Il mosaico di piccoli e grandi mondi diversi di FestambienteSud. Franco Salcuni: «È possibile utilizzare la cultura come uno strumento di integrazione»

by Antonella Soccio

Cambiamenti climatici, siccità, l’acqua materia prima della vita. È “Arsura. Vincere la sete del pianeta” la XIX edizione del FestambienteSud del Gargano in Puglia, che si è meritata la menzione del Sole24Ore e Rolling Stone come festival irrinunciabile dell’estate 2023 a livello nazionale. Tra le migliori kermesse culturali del Paese. Con un cartellone stellare, che va da Angelo Branduardi all’Abbazia di Pulsano a Monte Sant’Angelo a Gilberto Gil nella Marina Piccola di Vieste, sotto la direzione artistica di Chiara Civello, FestambienteSud continua ad avere l’obiettivo di diffondere, attraverso la musica e numerose attività ed esperienze culturali, una maggiore consapevolezza ambientale.

Noi di bonculture ne abbiamo intervistato l’anima e il fondatore, Franco Salcuni, co-direttore artistico e inventore 19 anni fa di una certa idea di Montagna Sacra.

Salcuni, dopo 19 edizioni, arrivano i riconoscimenti nazionali di eccellenza da due testate importanti. FestambienteSud è diventato finalmente pop? Serviva la location di Vieste per infrangere le casse acustiche della critica nazionale?

Il nostro festival fin dalle prime edizioni ha fatto una scelta culturale, investendo molto sui contenuti, affrontando con cura e ricercatezza le scelte artistiche e i messaggi sociali da lasciare al pubblico che spesso li ha accolti come una piccola dote da riportare a casa. E’ forse per questo che nei nostri due decenni di vita abbiamo molto spesso raccolto critiche positive, legate alla nostra buona reputazione culturale. Non avendo grandi budget da investire, abbiamo coscientemente sacrificato la fama alla reputazione. E per molto tempo siamo rimasti un festival di nicchia. Adesso forse siamo un poco più noti, ma restiamo felicemente nella nicchia. Credo che questa sia la forza di FestambienteSud e, continuando a costruire bellezza, sempre più gente si sta accorgendo di noi. A Vieste, che sta diventando un contesto dove cultura e innovazione nel campo del turismo vanno a braccetto e dove siamo stati accolti benissimo, abbiamo costruito il nostro progetto internazionale. Festival internazionale lo siamo almeno da 12 anni, ma con la comunità di Vieste abbiamo progettato e stiamo realizzando il sogno di un festival del Sud che dialoga con i Sud del mondo.

Quanto la “mondializzazione” della proposta culturale delle ultime edizioni ha consentito di arrivare a nuovi pubblici?

Insisto, FestambienteSud è internazionale da decenni. Tom Harrell, Dave Liebman, Ivo Papasov, Omar Sosa, i Grammi Awords Esperanza Spalding, Peter Erskine, King Hammond, i campioni della world music come Intillimani, Saynkho Namtchylak, Hulan, Joe Legwabe, e del reggae come The Wailers, Antony-B e David Rodigan, i grandi del jazz europeo come Lars Danielsson, Chano Dominguez, Bojan Z e tanti altri sono stati ospiti nelle tante edizioni passate di FestambienteSud, dirette da grandissimi esponenti della musica italiana e internazionale come gli Area e Paolo Fresu. Quello che c’è di nuovo è il senso compiuto sul piano culturale che sta assumendo il progetto internazionale di Vieste. L’incontro con Chiara Civello e Max De Tomassi ci ha permesso di avviare un gemellaggio culturale con un universo musicale ricchissimo e sterminato come quello brasiliano. Peraltro con la collaborazione istituzionale dell’ambasciata brasiliana in Italia, il suo istituto di cultura e con il sostegno comunicativo della RAI. Un progetto internazionale organico e di senso compiuto, che parla in maniera molto chiara. Anche di questioni ambientali globali, come il tema dell’acqua e della salvaguardia dello straordinario patrimonio rappresentato dall’Amazzonia. Quello che ci permette di arrivare a nuovi pubblici è l’allargamento di quel respiro culturale che da sempre ci appartiene.

Per la Fondazione Symbola stimolare il desiderio di partecipazione e far diventare la partecipazione culturale una pratica ordinaria, dettata dal più profondo bisogno è la grande sfida per le industrie culturali e creative che operano secondo le logiche della responsabilità sociale della cultura, orientate dalla consapevolezza che non sono i pubblici a dover cambiare ma che è il sistema a dover adottare nuovi paradigmi.

Cosa è cambiato sul Gargano in tal senso se è cambiato qualcosa?

Il Gargano era e rimane una terra di frontiera, piena di contraddizioni, dove convivono in maniera dialettica esperienze avanzate e dinamiche sociali arretrate. Qualsiasi esperienza culturale non ha il potere di risolvere i problemi strutturali, ma può contribuire a far pendere la bilancia dalla parte giusta. FestambienteSud in questo territorio rappresenta uno dei numerosi presidi di cultura e un laboratorio di una convivenza civile diversa. Siamo uno dei presidi più visibili, ma ce ne sono tanti altri più nascosti. Quello che ci sta facendo crescere e che probabilmente ci dà più peso per tentare di far pendere la bilancia dalla parte giusta, è lo straordinario partenariato che abbiamo costruito nel tempo, perché da soli non si va da nessuna parte. E il nostro partner principale è il pubblico, che ci segue sempre e comprende fino in fondo le motivazioni che animano un festival politico come è un festival ambientalista.

Credi che Monte Sant’Angelo abbia perso una occasione per identificare il suo luogo anche con FestambienteSud?

Sinceramente come associazione non ci poniamo questi problemi, siamo concentrati sul nostro progetto culturale e abbiamo una visione del territorio che è puramente e assolutamente culturale. Noi il territorio lo vediamo come la rete delle relazioni storiche, come il sistema abbaziale e dei santuari, quello dei cammini, quello degli insediamenti umani e delle relazioni economiche che si sono stratificate nel tempo, e come la rete delle relazioni contemporanee, fatta di flussi molto più fluidi dei confini amministrativi che ancora ci fanno parlare di Monte Sant’Angelo, Vieste, San Giovanni Rotondo e via discorrendo. Abbiamo un’altra idea di cittadinanza nel territorio, che va oltre i confini. Che abbraccia e non separa. A volte invece vediamo anacronisticamente ancora la sopravvivenza dei campanili. Detto questo, noi a Monte Sant’Angelo non siamo ospiti, perché abbiamo li la nostra casa, e non siamo neanche protempore. Siamo un presidio culturale permanente che sopravvive ai tempi della politica e delle amministrazioni. E quello che facciamo è ideato, progettato, organizzato nella nostra Green Cave, compreso l’idea di diventare un festival di territorio. Il nostro radicamento e il legame con i cittadini di Monte Sant’Angelo è molto forte e la comunità ci sostiene in tutte le scelte che facciamo. A Monte Sant’Angelo abbiamo aperto un centro culturale che vive tutto l’anno. E FestambienteSud anche quando si svolgeva solo a Monte Sant’Angelo era comunque un festival garganico, pugliese, meridionale, nazionale e internazionale.

Ci saranno grosse star internazionali, cosa credi debba avere un festival per non essere una semplice vetrina e un susseguirsi di eventi sì memorabili ma lontani dall’anima dei luoghi?

Il nostro festival nasce proprio per integrare gli artisti con i luoghi. Quando arrivano a FestambienteSud gli artisti s’inchinano al genius loci, si arrendono al contesto. Qui le regole le dettano la natura e la storia. Nessuna performance da noi può essere standard. Angelo Branduardi nell’abbazia di Pulsano non sarà come Branduardi in un teatro, Toquinho di fronte al faro di Vieste, come lo scorso anno, non è come Toquinho in una piazza anonima, Vinicio Capossela nel Castello di Monte Sant’Angelo, come nel 2012, non è come Capossela su un qualsiasi palcoscenico. FestambienteSud ha sempre rifiutato una dimensione “industriale” del festival, sacrificando gli incassi alla bellezza, ma siamo convinti che i luoghi possono generare cultura così come i “non luoghi” a volte possano cancellarla. Noi siamo molto più poveri di tanti altri festival, ma sicuramente non dobbiamo imparare da nessuno cosa vuol dire essere autentici.

Quanto sei riuscito in questi anni a creare una comunità che vive di cultura?

La premessa generale è che in gran parte FestambienteSud è un progetto di volontariato culturale, senza il quale non sarebbe possibile realizzarla e neanche sarebbe così com’è. Io stesso sono un volontario da 19 anni e credo che se dovessi essere ripagato del lavoro che ho profuso in questi anni ci vorrebbe molto denaro. Detto questo, credo che di cultura dalle nostre parti si possa vivere solo con il sostegno pubblico, a meno che non si decida di emigrare in un’area metropolitana o in qualche altro paese europeo, dove il numero delle persone che “comprano” cultura è molto più alto che da noi. I consumi culturali della provincia di Foggia sono tra i più bassi in Italia, ma i cittadini della nostra provincia, come quelli di tutte le aree periferiche del Paese, hanno gli stessi diritti di tutti di accedere a un’offerta culturale di qualità. Il sostegno pubblico però diventa sempre più precario, spesso dipendente dalle diverse stagioni politiche, quando si finanziano gli amici e non le esperienze che valgono, che servono e che hanno una strategia che guarda lontano. Pertanto qualsiasi impresa culturale dalle nostre parti finisce per essere precaria. Noi siamo precari sul piano economico, dove siamo sempre chiamati a fare salti mortali, ma credo che non lo siamo sul piano culturale e delle motivazioni sociali che ci animano. Sarà forse per questo che siamo arrivati a 19 anni di vita?

Qual è l’ambizione della Green Cave?

Diceva Darwin che lo scopo ultimo degli esseri viventi non è vivere, ma sopravvivere. L’ambizione della Green Cave è semplicemente quella di sopravvivere continuando a fare quello che fa, offrire servizi culturali a 360°. Come lo è stata quello di FestambienteSud. Forse mettendo in atto le nostre strategie di sopravvivenza continueremo a disegnare contesti di bellezza. Finora, da ormai 5 anni, non abbiamo chiesto aiuto a nessuno per mantenerla aperta, ma il territorio è debole e forse avremo bisogno di una mano per continuare a essere presenti.

C’è il rischio che la cultura sia un affare di lusso?

Secondo me occorre distinguere la cultura come lusso dalla cultura elitaria.

La cultura è un affare di lusso quando per accedervi occorre essere ricchi. In questo caso la cultura non solo non aiuta a superare le disuguaglianze, ma le esalta addirittura. Ma è anche vero che organizzare cultura ha costi molto alti. Come dicevo prima, serve più investimento pubblico in cultura, che in Italia rimane molto basso. Mi chiedo quante persone potrebbero curarsi se non ci fosse una sanità sostenuta dallo Stato. La sanità costa molto ma è riconosciuta da tutti come servizio essenziale che risponde a un diritto fondamentale come la salute. Anche l’accesso alla cultura dovrebbe essere considerato come un diritto fondamentale e l’investimento in cultura dovrebbe essere molto più corposo, sistematico e strutturale di quanto non lo è oggi.

Altra cosa è la cultura elitaria che può essere tale indipendente dalle questioni di reddito. Tra l’altro storicamente le élite culturali spesso erano povere. Pensate ai tanti scrittori, pittori, musicisti, filosofi che hanno condotto una vita nelle ristrettezze, eppure appartenevano ad élite culturali. Quelle élite somigliano tanto a quelle che oggi chiamiamo “nicchie culturali e sociali” e ce ne sono tante e diverse, in tutti gli strati della popolazione. Organizzare un festival, secondo me, è un lavoro incessante di ricerca per intercettare quelle nicchie, dare loro spazio accanto ad altre nicchie, e tentare di creare ponti tra le une e le altra, trattando la diversità come valore e cercando quei punti di contatto che costruiscono dialogo.

Componendo un mosaico di piccoli e grandi mondi diversi, è possibile utilizzare la cultura come uno strumento di integrazione. FestambienteSud è anche questo.

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