Fermo e pieno di rabbia: fare l’agronomo ai tempi del Coronavirus

by redazione

Un’immagine ricevuta mi ha portato a riflettere, ho visto l’entrata della Cooperativa dove per anni ho lavorato, con un operaio all’ingresso che regola le entrate. Il che non dovrebbe impressionare se non fosse che l’operaio era dotato di mascherina, tuta e guanti. Chi mi ha inviato l’immagine, mi ha spiegato che hanno iniziato a regolare gli accessi, per evitare la diffusione del virus e ciò mi ha ulteriormente incupito perché ho sempre descritto quella struttura, al pari un formicaio, con persone operose che specialmente al momento della trebbiatura del grano non è mai ferma come tante formiche. 

Partendo da quell’immagine, mi sono trovato a riflettere su ciò che stiamo vivendo, con gli occhi di un agronomo. Probabilmente molti di voi avranno capito il nostro ruolo vedendo una nota pubblicità in cui una voce fuoricampo di un bambino dice “dietro le cose buone c’è sempre qualcuno che se ne prende cura” e del resto anche mia figlia quando le chiedevano che lavoro faceva il papà rispondeva “il dottore delle piante”….. e molti agronomi sono realmente ciò, dottori destinati a curare le piante per garantire la genuinità delle produzioni agricole.

Perciò chiuso in casa, pur nella convinzione di fare la cosa giusta, mi ritrovo a pensare a chi tra i miei colleghi in questo momento, non può assolutamente pensare di restar fermo perché frutta, verdura e perchè no pasta, pane e farina non arriverebbero sulle nostre tavole.

Personalmente di questi tempi, se non fosse per l’emergenza sarei in giro per campi di frumento, coltura che mi appassiona, ma purtroppo mi rendo conto che i rischi son tanti e potendo evito. Quelle poche visite che ho fatto in questi giorni, erano dettate dalla necessità o dalla voglia di dire a me stesso che non è finita e mi hanno aiutato a non impazzire.

Per tale motivo se sono qui a scrivere è per ringraziare tutti i colleghi che non possono abbandonare tutto, in quanto si approssima il trapianto del pomodoro, le viti anche a causa di questo anomalo inverno iniziano il risveglio e poi ci sono tante colture da raccogliere, oltre a quelle che necessitano di trattamenti ed è a questi colleghi che va il mio plauso.

Alla fine dei conti, questa maledetta pandemia, ci sta aiutando a comprendere meglio il nostro ruolo, in altri settori si può lavorare da casa, fare video conferenze, ma noi no, il nostro lavoro è guardare, toccare, girare e se ciò non è possibile sei fermo lì e attendi che tutto passi, ma non lo fai a cuor leggero, lo fai controvoglia e in te cresce la rabbia. Rammento in questa strana vicenda mio padre l’estate prima che morisse, io ero un quattordicenne immaturo, ma dato il suo stato lo accompagnavo in campagna e lui non potendo far molto, a causa della sua malattia, si limitava a guardare i campi da lontano, allora non comprendevo oggi si, oggi che non posso uscire e i campi li vedo su immagini che mi vengono inviate, capisco il suo senso di impotenza di allora. 

Ecco il vero virus che si sta insediando in me, quel senso di inadeguatezza legata al ruolo che svolgo normalmente, ma poi pensi che prima o poi passerà, che anche di fronte ad un evento così eccezionale l’agricoltura con mille difficoltà non può e non deve fermarsi, c’è un nuovo raccolto di frumento(sperando che piova), c’è tanto e sempre da fare e poi come dice la pubblicità “dietro le cose buone c’è sempre qualcuno che se ne prende cura” e noi agronomi ci siamo e ci saremo sempre.

Fernando Di Chio

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