Famiglie e teledidattica. La rete umana funziona sempre. Anche senza contatto fisico

by Paola Manno

La frase che ripeto più spesso a me stessa e a questi tre esseri umani con i quali sono chiusa in casa da giorni è “parliamo d’altro, per favore!”. Eppure parlare, leggere, pensare, scrivere di altro è difficile, perché tutti i nostri pensieri sono legati stretti stretti alla condizione che stiamo vivendo, e cioè quella di persone che restano chiuse in un appartamento perché questo è quello che si deve fare, e allora lo si fa.

Di Coronavirus se ne parla da giorni, dapprima era un’idea astratta, una piccola paura cancellata dall’idea della lontananza, poi, in una notte, è diventata reale, e quella notte è stata quella in cui hanno deciso di chiudere le scuole.

È stato in quel momento che la maggior parte delle famiglie italiane ha compreso che questa cosa ci riguarda tutti e che la reazione deve essere compatta. La chiusura delle scuole ha comportato una serie di problemi enormi, legati prima di tutto alla gestione del tempo. Come organizzare le mattine della settimana senza le lezioni? A quali aiuti si può ricorrere? Qualcuno ha portato i figli in ufficio, qualcuno ha chiamato i nonni, la babysitter, in molti sono rimasti a casa, chiedendo congedi e permessi. Quante ore bisognerà gestire?

C’è, non meno importante, la questione della didattica, più spinosa per le classi che dovranno affrontare gli esami di fine ciclo. In pochi giorni tutte le scuole d’Italia si sono attrezzate, i docenti si sono messi in moto, ogni Istituto ha reagito attivamente. I ragazzi più grandi, quelli che hanno delle competenze informatiche, stanno seguendo le indicazioni in maniera più o meno corretta. Penso però ai più piccoli, quelli che vanno seguiti passo passo, penso ai loro genitori. Nella scuola primaria di mia figlia, che frequenta la seconda, hanno creato una cartella condivisa, riceviamo quotidianamente indicazioni, schede, link a YouTube. Il primo giorno tra i documenti c’era anche una lettera firmata da tutte le maestre, parole piene di affetto e un piccolo elefante che sorride sventolando una bandierina. Forse i bambini ricorderanno con affetto questa prima letterina inviata dalle maestre, forse ricorderanno quell’elefantino sorridente che sembra voler dire “andrà tutto bene”. Penso a loro, a tutti i docenti d’Italia che si stanno dando da fare, ognuno con le proprie competenze, ognuno con il proprio entusiasmo. Penso con tenerezza a mio padre, docente di geografia, che fino a un mese fa mi chiedeva come inviare un allegato.

Poi, soprattutto, penso ai genitori. Ho scoperto che siamo impreparati. Ho scoperto che ci sono molte famiglie che non posseggono, o non utilizzano con facilità, un computer. Ho scoperto che lo scanner non è uno strumento diffuso. Ho scoperto che non tutti controllano la propria mail tutti i giorni, che non tutti sono in grado di utilizzare uno strumento per lavoro. La democrazia dei telefonini vuol dire anche questo. Saper usare i social non dà garanzie di competenze digitali. Non tutti hanno internet illimitato.

Mi accorgo che accendere un computer non è per tutti un atto quotidiano, e anche se questa è una cosa assolutamente comprensibile, in casi come la scuola “online” non garantisce la democrazia. Penso ai bambini che vivono al campo rom. Penso a chi ha occupazioni diverse o diversi modi di pensare. Molto banalmente, mi accorgo che non tutti i genitori riescono a seguire le esigenze tecnologiche dei propri figli. Non è vero che la rete virtuale funziona sempre. Quello che invece funziona sempre, adesso lo so, è la rete umana. Anche senza contatto fisico, per dirla tutta. Nei famigerati gruppi Whatsapp qualcosa sta andando nel verso giusto. Lo vedi quando c’è un rappresentante che invia tutti i file ogni giorno, per chi non ha accesso a google drive. Lo vedi quando invia i file in copisteria, così chi non ha una stampante in casa può andare a ritirare le schede già stampate. Immagino le mamme che camminano lungo la strada vicino a scuola, ritirare i fogli, far fare i compiti al proprio figlio, poi tornare in copisteria, chiedere una scansione, inviare una mail all’indirizzo giusto. E ora che anche le copisterie hanno chiuso, scambiarsi altre idee, ripetersi “stiamo tranquilli, ci sono delle app per scansionare”, oppure “sentiamoci per telefono, ti spiego passo passo come procedere”. C’è qualcosadi intenso e prezioso in una madre o un padre che imparano a scaricare documenti perché i propri figli possano continuare a studiare.

C’è qualcosa di commuovente in un pdf con un tema di un bambino di seconda elementare. La prima volta che ho inoltrato una scheda compilata con la moltiplicazione del 4 ho sentito una stretta al cuore. Non è una cosa divertente, non è una risorsa, non è un arricchimento. È una didattica forzata, una scelta temporanea. Non possiamo lamentarci per questo isolamento, di fronte al privilegio della nostra condizione di famiglie protette. Per fortuna che si possa fare la didattica online, naturalmente, ma non vediamo l’ora, tutti quanti, di ritornare alla normalità. Di iniziare la giornata facendo colazione in fretta, mettere i libri nello zaino e accompagnare i piccoli in una scuola rumorosa, piena di voci e colori.

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