28 luglio 2014 (Oli Scarff/Getty Images)

La guerra se non faceva vittime nel sangue, le accumulava colpendo duramente nell’anima: quando Roland tornò con la prima licenza, non era più lo stesso. I due decisero di sposarsi, nel Natale del 1915, quando il ragazzo sarebbe tornato per le festività. Purtroppo, la notte prima della partenza, il giovane fu ucciso da un cecchino tedesco sul fronte francese. Anni dopo, lo avrebbero seguito anche Edward, sepolto in Italia sull’Altopiano di Asiago, e Victor. Quel che rimase a Vera furono i ricordi, e la certezza che con loro, aveva perso anche la sua di giovinezza.

Dovettero passare anni prima che la scrittrice metabolizzasse quel che era successo, ne comprendesse la portata non solo nella sua vita, ma anche globalmente affinché il sacrificio di tanti acquistasse un qualche significato. Tornò ad Oxford, collaborò con dei quotidiani e pubblicò i suoi primi romanzi. Si sposò nel 1925 con George Catlin, da cui ebbe due figli. Poi nel 1933 giunse il momento di parlare, di esprimere quel che aveva covato per anni, dalla fine della guerra: Testament of Youth divenne subito un best seller, il libro inglese più commemorativo e importante sulla Prima Guerra Mondiale, vendendo subito 120 mila copie, e rimanendo nelle classifiche dei libri più acquistati e letti per ben sei anni.

Vera cercò di educare le nuove generazioni alla pace, a proteggerla come un bene prezioso e vitale, per chi come lei il rombo degli aerei l’avrebbe sempre percepito come rumore di sottofondo costante, le esplosioni, il sangue e le lapidi di persone care sarebbero stati elementi fissi, impressi per sempre sulle pupille:

Da adolescente pensavo che la vita fosse una questione personale, che riguardasse soltanto chi la vive, che tutto ciò che succede fuori fosse importante, sì, a suo modo, ma che a livello individuale, in fondo, fosse tutt’altro che rilevante. Così come gli altri della mia generazione, adesso comprendo anch’io la terribile verità delle parole di George Eliot, secondo cui le preoccupazioni della vita quotidiana non valgono nulla davanti al grande destino del genere umano. Alla fine ho dovuto riconoscere anch’io che nessuna esistenza è veramente personale, solitaria, autosufficiente. La nostra vita ci apparteneva interamente, forse – e a maggior ragione – soltanto perché il mondo ci sembrava immenso e tutti i suoi movimenti erano lenti e ordinati. Ma ormai non è più così e non lo sarà mai più, da quando le trovate dell’uomo hanno eliminato ogni distanza e distrutto il tempo. Nel bene o nel male, quasi fossimo onde del mare in un moto perpetuo, adesso tutti noi siamo parte della marea dei grandi movimenti politici ed economici, e qualsiasi cosa facciamo, sia come individui che come nazioni, influisce profondamente su tutti gli altri. Lo eravamo già, così legati gli uni agli altri, prima ancora di rendercene conto.

Quel che c’è di bello nei memoirs è che i grandi insegnamenti che la Storia imprime nelle vite di chi l’ha vissuta, mantengono sempre quel valore imperituro e assoluto: ringraziando la Brittain per le sue parole, così valide e necessarie oggi, pensando anche al futuro.

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