Surrogati e bambole: cosa è reale?

by Deborah Alice Riccelli

Tempo fa scrissi un articolo sui bimbi/bambola perché ero rimasta sconvolta leggendo, per caso, una notizia su internet. Era il racconto di un giornalista che aveva condotto un’indagine. Diceva di aver assistito a una strana scena mentre si trovava in un bar della riviera ligure. Dentro al bar un gruppo di mamme con dei marsupi porta-enfant avevano attirato la sua attenzione. Le giovani madri conversavano e i loro bimbi emettevano i tipici suoni e i gorgoglii di quell’età . Uno dei bimbi, però, restava completamente immobile.

Si avvicinò di più e si rese conto che non era un bimbo vero ma una bambola. Non una bambola qualsiasi ma una bambola molto costosa (il costo arriva a toccare i 14.00 euro) che richiede lunga preparazione. Incominciò a cercare notizie sul web e intervistò le dirette interessate. Scoprì in questo modo che le mamme in questione non temono alcun giudizio. Portano i loro pargoletti al parco giochi, gli cambiano il pannolino e gli fanno il bagnetto. Altre ingaggiano delle baby sitter che accudiscono i loro bimbi mentre loro sono al lavoro. Ovviamente anche su questa questione il popolo del web si è scatenato.

E proprio ai surrogati è dedicata la mostra “Surrogati. Un amore ideale”, alla Fondazione Prada a Milano. Nella selle serie delle fotografie esposte ci sono anche due sezioni intitolate Forever Mothers e Nine Months of Reborning. La fotografa Jamie Diamond ritrae la vita di una comunità outsider di artiste autodidatte chiamate Reborners, che realizzano e collezionano bambole iperrealistiche con cui interagiscono per soddisfare il proprio desiderio di maternità.

Alcune donne decidono di comprare la bambola perché vogliono un figlio ma non le responsabilità ma altre sono donne che un figlio non ce l’hanno più. Portano la foto del loro pargoletto morto e chiedono agli artigiani di riprodurne uno identico. Chiedono di dotarlo di una qualità in più, però. Quella di essere immortale. Non so esattamente perché ma la risonanza mediatica che in questi giorni ha richiamato la mia attenzione sui fidanzati immaginari di persone note mi ha fatto ripensare a questa storia. Esistono donne, non necessariamente famose, che cadono nella rete di corteggiatori che le contattano sul web. Appaiono come uomini con grandi doti culturali, estremamente romantici. Altre un uomo se lo inventano. Lo dotano di un volto, un corpo, un lavoro e fingono di passare gran parte della loro vita con questo uomo che, in realtà, non esiste. Ho letto la confessione di una nota scrittrice che ammette di essersi inviata lettere di apprezzamento, e in seguito d’amore, fin da bambina. Chiedeva addirittura alla Tata di consegnarle alle bidelle della scuola in modo che fosse visibile a tutti i suoi compagni “quanto” lei era amata.

Credo che uno dei mali del nostro tempo sia proprio l’incapacità di elaborazione di un lutto che non dev’essere dato necessariamente dal passaggio ad altra vita di chi amiamo ma anche dalla sparizione di ciò che ci appartiene e riteniamo eterno. Le mamme interrotte hanno bisogno di avere tra le braccia un bimbo che possa vivere per sempre. La nota scrittrice ha un disperato bisogno di essere apprezzata da tutti. Le vittime dei fidanzati immaginari hanno un disperato bisogno di qualcuno che non le tradisca, che non le faccia soffrire, che non le lasci mai più. Quanta solitudine. Quanta incapacità di compensazione. Ognuno di noi in questo momento sta emettendo un giudizio. Il più delle volte cattivo. Io, in tutte e tre le situazioni che non approvo, vedo però tanto disagio. Il disagio non va giudicato. Il dolore neppure. Entrambi meritano comprensione. Non me la sento di giudicare il dolore di una madre che cerca il suo bambino tra le sue braccia vuote o quello di una donna che ha sofferto troppo per amore e non vuole soffrire più. Trovo che in ognuna di queste storie si evidenzi una sottesa richiesta di aiuto. Se provassimo a tendere la mano, a comprendere, prima di giudicare il mondo sarebbe un luogo meraviglioso.

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