Il mondo letterario prima e dopo Open di Andre Agassi

by Claudio Botta

Be’, non l’ha scritto lui, d’accordo. L’ha scritto J. R. Moehringer, uno che nel 2000 ha vinto il Pulitzer per il giornalismo: e che, obiettivamente, è di una bravura mostruosa. Non bisogna pensare però che si sia limitato a fare da ghostwriter: gli è riuscito di dare ad Agassi una voce (una vita l’aveva già, e micidiale) e una diabolica abilità nel raccontare. Risultato: di Moehringer ti scordi subito e ti ritrovi in viaggio con un Agassi che non ti saresti mai aspettato e che non smette un attimo di parlare. Se parti, non scendi più fino all’ultima pagina. Roba che i familiari protestano e sul lavoro non combini più un granché”.

E’ l’incipit della recensione di Alessandro Baricco (pubblicata su La Repubblica il 13 novembre 2011) di Open. La mia storia, che sarebbe troppo riduttivo definire l’autobiografia di un celebre sportivo, il tennista Andre Agassi. E’ un romanzo epico, un saggio, un memoir, un capolavoro sospeso tra sport, arte, letteratura, vita, intriso di metafore e insegnamenti, crudo, realista, disarmante nella sua sincerità, e al tempo stesso suggestivo e spiazzante nel passare dal singolo all’universale, nel gioco di immedesimazione e proiezione e sottrazione di dinamiche familiari e professionali strette al punto di diventare soffocanti, una prigione dorata dalle sbarre invisibili. Il successo e il sacrificio, l’essere e l’apparire, l’amore e l’odio, gli affetti che diventano ricatti: Open è tutto questo e molto di più, 493 pagine da leggere tutto d’un fiato, per la tensione, le emozioni, il coinvolgimento che scatenano, non semplicemente per il gossip (gli amori famosi e tormentati, il colore e il taglio di capelli che si rivelerà essere una parrucca, i pantaloncini di jeans trasgressione cult in un ambiente ancora dominato dalla sacralità del bianco) e gli aneddoti specialità della casa di atleti di un certo (altissimo livello). E non è necessario essere appassionati di tennis e di Agassi: le pagine, il racconto, la confessione fluviale hanno una loro vita, una loro autonomia, e del resto è lui stesso a chiarire: “odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho scelta. Per quanto voglia fermarmi, non ci riesco. Continuo a implorarmi di smettere e continuo a giocare, e questo divario, questo conflitto, tra ciò che voglio e ciò che effettivamente faccio mi appare l’essenza della mia vita”.

Agassi durante gli USA Open, nel 2006, alle soglie del ritiro, otto Slam e sessanta tornei ATP vinti, inventore di uno stile perfezionato in migliaia e migliaia di ore di allenamento solitario contro una infernale macchina spara-palline fin da ragazzino, di attacco non dalla rete ma dal fondocampo, la pallina colpita in anticipo nella risposta e non nella fase discendente, nel pochissimo tempo libero aveva letto The Tender Bar (Il Bar delle grandi speranze), opera autobiografica del giornalista J.P. Moheringer, columnist del LA Times e appunto Premio Pulitzer nel 2000, libro dell’anno per numerose autorevoli testate, e se ne è innamorato: è nata lì l’idea di una collaborazione – maturata dopo contatti e conoscenza – che si sarebbe rivelata particolarmente felice, per la profondità e la sincerità strettamente legate e non semplicemente finalizzate ad alzare l’asticella delle aspettative da soddisfare e dei lettori bramosi da conquistare. “Pallina dopo pallina, volano le domande e le risposte sulla vita, schizzando sul cemento dei pensieri, e alla fine quella a cui assisti è un’unica, grande, affascinante partita giocata da un ragazzo contro il buco nero che si porta dentro: che poi è la stessa partita che giochiamo tutti, lo si voglia o no”, scrive ancora Baricco, che ha avuto un grande merito nel fare conoscere Open. La mia storia al pubblico italiano, sdoganandolo dalla nicchia di genere a cui era apparentemente relegato, per accomunare Agassi a un moderno, giovane Werther, nato a Las Vegas nel 1970 (le copie vendute sono schizzate fino a 700mila, solo nel nostro Paese). E questo passaggio del libro rende ancora più nitida la descrizione dello scrittore torinese: “Odio il tennis più che mai – ma odio ancora di più me stesso. Mi dico: e allora, a chi importa se odi il tennis? Tutta quella gente là fuori, tutti i milioni di persone che odiano ciò che fanno per vivere, lo fanno comunque. Forse il punto è proprio fare ciò che odi, farlo bene e con allegria. Odi il tennis, quindi. Odialo quanto ti pare, ma devi pur sempre rispettarlo – e rispettare te stesso”.

C’erano state ovviamente altre autobiografie di sportivi di successo, prima di Open. La mia storia, e ce ne sono state dopo tante altre: ma quella di Agassi ha segnato per sempre uno spartiacque, un prima e un dopo difficilissimo da emulare o semplicemente sfiorare.

Il primo a provarci, a quel livello, è stato Zlatan Ibrahimovic, campione svedese che in carriera ha vinto campionati e trofei con l’Ajax in Olanda, con Juventus, Inter e Milan in Italia, con il Barcellona in Spagna, con il Paris Saint Germain in Francia, e che ha giocato e lasciato il segno anche nella Msl nordamericana e nella Premier League, con Io, Ibra nel 2013, seguita poi da Io sono il calcio (2018) e Adrenalina (2021): le sfide non gli sono mai dispiaciute, così come l’altissima considerazione di sé. Ma la prima opera è interessante, per capire come si è forgiata la determinazione e la voglia di rivalsa e affermazione che hanno segnato la sua carriera appena conclusa, e come gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, segnati da emarginazione e promesse (realizzate) di riscatto, siano stati determinanti per il suo carattere e la sua capacità di leadership nello spogliatoio e in campo.

Due le autobiografie della leggenda italiana del motociclismo mondiale, Valentino Rossi: Pensa se non ci avessi provato, del 2006, quando era un fenomeno in pista e fuori, e Mi sono divertito (scritta da Marco Masetti), un bilancio della sua incredibile carriera: nonostante l’enorme popolarità del personaggio, non sono riuscite ad andare oltre lo zoccolo duro dei fedelissimi. Prima e seconda manche è invece il titolo dell’autobiografia dello sciatore Alberto Tomba, scritta con Lucilla Granata e pubblicata nel 2008. Alex Zanardi, prima del secondo, terribile incidente – in hand bike – che ha segnato la sua vita, aveva scritto nel 2019 con Gianluca Gasparini Volevo solo pedalare…ma sono inciampato in una seconda vita, una testimonianza toccante della sua capacità di risorgere nonostante le avversità del destino, e dell’infondere sorrisi e speranze alle persone accanto. Altrettanto ricco di motivazioni Se sembra impossibile allora si può fare, della schermitrice medaglia d’oro paraolimpica Bebe Vio (2019). Per terminare questa galleria con i calciatori, i campioni del mondo italiani sono i più corteggiati dalle case editrici: quelli dell’82, da Marco Tardelli (O tutto o niente. La mia storia, scritto con la figlia Sara e pubblicato nel 2016) all’indimenticabile Paolo Rossi (Quanto dura un attimo, è l’ultima scritta con la moglie Federica Cappelletti, pubblicata nel 2019). E quelli di Berlino 2006: Pippo Inzaghi con Il momento giusto è l’ultimo arrivato di una formazione che schiera stelle come Alessandro Del Piero (arrivato a tre biografie e un libro per ragazzi) e Francesco Totti (Un capitano scritta con Pierò Condò ha ispirato film e serie tv). Ormai introvabile e bellissima quella di Roberto Baggio Una porta nel cielo, ghostwriter non accreditato Andrea Scanzi prima dell’overdose social-teatro-libri-tv-Fatto quotidiano.

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