Ivano Dionigi. A che punto è la notte? La risposta è nel logos

by Alessandra Belviso

Ivano Dionigi, ex rettore dell’Alma Mater di Bologna ha tenuto una lezione al Teatro Sperimentale di Ancona per la XXIII edizione de “Le parole della Filosofia”.

Siamo al centro di una duplice rivoluzione, da una parte l’immigrazione e la fine dell’eurocentrismo, dall’altra la rivoluzione tecnologica. Il presente carico di incognite mette in discussione l’identità culturale, personale e professionale. Ritenevamo che alcune parole fossero uniche e inalterabili, come la parola madre. Eppure anche l’identità di figlio, racchiusa nel ghenos, sangue, è stata sostituita dal nomos, dalla legge e poi dal techne, la provetta di laboratorio.

In questo scenario fuori controllo, in cui il pensiero appare a –metrico, si sente il bisogno di tornare alla lettura dei grandi classici e ai pensieri lunghi dell’Umanesimoin grado di creare punti di sutura tra tanta frammentazione, tra il notum dei padri e il novum dei figli.

Sentinella, a che punto è la notte? (Isaia, cap.21) La risposta, secondo il latinista e filologo Ivano Dionigi, è nelle parole, in quanto esse non vestono il pensiero ma lo generano.  La notte è buia, assistiamo a un escalation di ambiguità del linguaggio che investe anche il campo etico e istituzionale, afferma l’ex rettore dell’Alma mater, ospite al Festival della Filosofia di Ancona in un incontro sul dia-logo.  Abbiamo bisogno di dissotterrare la lezione dei classici, tornare al significato originale delle parole, imparare dalla ricchezza linguisica del latino.

 Tucidide scrisse che le avvisaglie della decadenza morale e dell’imminente scoppio della guerra del Peloponneso le avvertiva nella perversione del linguaggio. La consueta accezione delle parole cambiava infatti in base a ciò che rispondeva ai loro interessi. I sofisti facevano apparire vero il verosimile, scambiavano la doxa, l’opinione, con il sapere, rendevano migliore il discorso peggiore. Le parole che ritenevamo indivise e indivisibili, anche le più belle, vengono oggi ridotte, sfigurate, diventano proprietà di una parte. La pace diventa pace fiscale, la dignità diventa un decreto, la parola patria, che vuol dire terra ereditata dai padri, diventa proprietà privata. “Dobbiamo riscoprire l’etimo, il valore vero, originale. Pensiamo alla parola competere. Cosa vuol dire? E’ il genitore che oggi urla a bordo del campo dove il figlio gioca la partita? E’ la selezione darwiniana? Com – petere significa andare nella stessa direzione. E comunicare? Da cum e munis, significa compiere il proprio dovere insieme agli altri”.

Il logos elemento determinante delle sorti di Roma nella Retorica di Cicerone : quando lo Stato è in mano agli eloquentes, coloro che schierano la sapienza accanto alla parola, si redigono costituizioni, regna la pace e le città fioriscono, ma se per converso a comandare sono i disertissimi omines, gli abili comunicatori, i demagoghi, scoppiano le guerre e regna il caos.

E a chi crede che lo studio della lingua latina e delle società classiche non sia utile, il latinista Dionigi risponde che in questo tempo storico in cui ci sentiamo minacciati dall’Oriente e abbiamo paura di perdere la nostra identità culturale, è proprio rivolgendo lo sguardo all’antica Roma che possiamo trovare una direzione verso la quale andare. Una direzione di pluralità ed inclusione: il latino ha dominato le altre lingue facendosi adattare dalle altre; era una lingua tollerante e ricettiva; E’ l’espressione linguistica   dell’unità nella diversità dell’Europa. Anche la lungimiranza politica dell’antica Roma va nella stessa direzione. Scrive Claudio in un discorso riferito a Tacito: “ agli spartani e agli ateniesi pur così potenti nelle armi che altro causò rovina se non respingere i vinti come stranieri? Ma il nostro padre Romolo ebbe tale saggezza da trattare in un sol giorno i nemici ostes in cittadini cives. I romani hanno conquistato la Grecia ma si sono fatti conquistare dalla sua arte.  Roma ci ha educati alla cultura dell’et et, non dell’ aut aut.

“Nel cuore di un’epoca della fretta indecorosa e sudaticcia, della tecnologia delle comunicazioni che rende tutto sincronico e planetario, che va a intaccare ed invadere gli stessi confini dell’umano, l’amore per la tecnica si accoppia ancora con la filantropia? Il sapere tecnologico ha lo sguardo rivolto in avanti, il sapere umanistico guarda avanti e indietro, il sapere tecnologico adotta il paradigma sostitutivo della dimenticanza, quello umanistico il paradigma accumulativo della memoria, il sapere tecnologico semplifica la complessità, il sapere umanistico la abita. Il sapere tecnologico corre speditamente, quello umanistico  appare in grande affanno. Avvertiamo l’esigenza di un disegno che riattaccando la spina della storia tiri un filo tra passato e futuro, tra memoria e progetto, tra trapassati e nascituri”.

Alessandra Belviso

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