Il Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina apre con Yomeddine

by Giuseppe Procino

Il “Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina” di Milano, giunto alla ventinovesima edizione, arriva per la prima volta a Bari con due appuntamenti, l’1 e il 3 marzo, presso il cineporto di Bari. Dietro l’iniziativa, realizzata in collaborazione con Apulia Film Commission, Coeweb e MFN – Milano Film Network, c’è l’associazione culturale La Scatola Blu, realtà consolidata e impegnata nella diffusione del cinema d’autore il più delle volte non distribuito, veri cacciatori di pellicole dal grande valore artistico. L’associazione non è nuova a questo tipo di iniziative: notevoli come sempre sono l’attenzione e la cura mostrata verso le cinematografie lontane dai circuiti convenzionali e guidati dalle leggi del mercato da popcorn e bibita. Lo scorso anno ci hanno stupito con I “Dispersi verso Est”, Rassegna sul Cinema Russo Contemporaneo, aprendo una finestra in Puglia su una cinematografia meravigliosa e ingiustamente nell’ombra.

Nella prima serata, lunedì 1 aprile, è stato proiettato il film egiziano del 2018 “Yomeddine” di A.B. Shawky, un viaggio on the road, una riflessione sul senso di famiglia, un film delicatissimo “sugli esclusi” (come suggerisce Annamaria Gallone, condirettrice del festival milanese) che ci mostra “i luoghi sconosciuti dell’Egitto, non quelli da cartolina”.

“Non volevo girare un film politico o sulla religione – afferma il regista ospite per la proiezione – piuttosto volevo fare un film che parlasse degli esseri umani”.

Yomeddine è la storia di Beshay, uomo di quaranta anni che porta su di sé tutti i segni della lebbra, da cui è comunque guarito, e che, a seguito della morte di sua moglie e dell’apparizione fugace della madre di sua moglie, decide di andare alla ricerca anche della sua famiglia d’origine, di cui gli resta un vago quanto doloroso ricordo. Suo padre l’ha infatti abbandonato bambino nella colonia per lebbrosi, ‘recinto’ in cui lui è cresciuto e non lo ha mai più cercato.

Ad accompagnarlo in questo viaggio c’è Obama, bambino orfano che ha in Beshay l’unico punto di riferimento.

Girato in cinque anni come progetto finale per una scuola di cinema, con un budget ridottissimo e con attori non professionisti ed eccellenti, il film di Shawky colpisce al cuore. Non si tratta di un film patetico o di un banalissimo melodramma strappalacrime. Al contrario, è un film leggiadro, una poesia dell’audiovisivo, in grado di affrontare una tematica importante con intelligenza, ironico o cattivissimo solo quando necessario. Un film che sembra essere una sorta di documentario perché ha il coraggio di raccontare la verità: non ci sono trucchi ed effetti speciali, l’attore protagonista, Rady Gamal, è davvero sopravvissuto alla lebbra e ne porta addosso tutti i segni.

Yomeddine in arabo vuol dire “il giorno del giudizio”, il giorno in cui tutti gli esseri umani saranno giudicati per il loro comportamento e non per il loro aspetto; in questa pellicola infatti quasi tutti coloro che hanno un aspetto ‘normale’, sono persone incapaci di pietas, a volte imbroglioni, a volte religiosi radicali, a volte semplicemente non deformi esteriormente. Alla fine, infatti, ci si affeziona ai due protagonisti non per compassione, ma perché affiora il loro essere due anime bellissime. È questo il vero punto di forza del film di Shawky: riuscire a rendere invisibili i segni della malattia lasciando nuda l’anima, operazione fatta con grazia ed eleganza.

Questo film è stato presentato come unica opera di un esordiente nella competizione ufficiale del 71° Festival di Cannes ed è stato scelto per rappresentare l’Egitto ai recenti Oscar. La Scatola Blu lo porta a Bari dopo che ha raccolto consensi e premi ovunque. Meno male!

Il prossimo appuntamento è per Mercoledì 3 aprile, alle ore 21:00 sempre presso il Cineporto di Bari, con il film afghano, “Kabul, city in the Wind”, documentario di Aboozar Amini presentato allo scorso International Documentary Film festival.

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