Modena Periferico Festival si fa Uragano e dà la parola non mediata a bambini e teenager che occupano la città

by redazione

A partire dal 21 ottobre è tornato a Modena Periferico Festival. L’appuntamento organizzato dal Collettivo Amigdala è giunto alla sua quattordicesima edizione. La manifestazione internazionale che porta l’arte nello spazio urbano ci accompagnerà per tre fine settimana fino al 6 novembre. Tra gli ospiti che hanno animato gli scorsi gironi e che animeranno questo ultimo week end ci sono i compositori olandesi Rob Strijbos e Jeroen Van Rijswijk, il sound designer italo-ecuadoriano Ismael “Condoii” Condoy, Claudia Losi, Virgilio Sieni, la compagnia Archivio Zeta, Francesca Morello e molti altri.

Tra le novità di questo anno, gli appuntamenti speciali riservati agli spettatori under 25. Con Uragano/ Progetto Speciale, il collettivo Amigdala, ha voluto far intervenire i più giovani in maniera diretta, non mediata, ospitando al festival dei progetti artistici che possano attivare dispositivi nei quali i teenager – ma anche i bambini – sono protagonisti, guide e autori di percorsi di attraversamento urbano o di installazioni cittadine. Ci siamo fatti raccontare questo speciale progetto da Serena Terranova del Collettivo Amigdala

URAGANO: La parola ai giovani

di Serena Terranova / Collettivo Amigdala

Abbiamo pensato alla forza travolgente e alla velocità del vento, quando abbiamo dato il titolo di URAGANO alla sezione dedicata ai giovani. Abbiamo pensato a quello spostamento d’aria inevitabile, alla sua dirompenza, alla sua puntualità nel definirsi tramite il suo stesso nome.

Perché le bambine, i giovani, le adolescenti, gli studenti e tutte le creature incontrate in questa edizione di Periferico festival che hanno meno di 20 anni rispondono con esattezza a quella forza.

Abbiamo cominciato con Bloom&Doom [Poetic Riot] dell’artista e attivista Caterina Moroni. Il progetto, ideato già nel 2019 ma realizzato solo nell’estate 2022 a Marsiglia e in prima nazionale a ottobre 2022 a Periferico festival, ha dovuto attendere il momento giusto per manifestarsi, lasciando che le restrizioni della pandemia da Covid-19 permettessero al progetto di riconquistare quell’elemento fondamentale per la buona riuscita della performance: il contatto.

I protagonisti (non i fruitori o le presenze complementari, ma i protagonisti) sono un gruppo di bambine e bambini tra i 7 e i 10 anni che si sono incaricati di insegnare qualcosa agli adulti, pubblico curioso e affamato, che si è ritrovato senza parole e con molti suggerimenti da tacere. Tra il tempo della fioritura e quello dell’apocalisse del titolo, infatti, l’adulto ha perso la capacità di orientarsi verso un futuro desiderabile.. All’umano maggiorenne tocca adesso rimettersi nella posizione di chi impara e si lascia guidare, mentre una mano molto più piccola ti conduce nell’attraversamento di una strada, nella scalata verso un cavalcavia o alza il volume di una musica dance all’interno di un garage dismesso. Azioni, queste tra le altre, di appropriazione di un territorio abbandonato, deserto, dove la parola perde significato. Da un punto all’altro dello spazio urbano nel quale la performance si è svolta, nessuna parola è stata pronunciata fino alla fine: con il solo sguardo e il potere del contatto, l’adulto ha assecondato le scoperte di chi si è ritrovato accanto, rinunciando a curarsi di quelle piccole creature che, normalmente, stanno nei binari delle nostre istruzioni e della più grande scatola dell’istruzione. La scuola era la strada, la lezione era un’osservazione a testa in su degli alberi e degli animali del circondario, la creatività – tipica dei lavoretti festivi – una corda annodata o un tempio per animali inesistenti di cui conservare memoria.

Se le azioni rivoltose di questa banda di piccoli può suonare come un casus separato dalla realtà, dobbiamo forse ricordarci di come la società normalmente ci pone in relazione a loro, aprendo gli occhi sul carattere rivoluzionario incarnato dai diciassette attivisti incoraggiati da Caterina Moroni.

Il festival di quest’anno concentra la sua attenzione sulla voce e in particolare su un filone politico che si intreccia attorno al dare voce / conferire parola.

Raccontare i processi che sottostanno ad Uragano significa esplicitare degli esempi in questo senso legati alla presenza e alla voce dei giovani, ovvero a come dare loro spazio, protagonismo e visionarietà anziché instradarli verso una visione predeterminata, dove la creatività si limita a un incrocio di strade da scegliere e l’ascolto a un suggerimento travestito da libertà di azione.

Nel processo di Caterina Moroni, infatti, bambine e bambini si sono confrontati con i propri limiti e con la propria idea di mondo, esprimendo all’interno di un percorso a tappe la propria possibilità di esperienza non mediata da quella degli adulti. Gli adulti – nel ruolo di pubblico – hanno esperito un percorso che si rifaceva direttamente al punto di vista dei bambini-guida (ci si abbassa molte volte, in questa performance, modificando il proprio orizzonte di diversi centimetri) con la tentazione, a volte, di invertire la rotta e riprendere il proprio ruolo identificato nell’essere chi-si-cura. Eppure non è stato possibile.

E tutti hanno attraversato la strada senza paura e senza incidenti.

Sulla strada si è svolto anche Nightwalks with Teenagers di Mammalian Diving Reflex, compagnia canadese guidata dal regista e autore Darren O’Donnell, promotore dell’idea di “Agopuntura sociale” in cui l’arte si fa strumento per operare sui blocchi del corpo sociale.I Mammalian operano in Italia e in Europa da diversi anni attraverso il lavoro di un gruppo di giovani e giovanissimi (Young Mammalian) che, dopo un periodo di formazione con la compagnia, conducono i progetti partecipati direttamente sui loro territori d’origine. A Modena hanno dunque condotto il laboratorio l’artistanChiara Prodi insieme ai due ventenni Fjoralba Querimaj e Jerwin Mostiero che in collaborazione con il festival hanno incontrato un gruppo di giovani del quartiere Sacca, a Nord della ferrovia, a cui affidare la guida di una vera e propria camminata notturna nella quale le adolescenti e i ragazzi coinvolti potessero descrivere con la propria voce e le proprie parole i luoghi per loro più significativi del territorio.

Sono volati fumogeni, si sono accese starlight, si sono consumate le batterie di casse acustiche portatili che davano playlist infinite da Spotify; si sono manifestate voci tra risate di imbarazzo e silenzi osservatori, mentre al pubblico venivano date precise direttive per seguire il gruppo.

Un passo avanti se hai mai tradito, un passo avanti se hai subito molestie, un passo avanti se sei mai stato in questo parco di notte.

Il gioco delle domande rivelatrici, insieme agli altri momenti di gioco-happening lungo la camminata – sembravano chiedere agli adulti “In che cosa ci assomigliamo? Abbiamo veramente qualcosa in comune?”.

Ma la domanda, insieme al resto, era del tutto transitoria, la rimanenza di un’immagine più potente che si andava a costruire dal primo minuto fino all’ultimo finale, quando i teens della performance non riuscivano più a mollare il microfono per salutare il loro pubblico.

L’immagine è quella di un potere, temporaneo ma carico di energia, che per un’ora e mezza ha soverchiato la visione territoriale predeterminata da famiglie, scuole, capi scout ed educatori.

Innanzi tutto la notte, tempo proibito fino a che non si possegga un mezzo sicuro per il ritorno a casa, e poi il parco, scena aperta di infinite possibilità delinquenziali. Ma soprattutto il corpo. Quello strumento che adulti e istituzioni continuamente collocano, puliscono, rendono neutro dentro un campo di forze possibili e da decentrare continuamente.

I corpi di questi teens si sono agitati, piegati dal ridere, alzati su piccoli piedistalli, hanno ballato e hanno spostato transenne, si sono allineati e scomposti, dando agli adulti presenti – e manipolati, per una volta – la visione di qualcosa che forse apparteneva anche a loro, un tempo, ma adesso? Che cosa ce ne facciamo di tutta quella forza? Ce la dimentichiamo per incastrarla dentro qualche aula o davanti allo schermo immersivo di qualche videogame?

Tra le parti da riscrivere di quel copione che è l’adolescenza oggi secondo gli adulti.

Tra i tanti, la compagnia Ultimi Fuochi ha deciso di lavorare sul tema della lettura, proponendo un gioco che simula Fahrenheit 451 di Ray Bradbury e incrociandolo con I demoni di Dostoevskij.

Da una parte, l’immaginario distopico di un mondo nel quale i libri sono proibiti e le persone si organizzano affinché diventino loro stessi quei libri, quelle parole, salvandoli, grazie al potere della memoria, per tutto il tempo necessario alla ricomparsa dei libri e del loro valore; dall’altra parte la storia di una cospirazione che si agisce attraverso le famose “cinquine rivoluzionarie”, che hanno il compito di agire in segreto senza comunicare tra loro ma solo ed esclusivamente con un capo che regola l’intero andamento della cospirazione.

Ma la cospirazione principale che i due attori campano-pugliesi prendono in considerazione è quella che i giovani, ahinoi, non leggano più.

Hanno sempre il cellulare in mano. Passano la maggior parte del tempo a guardare il soffitto. Girano per casa senza meta.

Eppure: i libri per teenager sono in testa alle classifiche.

Grazie all’alleanza tra cinque scuole di Modena, incontrate grazio all’apporto speciale delle Biblioteche di Modena e del loro settore interno dedicato alle Biblioteche Scolastiche – Periferico ha potuto mettere in contatto Alessandra Crocco e Alessandro Miele con oltre 500 ragazze e ragazzi della città di Modena, costruendo 20 gruppi auto-costituiti in maniera spontanea, dopo un giro di reclutamento realizzato in un semplice laboratorio teatrale di due ore.

Senza nessun apporto da parte dei propri genitori, professori o altri adulti, le studentesse e gli studenti coinvolti hanno realizzato un percorso di lettura segreto, agito di nascosto in luoghi pubblici o privati della città, lontani da qualunque forma di supervisione.

A guidarli nelle loro riunioni segrete, un Comitato Centrale che distribuiva in buste sigillate pezzi di libri da leggere, lasciando sempre qualche riga vuota da scrivere, fino a non dare più indicazioni ma chiedendo, con estremo bisogno, che fossero loro a indicare nuovi estratti di libri da condividere, per poi salvarne qualcuno in via definitiva.

Abbiamo tra le mani, oggi, circa 35 QRcode, di cui solo una parte d’archivio raccolti nelle edizioni precedenti de La Rivoluzione dei libri realizzate dal 2017 a oggi. Sono codici che verranno installati in luoghi del vivere quotidiano – bar, ristoranti, lavanderie, centri di riciclo, barbieri – facendo sì che il lavoro autonomo di questi giovani si manifesti come dono alla città, opera pubblica, installazione visibile e volontaria di un operato segreto, silenzioso, ma costante.

Un lavoro che scalza quegli sguardi sottecchi che con autorità si impongono sul loro presente, e che invece oggi fonda un altro pezzo dell’autodeterminazione di tante e tanti giovani che, di nascosto, in barba al nostro controllo, si organizzano, decidono, scelgono. Occupano pezzi di città.

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