“Quelli dell’orto clandestino”, la coop che condivide la felicità d’agricoltura e turismo a Canosa

by Antonella Soccio

Né decrescita felice né reminiscenze new age. C’è una terza via, meridiana ed olistica, per non accontentarsi della semplice happiness consumistica, ma per cercare più ambiziosamente la felicitas, per dirla col Premio Nobel Amartya Sen. 

In Puglia, a Canosa, un gruppo di giovani, alcuni dei quali stanchi delle loro attività costipate in ufficio, ha dato vita ad una cooperativa, la coop ChiAmaCanosa, che tiene insieme agricoltura, turismo, archeologia e formazione per i più giovani. Un progetto di resistenza e futuro.

Sono “Quelli dell’orto clandestino” e offrono giornate di turismo esperenziale. Dagli orti sociali ai campi scuola archeologici, dai laboratori artistici di ceramica e scultura alle passeggiate in canoa sul fiume Ofanto o sul Gargano.

Uno dei loro cavalli di battaglia è la vendemmia emozionale, una esperienza a cui partecipano migliaia di bambini ogni anno. L’idea della coop è quella di sostenersi con il turismo, attraverso una visione attiva dell’agricoltura, non più ricattata dai prezzi stracciati della GdO.

Il fulcro della cooperativa è Nunzio Leone, di professione dentista, ma da sempre legato ad un rapporto profondo con la sua terra e con l’immenso patrimonio archeologico di Canosa. Ad un certo punto della sua vita ha pensato di trasferire il suo studio in campagna, là dove nessuno sarebbe andato, nel luogo meno affascinante della città, un po’ periferia e un po’ campagna degradata.

Lì ha piantato e curato la sua “vigna giardino”, come la chiama, da cui tutto è nato. 

“La molla è stata quella di cercare di creare dal turismo esperienziale un processo economico sostenibile. Quando c’è da organizzare storie e storytelling attorno all’archeologia, c’è bisogno di soldi, si trovano i finanziamenti, ma poi quando le risorse finiscono, tutto si chiude. Il racconto non si riesce a sostenere e tutto si arena. Noi siamo otto e abbiamo fondato una cooperativa imprenditoriale etica che si deve sostenere come un’impresa sociale con le sue gambe”, spiega Leone a BonCulture. 

Nella vigna giardino con casolare c’è quindi l’agricoltura sociale, con i vari filari di orti sociali, orti cittadini. Ed insieme c’è il tentativo di ospitare ed accompagnare turisti, per i vari parchi archeologici della città o semplicemente per i tratturi, interessati ad un rapporto autentico con la terra e con il paesaggio.

La sfida però è ancora più ambiziosa. Ora et labora, senza dimenticare il gioco. “Quest’anno stiamo per cominciare una progettualità con un gruppo di 150 ragazzi dagli 11 ai 14 anni di una parrocchia di Canosa. Noi lavoriamo, possiamo pregare e lavorare, vogliamo che i ragazzi si possano sentire al centro di un obiettivo concreto. Oggi gli adolescenti pensano che tutto il loro mondo passi attraverso uno schermo, noi stiamo cercando di dimostrare quanto produce la nostra terra, in maniera spontanea”.

Ogni ragazzino avrà un suo filare, da piantare, coltivare e da cui raccogliere i frutti, per poi venderli, mangiarli in famiglia, reinvestire gli utili e donarli in beneficienza. “C’è un significato profondo, devono riuscire a recuperare quanto investito con le piantine e devono riuscire a fare beneficenza. Pianteranno, raccoglieranno venderanno e porteranno a casa i prodotti e li daranno in beneficenza. I giovani non se ne accorgono, ma lavoreremo con la medicina dell’energia. Anche nella vendemmia ho trasferito concetti di medicina, il lavoro in campagna insegna passione e reazione, il bambino che viene a vendemmiare, aumenta la fiducia in se stesso, la gioia, si sveglia presto al mattino”.

Come nasce questa voglia di condividere? “Sicuramente nasce da una propensione personale, ho avuto un padre che mi ha dato molti input, come il gusto della condivisione, ho aperto uno studio in campagna, perché assolutamente volevo condividere un pezzo della mia vita. L’8 marzo ad esempio, alcuni pazienti hanno raccolto le mimose. C’è un pensiero olistico e di gioia. Avevo 5 ettari intorno alla città, non ho fatto niente, la cooperativa mette insieme persone che sanno condividere felicità, affinché essa si intersechi anche col modello economico.  Tanti anni fa organizzavo archeoworking, archewolking, passeggiate, esperienze di teatro. Una si chiamava “All’ultimo respiro”, l’idea era vivere una vita piena intensa, senza tempi morti. La cooperativa ha portato la vendemmia emozionale, vogliamo esportare in agricoltura l’idea delle micro imprese che si possano sostenere in maniera dignitosa con la trasformazione del prodotto per venderli a prezzi giusti”.

Antonella Soccio

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