La Corte Costituzionale entra nelle carceri. Marta Cartabia ai Dialoghi di Trani

by Elisabetta de Palma

E’ stato presentato ieri, ai Dialoghi di Trani, il docufilm di Fabio Cavalli “La Corte costituzionale nelle carceri”: ospite d’eccezione Marta Cartabia, vicepresidente della Corte Costituzionale, protagonista, insieme ad altri 6 giudici costituzionali, del viaggio nelle carceri italiane raccontato nel film. A parlarne con lei, la giornalista di Repubblica Liana Milella.

L’iniziativa della Corte muove dalla volontà comune a tutti i suoi membri di uscire dal Palazzo e di avvicinare i cittadini alle istituzioni, movimento quanto mai necessario per la Corte Costituzionale, confusa di frequente, dice Cartabia, con la Corte di Cassazione, percepita come distante e ignorata nella specificità delle sue funzioni.

La scelta – discussa e da alcuni membri della Corte addirittura avversata – di recarsi nelle carceri, nasce dall’affermazione di un principio, che è l’assunto da cui parte la riflessione di Cartabia: la Costituzione è il baluardo a difesa dei deboli, di chi vede costantemente messi a rischio i propri diritti perché manca degli strumenti per rivendicarli. La piena attuazione dell’art.27 è una sfida sociale, oltre che giuridica, poiché lo stigma che accompagna il detenuto dopo l’espiazione della pena è il primo responsabile del difficile e a volte impossibile reinserimento nel tessuto sociale. Il viaggio dei giudici attraversa l’Italia, da San Vittore a Nisida, da Marassi a Lecce, e tocca quasi tutte le possibili ragioni della detenzione, dai reati di mafia alla corruzione, entra nella sezione riservata ai transgender, incontra le madri con i bambini, gli stranieri, i minori. Sono stati volutamente tenuti fuori, chiarisce Cartabia, i detenuti che soffrono di malattie psichiatriche, per il dovuto rispetto alla loro persona.

Il filo conduttore delle risposte della giudice alla nient’affatto compiacente intervista di Milella si può così riassumere: le ragioni dell’errore e la gravità del danno che si è procurato sono innumerevoli, ma lo sguardo che si rivolge a chi sta o è stato in carcere spesso è uno solo. Va cambiato lo sguardo, ecco il perché del film, che non può essere raccontato, va visto. Le voci e i volti, i toni, le espressioni, forse incidono più delle parole che si ascoltano e che sono comunque intensissime, toccano punti nodali, interpellano le ragioni profonde della Carta costituzionale. L’immagine finale, i minori di Nisida portati a Roma a visitare loro, stavolta, il Palazzo della Consulta, e che prima di andar via lanciano di spalle l’immancabile monetina nella Fontana di Trevi, racconta la speranza come solo l’arte può fare.

Cartabia lo chiarisce subito, non è abolizionista, ritiene che la risposta dello Stato debba essere severa davanti all’errore, ma che errore assolutamente più grave e ingiustificabile sia togliere la speranza, negare la seconda possibilità a chi sbaglia. La giudice non risponde alla conseguente domanda sull’ergastolo, perché è tema di prossima discussione della Corte e pertanto non ritiene corretto esprimere il personale parere in merito.

A tutte le altre domande, anche del pubblico, la giudice ha risposto con chiarezza e assoluta onestà, senza nascondere le ragioni profonde del suo pensiero e delle sue azioni, che si radicano nella fede cristiana, riconoscendo i possibili limiti dell’immagine della detenzione che ha affermato ma rivendicandola comunque nel suo fondamento.

L’auspicio è che questo film possa girare molto, e con lui i giudici costituzionali, che possano incontrare i ragazzi nelle scuole e gli adulti che li formano, e che per tutti la Costituzione diventi plasticamente presente grazie alla testimonianza viva dell’istituzione che più la garantisce.

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