Kundera, Fantozzi e i libri che liberano

by Claudia Pellicano

La leggerezza è insostenibile, è la pesantezza che àncora e dà la misura delle cose. A Più libri, più liberi, il festival romano della piccola e media editoria, Francesco Piccolo e Chiara Valerio parlano di Milan Kundera e di libri che liberano.

Essere liberi significa soprattutto non aggregarsi a nessuno, neanche a chi, della libertà, fa la propria bandiera. Nell’Insostenibile leggerezza dell’essere lo si racconta attraverso la parabola di Tomàs, uno dei protagonisti, che durante una chiacchierata con gli amici si chiede se i cecoslovacchi siano innocenti perché non hanno capito il regime comunista, oppure se siano comunque responsabili pur non comprendendolo. Tomàs risponde con l’esempio di Edipo, che non sa di stare con la propria madre, e nonostante questo, dopo averlo scoperto, si cava gli occhi e lascia la città. L’idea di fondo, quindi, è che bisogna comunque reagire o pentirsi. Qualcuno allora gli suggerisce di proporre questa sua opinione a una rivista un po’ clandestina, che gliela pubblica nella forma di una lettera ampiamente ridotta. Lui ne rimane deluso, ma l’aver scritto questa lettera lo mette nel mirino del regime, che gli chiede di rinnegare il suo scritto. Tomàs si rifiuta e, da chirurgo importante, viene derubricato a medico generico di periferia. Un giorno un funzionario gli propone di firmare una sorta di ritrattazione, di atto di fede nel comunismo dell’Unione Sovietica.  Lui si limita a replicare che non ha l’abitudine di firmare una lettera che non ha scritto.
Perde anche il lavoro di medico, va a fare il lavavetri, e un giorno viene chiamato in una casa dove rivede il figlio e il redattore della rivista. Crede che il figlio, che ha abbandonato da molti anni, lo odi, e invece il ragazzo lo ritiene un eroe, perché si è rifiutato di rinnegare quell’articolo. Gli sottopongono un’altra lettera di segno opposto al regime, con la quale si chiede la liberazione di prigionieri politici- liberazione che non avverrà mai, ma la cui richiesta è comunque un atto simbolico importante. Tomàs ci pensa, e ribadisce che non ha l’abitudine di firmare una lettera che non ha scritto. In quell’istante rimane totalmente isolato, perché non solo non sta dalla parte dei giusti, ma neanche dalla parte di chi, essendo nel giusto, pensa di poter adoperare qualunque metodo, anche una prassi simile a quella del sistema. La libertà vera e profonda del protagonista consiste nello staccarsi sia da chi ha torto che da chi ha ragione, se il metodo di chi ha ragione assomiglia a quello di chi ha torto. È quello il momento in cui, secondo Piccolo, Tomàs e, forse, anche un po’ Kundera, diventano scrittori. Succede quando ci si libera da tutti i legami, giusti o sbagliati, e si diventa una persona sola e indipendente. Uno scrittore non è tanto il simbolo della libertà, ha piuttosto il dovere della libertà. E questo non soltanto dai grandi temi, ma da tutto, da qualsiasi pressione o investimento dato dagli altri, che siano sacrosanti o illegittimi.

Libertà è anche passare da Kundera a Fantozzi se, come sostiene Chiara Valerio, il genio di Paolo Villaggio ci ha liberato dal pregiudizio che gli intellettuali non possano essere anche comici. Fantozzi è l’unico a dire che esiste una borghesia italiana piccola piccola, fatta di persone che la mattina si tuffano sulla tangenziale. E in fondo il tragico e il comico non sono separati, ma solo due punti di vista tra i quali si può scegliere. Il comico può nascere da una distanza, un vuoto, un fraintendimento: laddove c’è una crasi, una differenza di conoscenza, ci può essere il comico. Possiamo ridere di quello che non sappiamo, e a volte quello di cui ridiamo è tragico. Questo è liberatorio.

Come si sfugge, però, alle lusinghe di stare dalla parte del giusto, alla tentazione di volere essere esemplari? Il compito che hanno avuto per decenni gli scrittori è confermare le cose che il lettore reputa giuste e leggendo le quali si sente rassicurato. Un intellettuale che si è discostato da questa tendenza è Pasolini, sottraendosi a un compito non necessario né per lo scrittore, né per gli altri. Il momento di scrivere è quando sovviene un’idea diversa. Allora gli atteggiamenti pubblici possibili sono due: mettersi a capo o guardare dall’esterno. Sartre capeggiava i cortei, non soltanto, quindi, seguiva le idea giuste, ma le fondava, mentre Aron diceva che l’intellettuale deve restare al di fuori. Le parole che ascoltiamo in questi giorni alla Nuvola suggeriscono di restare fuori e parlare quando si sente di aver capito qualcosa. Di tenere acceso il desiderio di vedere, desiderare quello che si vede, e a un certo punto vedere quello che si desidera.

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