Alice nel paese delle meraviglie: il nonsense e la fantasia nel capolavoro di Lewis Carroll

by Paola Manno

Uno dei romanzi più famosi della storia della letteratura è nato su una barca. Lewis Carroll, il cui vero nome era Charles Lutwidge Dogson, scrittore britannico nato nel 1832, inventò gran parte della storia durante una gita in battello sul Tamigi.

Le avventure di una bambina che cade nella tana di un coniglio furono pensate per intrattenere le 3 figlie di un amico durante il viaggio. In quel primo racconto improvvisato, le storie non erano ancora dettagliate, i personaggi ancora abbozzati e soprattutto la protagonista non aveva ancora un nome, ma le bambine ne rimasero così entusiaste che si fecero promettere dall’autore la stesura di un racconto.  

Carroll iniziò a scrivere la storia il giorno successivo e 3 anni dopo consegnò la prima copia ad Alice Liddell, la prediletta delle tre sorelline. Aveva dato alla protagonista il suo nome: un regalo che la rese eterna. 

Era il 26 novembre del 1864 e il manoscritto, illustrato dallo stesso autore, si intitolava Le avventure di Alice sottoterra (Alice’s Adventures Under Ground), con illustrazioni dello stesso Dodgson. 

Il libro, pubblicato nel 1865, ottenne da subito un successo straordinario. Le bambine avevano ragione: era un libro che doveva, a tutti i costi, esser scritto.  

Quello del Paese delle meraviglie è un romanzo bislacchissimo, e uso il superlativo certa che all’autore piacerebbe: lui con le parole si è divertito davvero molto. E tanto si saranno divertiti i numerosi traduttori che vi hanno lavorato su, facendo fiorire interessantissime versioni.

Il testo è infatti colmo di giochi di parole, di dialoghi con un senso difficilmente interpretabile, pieno di filastrocche dimenticate e reinterpretate,  di invenzioni linguistiche esilaranti : The different branches of Arithmetic – Ambition, Distraction, Uglification and Derision”  ( E poi le diverse operazioni dell’Aritmetica: Ambizione, Distrazione, Bruttificazione e Derisione) “The drawling-master was an old congerleel, that used to come once a week: He taught us Drawling, Stretching and Painting in Coils” (Il maestro di disdegno era un vecchio grongo e veniva una volta alla settimana: ci insegnava il Disdegno, con l’Impastaggio e la Frittura su Tela! ).

Inoltre, soprattutto, è un libro pieno di poesia: Alice si confonde e i versi le vengono male, recita al rovescio, fa confusione, crea nuove rime, c’è persino un piccolo poema scritto sulla coda di un topo!

Le parole, i libri, sono evidentemente molto importanti per l’autore che apre il romanzo con l’immagine di Alice e la sorella che leggono sotto la chioma di un albero e che descrive il lungo tunnel come un luogo in cui sono presenti dei manoscritti. Come a dire, il nonsense e la fantasia sono rispettabilissime membra della letteratura. 

Le avventure di Alice non è un vero e proprio libro per bambini: non è facile coglierne le sfumature, la profondità delle citazioni, ma soprattutto non si trova un insegnamento, un messaggio legato a una moralità da coltivare tanto cara in tutta la letteratura per l’infanzia.

Alice non insegna ad essere una brava bambina e il Paese delle Meraviglie è davvero un paese sottosopra, dove animali antropomorfi dispensano strambi consigli e la corte è composta da un mazzo di carte, dove le avventure incominciano e si interrompono continuamente e la piccola, curiosa protagonista fa mille domande, come fanno tutti i bambini, ma quasi sempre accetta con un sorriso le assurde risposte. 

Poi, insomma, bisogna ammettere che davvero è un libro pieno di magia: è uno scrigno con decine di personaggi divertenti, diversissimi tra loro, e mille storie buffe che cominciano e non finiscono, così tu puoi farci quello che vuoi.

Pensate al Cappellaio Matto, al Brucaliffo, alla Lepre Marzolina, allo Stregatto: ma chi non li conosce? Pensate a quanto siano slegati da un tempo storico, a quanto siano liberi. Sono tutti personaggi ben caratterizzati, forti, originali, affascinanti, eppure non hanno dei paletti che li inchiodano a un ruolo o ad un messaggio. Sono, invece, strumenti preziosissimi con cui giocare, da bambini, ma anche da adulti. Già, proprio uno scrigno ricchissimo di  personaggi strepitosi: li tiri fuori e puoi farci quello che vuoi. 

Non è un caso che vi siano state innumerevoli versioni cinematografiche e che Alice, il Cappellaio e compagnia bella abbiano di volta in volta affascinato il pubblico per caratteristiche diverse.

Alice in wonderland

Penso alla Lepre Marzolina nella pluripremiata versione con Peter Sellers, penso all’Alice un pò sciocchina del cartone della Disney, o alla temeraria Alice di quel geniaccio di Tim Burton, che a me pare sia quello che più di tutti finora abbia colto la potenza del romanzo.

Già, ne ha fatto una versione bellissima, perché è quello che con allegria ha colto entrambe le cose: la potenza delle parole e quella dei personaggi, nella loro più assoluta libertà. La sua Alice è una guerriera, il suo Cappellaio Matto ci ha fatto innamorare e la Regina rossa ha una sorella che nel romanzo non esiste ma che è perfetta per il suo dramma.

Ecco che il valore dell’opera viene fuori in tutta la sua forza: i personaggi vivono e rivivono in mille colori e mille forme, ognuna con una propria morale, che Carroll non ha però mai citato.

Mi sembra che nel romanzo manchi anche – per fortuna!- la netta contrapposizione tra il bene e il male, e che in realtà gli antagonisti siano anche piuttosto simpatici e non si prendono troppo sul serio. Un libro, insomma, che non esprime giudizi assoluti e non vuole insegnare, ma solo far sognare. 

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