«A Foggia, in una città ferita, la feritoia della bellezza». Giuseppe Savino, i fiori di Puglia e quel sogno di orto fruibile, che riscatta gli agricoltori

by Antonella Soccio

Passare dalla produzione intensiva, fatta di quantità, additivi chimici, fitofarmaci, sofferenza e sudata e aspra solitudine alle relazioni della terra e con la terra. Benefiche, riconcilianti, accoglienti, sacre. Regalando spazi di bellezza, mai valorizzati o intravisti nelle pianure del Tavoliere, ancora soffocate dal caporalato e dalle agromafie.

Giuseppe Savino, ormai noto a livello nazionale e caso di studio al Ministero dell’Agricoltura per le sue geniali idee nate con VaZapp, in questo secondo anno pandemico insieme a suo fratello Michele ha distribuito semi, fiori, sogni e gioia collettiva prima con i Tulipani di Puglia e poi con i Girasoli di Puglia. Nessuno prima di lui in agro di Foggia, terra di grano, pomodori, olive e uva e prima località per produzione di ortaggi in Europa, aveva piantato fiori, senza avere un mercato. Nessuno prima di lui aveva osato “sprecare” ettari di terreno per esperimenti sociali, fondati sulla condivisione e sul paesaggio agricolo.

Uno dei tanti articoli dedicati a Giuseppe Savino

Il tempo non è stato clemente con i suoi fiori, sfioriti anzitempo. In primavera la tremenda gelata, in estate l’afa mortifera da cambiamenti climatici. Ma ogni agricoltore mette in conto l’incognita del clima, unica vera scommessa reddituale ed esistenziale col destino. E Giuseppe ha benedetto il tempo, invece di maledirlo, anche quando ha visto una pioggia di petali ai suoi piedi.

«A noi è dato il compito di fare un’altra agricoltura in questa terra, qui non sei nessuno se non produci quintali, ma noi vogliamo coltivare il terreno, dedicandoci a quello interno delle relazioni, per produrre spazi di bellezza e un tempo da regalarsi», spiega Savino a bonculture in una chiacchierata tra amici e confinanti.

Hai puntato tutto sulla condivisione anche instagrammabile dei tulipani e dei girasoli, le famiglie felici si sono regalate un tempo interiore di letizia, scattando foto e girando video nel campo.

Eppure c’è anche un’altra forza che si respirava tra i tuoi girasoli, ma che si può sentire anche in un campo di zucchine se si amano i frutti agricoli, una forza quasi mistica, da Giardino dell’Eden. Arriverai a portare verso la spiritualità questo tuo progetto, tu che sei figlio spirituale del compianto don Michele de Paolis, il primo a celebrare la Santa Messa sotto la vigna?

«Connettersi con la Natura è comunicare con l’Universo. I contadini sanno bene come accade, loro sentono prima di vedere. Sanno cosa dice il tempo, sentono il clima, le piante. Entrare in un campo significa rallentare e chi rallenta entra sempre in connessione con se stesso, in contatto con la spiritualità. La nostra società ha bisogno di rallentare per accorgersi della bellezza. La pandemia ci ha rallentato, ci ha messo in contatto con la vita, che ti fa ascoltare la bellezza. Parafrasando il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij, dico che la ”La bellezza salverà il fondo”. Attraverso la Bellezza molti piccoli agricoltori faranno un’altra agricoltura che non li farà andare via dalla terra.

Io ne sono convinto.

I tuoi girasoli hanno scatenato anche molta satira sui social. La satira si accetta, scompagina, però in alcune battute si rintracciava anche un pizzico di cattiveria di troppo, come se l’entusiasmo di chi visitava il campo avesse urtato la mediocrità a cui Foggia pare condannarsi, destabilizzandola. Si tende spesso a svalutare la bellezza agricola, a darla come scontata. Come ti sei sentito? Da figlia di agricoltore, ho sofferto io per te.

«Non tutti riconoscono la bellezza, la satira è fatta da chi ha le mani sui tasti, noi abbiamo le mani nella terra, nella fatica. E non abbiamo tempo per occuparcene. Io lavoro per riscattare mio padre. Viviamo in una terra piena di scoraggiatori militanti, c’è una militanza al negativo, che ci imprigiona. Ma anche la satira ci sta, ci deve essere. In una città che non riconosce la sua bellezza, chi la riconosce e la diffonde provoca un urto».

A proposito della città, Foggia vive il momento più buio della sua storia, col commissariamento per mafia. Cosa significa diffondere bellezza mentre tutto attorno c’è solo il racconto di una classe dirigente e di un ceto decisore malato e corrotto?

«Il campo è un porto di relazioni, mi piace pensare che anche in una città ferita ci possa essere una feritoia che semina bellezza. Questa feritoia ci dice che anche a Foggia non è difficile né impossibile coltivare qualcosa di bello e di buono in una visione collettiva. Spesso chi coltiva è solo con la sua solitudine, invece noi vogliamo moltiplicare questo modo di fare agricoltura. I Tulipani e i Girasoli di Puglia sono oggetto di studio al Ministero delle Politiche Agricole. Qui chi coltiva qualcosa di nuovo è geloso, non condivide il suo successo, per me vale l’opposto. Il nostro campo è un prototipo da consegnare, un format per piccoli agricoltori in crisi che non sanno come superare le loro difficoltà. Ci sono persone che hanno percorso anche 400 km per vedere i girasoli, per capire come si coltiva bellezza. Dalla manodopera alle menti d’opera, questo siamo».

Qual è il prossimo passo del format? L’orto condiviso?

«Con la gente in campo un po’ di analisi dei dai dati ce la siamo fatta. Con il lockdown tutti si sono fatti la palestra in casa, hanno comprato gli attrezzi, ma poi quanti hanno continuato? Accade la stessa cosa con gli orti sociali. Si parte con entusiasmo, poi ci si scontra con le difficoltà del coltivare. L’idea è quella di far raccogliere, così com’è accaduto con i fiori, anche gli ortaggi. Una famiglia potrebbe cogliersi la sua cassetta di prodotti una volta a settimana, in campo. Mangiare è un atto agricolo dopotutto. Le persone cercano questa esperienza: un campo fruibile dove andare a raccogliere la propria spesa. Serve immaginazione sociale, altrimenti il territorio non si evolve: tanti agricoltori che oggi coltivano in solitudine, spezzandosi la schiena, il proprio orto in maniera tradizionale consegnando i prodotti ai grandi distributori o ai mercati potrebbero virare verso questo nuovo modo di vendere e produrre con metodi bio. Il lavoro ci ha consegnato alcuni dati: un ettaro di orto può servire 500 famiglie. Ma è ovvio che questo progetto non lo puoi fare da solo. Servono tanti piccoli produttori che decidano di coltivare il loro campo e di accogliere poi le persone. È difficile far capire che io oggi non sto coltivando girasoli, ma relazioni. Bisognerà formare gli agricoltori, insegnare loro ad accogliere. Anche con il Vigneto di Federico II abbiamo fatto questo».

Con i Vignetti, hai fatto qualcosa in più. In tutta Italia e prima ancora in Francia ci sono esperienze turistiche di giornate in vigna, ma tutte sempre passive, senza partecipazione attiva dei fruitori.

«Va cambiata la mentalità. Noi abbiamo pensato di illuminare i vigneti. Cosa sarebbe la nostra terra se tutti i piccoli agricoltori illuminassero i vigneti, potremmo puntare su questa peculiarità turistica. È un lavoro in costruzione, è un percorso. La nostra esperienza sarà in Rai per una puntata di Generazione Bellezza, in prima serata. Mia madre dice che se una cosa va in tv è vera. Oggi ho i dati, prima avevo solo il sogno».

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